Il sottotitolo scelto per questa
traduzione italiana del Charlemagne
di Georges Minois (Primo europeo o ultimo
romano, Salerno, 2012) è tratto dal capitolo conclusivo del libro, e
riflette un problema con cui la storiografia non ha smesso da un secolo di
confrontarsi: l'età di Carlo Magno rappresenta il punto d'arrivo della tarda
antichità, o il momento d'inizio della moderna storia europea? Carlo Magno,
quanto a lui, non avrebbe avuto esitazioni: viveva in un mondo in cui l'unica
lingua scritta era il latino, l'unica teologia esistente era quella
tardoantica, gli autori dell'ultima romanità occupavano gli scaffali delle
biblioteche, e lui stesso era stato acclamato Augusto dai Romani, in quell'Urbe
che , benché decaduta era ancora la più grande metropoli dell'Occidente.
E in verità, da un certo punto di
vista Carlo Magno è proprio l'ultimo imperatore romano. Come Vespasiano o
Traiano, fa raffigurare sulle monete il suo faccione coronato d'alloro; e
pazienza se è ornato da un bel paio di baffi, che sarebbero sembrati
tremendamente barbari ai senatori dei vecchi tempi. Mettere il proprio ritratto
sul recto delle monete, su un piano di parità con la croce del verso, è
un'audacia che dopo l'età carolingia i sovrani cristiani del Medioevo non
avranno più; bisognerà aspettare il Rinascimento perché con qualunque moneta si
possa giocare a «testa o croce».
Certo, quello di Carlo Magno è un
impero cristiano: ma così era già la Roma degli ultimi secoli. Al pari di
grandi imperatori come Costantino o Giustiniano, Carlo dichiara la sua profonda
deferenza per la Chiesa, nel momento stesso in cui di fatto la dirige: convoca
concili ecumenici di cui detta l'agenda teologica, proprio come aveva fatto
Costanti no a Nicea, e stabilisce per legge quali colpe sono da considerare
inaccettabili per un sacerdote (fra l'altro, avere più di una moglie, «perché
sono peggiori dei laici»).
Ma Carlo Magno è anche uno dei
creatori dell'Europa moderna. Si deve alle sue riforme monetarie se ancora i
nostri nonni parlando di 5 centesimi (cioè un ventesimo di lira) li chiamavano
«un soldo», e se fino a pochi decenni fa la sterlina era divisa, in modo
apparentemente così bizzarro, in 20 scellini, e ogni scellino in 12 pence. Si
deve alle sue scelte politiche e culturali se in tutta Europa la nobiltà si è
articolata in una gerarchia di duchi, marchesi, conti e baroni; se tutti i
monaci d'Occidente sono benedettini; e se la stampa, che pure fu inventata più
di seicento anni dopo la sua morte, utilizza i caratteri che state leggendo,
discendenti diretti della minuscola carolina.
Georges Minois è uno di quegli
storici francesi […] con una camaleontica capacità di
impadronirsi degli argomenti più diversi: ha scritto una vita di Galileo, una
storia dell'ateismo, una della depressione, una del suicidio, una
dell'omicidio politico, una dell'avvenire, una della vecchiaia e una
dell'inferno. Non è dunque così strano se il suo libro non appare sempre al
corrente del dibattito più specialistico: ad esempio dove presenta la tonalità
economica dell'epoca carolingia, di cui oggi non si dà più una valutazione così
pessimistica. Ma è un libro ottimamente scritto, densissimo di informazioni,
ideale per l'appassionato di storia che voglia imparare e divertirsi approfondendo
la vita di uno dei personaggi più celebrati del Medioevo.
E non solo del Medioevo: uno dei
capitoli più succosi è quello dedicato ai tanti modi in cui Carlo Magno è stato
reinventato dalla politica, da Napoleone a Hitler, fino all' attuale Prix Charlemagne
assegnato ad Aquisgrana dall' Unione Europea. L'autore rievoca fra l'altro la
storia della divisione SS Charlemagne, in cui i nazisti radunarono i loro
sostenitori francesi per mandarli a combattere sul fronte orientale. Il nome
sembrava la scelta perfetta per celebrare la comune ascendenza di francesi e
tedeschi; ma il contingente bretone, al comando dell'Ober-sturmbannfuhrer Le
Coz, dichiarò che non intendeva farsi inquadrare in una divisione dedicata a
Carlo Magno, per la buona ragione che milleduecento anni prima i bretoni
avevano combattuto contro di lui per l'indipendenza della Bretagna. Nel nostro
mondo, in cui la storia è spesso fonte di divisione più che di unione, ognuno
può trovare un motivo per schierarsi con Carlo Magno o contro di lui: e c'è
perfino da stupirsi che in Italia i discendenti dei Longobardi, così accaniti
nella difesa di un'identità immaginaria, non abbiano ancora pensato di
boicottarlo.
"Tuttolibri - La Stampa", 31 marzo 2012
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