8.2.14

Tra letteratura e politica. Le scelte di Walter Binni (di Salvatore Lo Leggio)

E’ uscito nei giorni scorsi per Morlacchi Editore (Perugia) il volume Walter Binni 1913-2013 che raccoglie per la cura di Lanfranco Binni e Chiara Scionti gli Atti del Convegno di Studio ne centenario della nascita (Perugia, 4 maggio 2016). Traccia principale del convegno era il volume La protesta di Walter Binni. Una biografia, di Lanfranco Binni (Il Ponte Editore, 1913), volume composito, contenente un accurato profilo, arricchito da importanti testi autobiografici, e una sezione di lettere a Walter Binni. Recupererò per il blog alcune delle relazioni e comunicazioni, quando saranno immesse in rete attraverso il Fondo Walter Binni. Qui riprendo, con un titolo abbreviato, la mia relazione. (S.L.L.) 

La protesta di Walter Binni. Una biografia, di Lanfranco Binni (Il Ponte Editore, 1913), nella sua prima parte, riprende, approfondisce e rimaneggia il profilo contenuto nella raccolta di scritti politici pubblicata due anni fa dallo stesso editore, La disperata tensione. Ma è il tono che – come si dice – fa la musica e qui a dare il tono sono novità importanti, come i brani autobiografici che fanno da cornice alla narrazione e i frammenti che la inframmezzano.
Un piccolo “romanzo di formazione” è per esempio l’inedito di Walter Binni sulla sua nascita, genealogia, infanzia e adolescenza che apre la narrazione biografica e la radica nel tempo e nello spazio. Una sorta di bilancio e testamento morale risulta invece lo scritto su Perugia che la conclude, definito nel sottotitolo “quasi un racconto”. Grazie a questa scelta è possibile seguire, in parallelo alla biografia in terza persona, una sorta di “vita scritta da esso” in prima, vagamente ispirata a quella dell’Alfieri, aristocratico ribelle, che era stato assai persuasivo nella rappresentazione plastica della propria tensione etica e intellettuale, anche se poi banalizzato dalla retorica del “volli, sempre volli”. Non deve stupire la scelta di modelli, anche lontani, cui si restituisce la potenza di persone vive, in chi considerò Leopardi non mero oggetto di studio, ma presenza attiva e dialogante; sono la poesia e la letteratura il “mathema” di Walter Binni e di certo condivideva ciò che Leonardo Sciascia scrisse ne La strega e il capitano: “Nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende”.
L’altra fondamentale novità della Protesta è la sezione documentaria, non appendice ma parte integrante della biografia: un montaggio cronologico di lettere a Walter Binni, realizzato dal figlio Lanfranco in collaborazione con l’archivista Chiara Scionti, che pone lo scrittore perugino al centro di una fitta rete di relazioni e ne segnala il ruolo di protagonista nei momenti cruciali del dibattito culturale e politico.
In un libro così strutturato alla voce narrante del biografo fanno da controcanto quella del protagonista e quelle di tanti suoi sodali e interlocutori, che introducono in un contesto “oggettivo” il soggettivo delle scritture autobiografiche ed epistolari. Ne sortisce un doppio effetto: l’“interiorizzazione” del percorso  e la possibilità di raccordare sistematicamente l’individualità eccezionale al mondo con cui convisse e conflisse.

Le vite non svolgono un disegno prefissato né si possono con facilità, a posteriori, ridurre a schema. Vale per le persone comuni come per le grandi personalità: rotture, salti, involuzioni non mancano quasi mai, la vita è complicata. Il motto che Sciascia volle per la propria lapide, Contraddisse e si contraddisse, vale probabilmente anche per Binni: i maestri controversi spesso esprimono e producono tensione e inquietudine, non acquisizioni dogmatiche e definitive. La protesta di Walter Binni mostra come in una vita splendida, a fasi di apparente stagnazione, di ripensamento o di preparazione, si alternino, periodi di eccezionale concentrazione e produttività intellettuale e illumina i momenti di scelta, talora di svolta.
“Anno decisivo” (lo scrive lo stesso Walter Binni) è il 1931, quello dell’incontro con Aldo Capitini, di poco più anziano, maestro, amico, interlocutore di tutta la vita: il giovane, conclusi gli studi liceali, rifiuta il destino di notabile e le professioni che ad esso si confanno per seguire una vocazione letteraria nata tra i banchi di scuola e corroborata dalle libere e disordinate letture degli adolescenti di genio. Superato l’esame, il Nostro entra alla Normale di Pisa, di cui Capitini è segretario, luogo cruciale della sua formazione, con maestri e compagni di valore che stimolano interessi, sollecitano ricerche. E’ stagione di grande felicità, di studi appassionati, incontri e confronti, esperienze vitali: l’amore per Elena, la cospirazione antifascista, la “scoperta” e rivalutazione dell’ultimo Leopardi, la prima elaborazione della nozione di poetica, in un libro sul decadentismo che colloca il giovanissimo critico tra i maggiori e più originali italianisti.

Altro punto di svolta è il 1947.
Walter Binni negli ultimi anni del “regime” aveva condiviso il “liberalsocialismo” di Capitini, che non era annacquamento del socialismo con un po’ di liberalismo o viceversa, ma la convinzione che solo il socialismo può realizzare compiutamente le libertà umane. Un siffatto “liberalsocialismo” esige una rivoluzione nei rapporti di proprietà e di produzione, attraverso la riforma agraria, la nazionalizzazione delle industrie e delle banche, la socializzazione delle attività produttive, ma respinge la pianificazione centralizzata e autoritaria del modello sovietico staliniano, postulando una democrazia politica ed economica dal basso, fondata sui lavoratori. Con idee siffatte Walter Binni nei primi anni ‘40 partecipa alla Resistenza perugina. Dopo la Liberazione l’impegno personale nella costruzione politica di un’Italia rinnovata gli si impone come esigenza etica e come passione. Non lo attraggono tuttavia le suggestioni terzaforziste (tra borghesia e proletariato) che percorrono gli ambienti giellini e si esprimono nel Partito d’Azione; si schiera piuttosto, in maniera netta, con gli operai, i contadini, gli artigiani e partecipa alla costruzione del Psiup, il partito che unifica i socialisti di Nenni, Saragat e Pertini con il movimento di Unità Proletaria, fondato da Lelio Basso. E’ una scelta di classe e comporta una ulteriore rottura con il mondo aristocratico-borghese delle origini.
Presto Walter Binni diviene uno dei dirigenti più popolari del socialismo umbro e il 2 giugno 1946 è eletto all’Assemblea Costituente. La passione oltretutto potenzia le energie intellettuali. Il deputato Binni garantisce un contributo di prim’ordine al dibattito costituzionale, nelle aule parlamentari, nelle piazze e sulla stampa socialista, specialmente sui temi della scuola nazionale, laica e democratica, strumento per il superamento delle disuguaglianze regionali e sociali. Nello stesso tempo il critico letterario Binni porta a compimento ricerche fortemente innovative. Sono del 1947 un saggio su Ariosto, uno sul preromanticismo e, soprattutto, il libro sulla nuova poetica leopardiana che restituisce forza e dignità all’immagine e al pensiero del poeta di Recanati,  valorizzandone la tempra eroica e la sinfonica potenza delle ultime prove.
La sua militanza socialista a fianco del gruppo di “Iniziativa” guidato da Mario Zagari si arricchisce delle esperienze di democrazia diretta che Capitini promuove a Perugia e in altre città attraverso i Centri di Orientamento Sociale. Walter Binni rifiuta il “fusionismo” con il Pci o l’appiattimento sulle tattiche togliattiane; reclama piuttosto un’iniziativa autonoma dei socialisti su avanzate proposte di riforma economica e sociale, di smantellamento dello Stato autoritario.
Si fa strada tuttavia nell’animo di Walter Binni, amareggiato per le divisioni vecchie e nuove del socialismo italiano, il dubbio di una sua inadeguatezza alla politica come mestiere o piuttosto di una irredimibilità di essa politica dalla menzogna e dalla prepotenza. Dopo la scissione di Palazzo Barberini non aderisce al Psli fondato da Saragat, come fanno invece la Federazione giovanile e molti esponenti di “Iniziativa”, convinti di trovare in esso più agibilità che nel partito “frontista” di Nenni; rimane “senza partito”, partecipe di una diaspora che coinvolge non pochi militanti. Il sogno di un grande partito classista e rivoluzionario, che non si lasci irretire dallo stalinismo del Pci e dal moderatismo filoccidentale della Dc, si frantuma in una molteplicità di esperienze soprattutto locali, spesso viziate da personalismi. E’ in questo clima che matura la rinuncia dell’uomo di lettere Binni alla “politica”. Così scrive nella primavera del 1947 a Capitini: “È molto difficile salvare il “punto rivoluzionario” e insieme la concretezza ecc. E poi la politica richiede, così com’è, un abito di sopraffazione e di furberia che io non posso sopportare. E dunque… alle Muse! E ad un atteggiamento etico politico che non si risolva su piano parlamentare”.
All’inizio del 1948 Walter Binni esplicita in un documento diretto ai socialisti perugini e umbri la sua indisponibiltà a candidarsi nelle imminenti elezioni politiche, che “deriva soprattutto dall’inconciliabilità […] di un’attività parlamentare e di un lavoro letterario ugualmente impegnativi”. “Nulla di strano – aggiunge - in una scelta di questo genere, specie per chi alla politica è spinto da ragioni morali e non da amore tecnico dell’attività politica: nulla di strano se non per coloro che nelle attività di partito vedono solo una “carriera”, una possibilità di potenza, di sfogo ambizioso e magari una sistemazione non disprezzabile. Ma la mia rinuncia ad una attività parlamentare non implica affatto l’abbandono di posizioni ideali a cui non mancherà mai la mia adesione attiva e disinteressata”.
Quali siano queste posizioni ideali appare chiaro nello stesso testo: “una forza veramente socialista e progressiva, veramente pacifica, libera e rinnovatrice che si può servire soltanto con una lotta generosa e dura, ma senza gusto di violenza, di menzogna, di sopraffazione, o di tattica compromissoria”.
La Protesta documenta, attraverso il racconto di Lanfranco Binni e le lettere  di questo periodo, quanto l’addio alla militanza politica sia travagliato: Walter Binni non è insensibile alle sollecitazioni dei compagni più cari. Pertanto, ancora dopo il 18 aprile, che vide il trionfo della Dc degasperiana, la sconfitta del Blocco frontista Pci-Psi e l’insuccesso della lista saragattiana, Walter è ancora attivo in assemblee e riunioni. Partecipa nei primi giorni di maggio a un convegno romano di socialisti per conto del gruppo di “Europa socialista”, rivendicando a sé e a Ignazio Silone, che sono gli animatori, l’obiettivo di «lavorare alla costituzione di un vero partito socialista egualmente lontano dallo sterile massimalismo e dal collaborazionismo con le forze conservatrici» e proponendo la convocazione di una «costituente del socialismo» a seguito «dei risultati raggiunti in sede di Congresso nazionale dalla corrente autonomista del Psi».
E’ una proposta intellettuale coraggiosa, ma - come spiega Lanfranco Binni  - si scontrerà presto con la dura realtà. Infatti, mentre il Psli di Saragat si orienta verso una alleanza subalterna con la Democrazia Cristiana, i successi della componente autonomista del Psi, si riveleranno assai effimeri. A vincere il congresso, a Genova, tra la fine di giugno e i primi di luglio saranno due correnti autonomiste provvisoriamente alleate, quella di “Riscossa” animata da Riccardo Lombardi con il 40% per cento dei voti dei delegati e quella di Romita con il 25%, mentre il “frontismo” di Nenni, Basso e Morandi ottiene circa un terzo dei voti congressuali. Ma, mentre Romita con i suoi notabili comincia da subito a veleggiare verso approdi governativi e Morandi mantiene il controllo dell’apparato, a Lombardi - per il suo recente passato “azionista” - si assegna solo la direzione dell’“Avanti!”. Segretario del Psi è eletto l’onesto Jacometti, scolorito sostenitore della mozione lombardiana.
C’è una lettera nella Protesta di Walter Binni che documenta questo difficile passaggio della storia socialista. Il 3 agosto 1948 all’italianista perugino scrive proprio Riccardo Lombardi: “l’impegno di tutti noi deve essere quello di provvedere […] al rimboschimento di un terreno inaridito. Come avrai potuto desumere dall’opera appena iniziata dalla nuova Direzione del Partito […] una certa linea ha cominciato ad essere individuata. Non ti nascondo, però, che il risultato che ci proponiamo e che io in particolare mi propongo, si raggiungerà solo ed in quanto alcuni uomini abbiano il coraggio di lavorare dal di dentro e non dal di fuori: quando parlo di alcuni uomini, penso particolarmente a te, a Silone, a Calamandrei”. La chiusa è di un candore commovente in questo nostro tempo di privilegi castali per il ceto politico allargato: “Se si fissasse per la fine del mese un appuntamento magari a Roma, ti faccio notare che tu fruisci ancora fino alla fine dell’anno, della tessera ferroviaria della Costituente”.
Non credo che l’incontro sia poi avvenuto e, in ogni caso, né Binni né Silone né Calamandrei entrarono nel Psi in quell’estate o in quell’autunno per “lavorare dal di dentro”. La breve stagione del Psi lombardiano si chiuse pertanto con la sconfitta degli autonomisti, tra pesanti polemiche. Ne cito un passaggio, significativo di un clima. Più volte Lombardi, direttore dell’“Avanti”, aveva criticato nei suoi articoli l’addavenì Baffone, che sembrava affidare la prospettiva socialista solo alle vittorie future dell’Armata Rossa. A suo avviso “la fase ‘sovietica’, la fase di diretta democrazia popolare, è fase necessaria ed ineliminabile pur  nella varietà di forme che essa può assumere” e “la costituzione dei consigli operai, di contadini, di soldati non può essere sostituita da nessuna parata di truppe ‘liberatrici’” (“Avanti!”, 19 gennaio 1949). Morandi gli replicò su diversi giornali socialisti come “La Squilla” di Bologna (N.2, gennaio 1949). Usava titoli come Insensibilità di classe e il tono era da scomunica:“Siamo ormai abituati allo snobismo intellettualistico del direttore dell’“Avanti!” […].Va bene che l’ideologia di partito sia diventata da qualche tempo una cosa piuttosto elastica, non per questo però è lecito a colui al quale è affidato il giornale ufficiale di partito di far scempio dell’ABC del marxismo, avendo finanche l’audacia di offendere nei suoi più radicati sentimenti la classe operaia. Compagno Lombardi, la tradizione di combattimento del nostro partito, la fiducia profonda nell’Unione Sovietica, che ha sempre alimentato le masse dei nostri militanti, esigono il tuo rispetto”. L’accusa, esplicita, è di avere sostituito al bagaglio ideologico del socialismo italiano quello di Giustizia e Libertà e del socialismo liberale. L’articolo si conclude con un appello a Jacometti, segretario del Psi: “Diventano questioni serie queste, di quelle che non si sciolgono che davanti a un congresso, dando la parola al partito”.
Intanto, sul finire del 1948 Walter Binni approfondisce il suo distacco: ha chiesto e ottenuto con voto unanime di essere chiamato all’Università di Genova nella cattedra di Letteratura Italiana e prepara con cura la prolusione, sulla poetica neoclassica, che terrà a gennaio. Nel febbraio dell’anno successivo riceve una lettera di Silone che contiene una scherzosa accusa di “imborghesimento” e lo invita a una riunione della diaspora socialista; ma Walter Binni è ormai preso dal nuovo impegno di studioso, di critico, di maestro e “maestro di maestri” e i contatti si diradano. Qualche anno più tardi, dopo il trasferimento a Firenze nel 1956, lo troveremo, socialista “senza tessera”, a sostenere le prospettive di unificazione e rilancio socialista, partecipe delle battaglie per la scuola pubblica e per democratizzazione dell’Università. Nel 1958 si iscriverà al Psi, restandovi per qualche anno.

Nel 1966, dopo il trasferimento di Walter Binni all’Università di Roma (1964), si apre per lui un nuovo “periodo speciale”, segnato dall’intenso rapporto con i movimenti studenteschi che culminarono con le occupazioni del Sessantotto. La sua presenza alla Facoltà di Lettere di Roma, come ha raccontato Raul Mordenti sul “Ponte”, è un vero ciclone per le innovazioni nello stile di insegnamento, nei contenuti e nei metodi. Nel 1966, dopo l’uccisione all’Università dello studente socialista perugino Paolo Rossi da parte dei neofascisti, è lui a pronunziare l’intenso e durissimo discorso funebre, ove denuncia con nome e cognome le connivenze accademiche e parlamentari con lo squadrismo assassino.
Si esaurisce ben presto, intanto, di fronte all’impantanamento del centrosinistra e all’involuzione socialdemocratica dei socialisti, la fiducia nella politica partitica e parlamentare. L’impegno letterario resta pertanto assolutamente centrale, ma presenta un carattere più “militante”: Walter Binni è accanto ai giovani del Sessantotto, pessimista, ma incitatore e animatore di rivoluzione. Non è pertanto casuale il titolo che sceglie per la pubblicazione in volume autonomo, nel 1973, della monografia nata per accompagnare l’edizione sansoniana di tutte le opere leopardiane: La protesta di Leopardi. Negli anni successivi Binni vive con grande amarezza quello che gli appare un processo di involuzione dell’intera vita pubblica italiana, compresa la contestazione studentesca. Studia e insegna, continua a intervenire con pubbliche prese di posizione e cerca – senza trovarle – modalità di intervento capaci di una qualche incidenza nella realtà. La più curiosa è il tentativo di fondare una sorta di associazione tra “liberi comunisti” per una azione comune. Vi coinvolge Aldo Natoli, Carlo Cassola, Guido Aristarco, Vasco Pratolini e persino Lelio Basso, ma l’iniziativa non ha sviluppi.

Un nuovo periodo “alto”, forse il più alto della storia di Walter, è ottimamente documentato dal libro-dvd edito nel 2012 dal fondo Binni e da Morlacchi editore e curato da Lanfranco e Marta Binni, Poetica e poesia nella Ginestra di Giacomo Leopardi che raccoglie video e testi di lezioni, conferenze, articoli degli anni 1987-1993. Dal 1983, per i limiti di età, Binni è fuori dall’insegnamento, ma non è cessata la sua volontà di comunicazione con le generazioni più giovani e attraverso di esse con le generazioni a venire. Tema centrale ne è il poeta più amato, Giacomo Leopardi, con il quale – per la durezza dei tempi – Walter Binni si sente in sintonia ancora maggiore che in passato. Opera in lui una convinzione d’origine leopardiana, che condivide con Sebastiano Timpanaro il quale in quegli anni non esita a definirsi “marxista-leopardista”: non può darsi una socialità umana fraterna e solidale basandosi sulla pura analisi economica e storica, senza una diffusa coscienza della terribile condizione naturale e materiale dell’uomo e senza lo smascheramento degli autoinganni, delle perniciose ideologie ottimistiche e consolatorie.
In questo Binni, educatore e profeta, il “leopardismo” ben si connette a un originale “capitinismo”: ateo e materialista, egli non può seguire fino in fondo l’amico nella sua “religiosità”, per quanto laica e aconfessionale essa sia, ma dalla filosofia e dalla vita di Capitini trae la persuasione che non si dia azione capace di sconfiggere l’oppressione e lo sfruttamento, se non ha alla base le domande radicali sull’esistenza. In tempi lontani Walter Binni, nella Testimonianza che correda, in appendice, le seconda edizione (Laterza, 1947) degli Elementi di un’esperienza religiosa di Aldo Capitini, aveva infatti scritto: “Giovani che ora sono socialisti come me, comunisti, azionisti, vennero risvegliati e salvati da quelle parole e da quel libro che […] ne assunse il valore fondamentale di educazione etico-politica tanto piú profonda […] perché capace di vivere oltre le formule ed i problemi singoli, come sollecitazione continua ad un senso della vita che non si può realizzare automaticamente o chiusi in tensioni puramente pratiche”. Secondo Binni la generazione educata da Capitini, i trentenni del tempo della Resistenza, aveva mantenuto “un fondo di interesse profondo, umano che un’educazione freddamente politica non avrebbe dato”.
E’ a questo tipo di educazione che Binni tende sul finire del decennio del craxismo e del cosiddetto “edonismo reaganiano”: essa trova un veicolo nel Leopardi e un emblema nella Ginestra, il cui carattere polemicamente illuministico è evidente perfino nell’epigrafe giovannea (“E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”).
Walter Binni non assunse mai atteggiamenti liquidatori verso “don Benedetto” Croce e giustamente riteneva che l’assunzione nel suo idealismo, contro ogni visione riduttiva o limitativa, della poesia ad attività teoretica fosse un grande merito. Tuttavia fin da giovane aveva voluto rompere quella che gli appariva una gabbia, la legnosa dialettica dei distinti che aveva portato il filosofo ad escludere della poesia gran parte della Commedia, perché oratoria, perché filosofia o perché struttura letteraria. Quella della Ginestra e di altri testi del “periodo napoletano” di Leopardi gli si era sempre più rivelata altissima poesia e insieme, indissolubilmente, altissima filosofia e oratoria, espressione di pensiero poetante e trasmissione persuasa e persuasiva di un messaggio etico, di una sollecitazione al retto operare.
Per Walter Binni è, nei fatti, proprio la Ginestra il messaggio che nel 1827 Leopardi convinto che l’involuzione spiritualista e il moderatismo del primo Ottocento, “secolo superbo e sciocco”, sarebbero durati a lungo, aveva immaginato di destinare “a un giovane del XX secolo”. Questo messaggio, altamente politico, è quello che, aggiungendoci del suo, egli si sforza di trasmettere ai giovani del XXI. Anche lui, del resto, si sente poeta (e filosofo): a Maria Serena Palieri de “l’Unità” nel 1995 dichiarerà che fare critica è stato il suo “modo di “fare poesia” (e filosofia). 
La proposta politica del Leopardi di Binni e del Binni di Leopardi (secondo la felicissima formula di Walter Cremonte) non ha in verità niente a che vedere col mondo dei potenti e con la “politica politicante”, coi “brutti ceffi” su cui pesa la definizione leopardiana di “lega dei birbanti”. Essa si identifica piuttosto con il verace sapere che fonda la convivenza e la fratellanza democratica e repubblicana e richiede una socialità senza privilegio, senza sfruttamento ed oppressione. E’, infatti, la difesa contro una natura che fa vivere gli uomini nella pena e li destina inesorabilmente alla morte a fondare il vincolo sociale,  etico, politico e affettivo tra gli uomini stessi, quello che Binni chiama, leopardianamente, “vero amore”.
La “politicità” di Binni-Leopardi viene dunque prima di ogni concreta partecipazione alla vita politica e la ispira, ma viene anche dopo ogni politica e ogni rivoluzione, perché come scriveva il critico già nel 1948 sul “Nuovo Corriere” di Firenze e come ribadiva nel suo intervento del 1987 al Convegno leopardiano svoltosi all’Istituto Orsola Benincasa di Napoli questa peculiare politicità è “su un onda più lunga, ma più lunga di qualsiasi onda che approdi a una civiltà che si consideri ottimisticamente definitiva nella sua struttura, e contro cui Leopardi sarebbe ricorso al suo rigore assoluto di malpensante, alla sua nuda persuasione antimitica, che, lungi da ogni scetticismo, lo rendeva più progressivo di ogni limitata rivoluzione”. E’ il modello di politicità che predomina nell’ultimo Binni, quello di un intellettuale tutt’altro che “sradicato”, ma irrimediabilmente e irriducibilmente “ribelle”.
La “politica dell’onda più lunga” non impedisce tuttavia all’anziano studioso – in feconda contraddizione - di prendere posizione su tanti problemi concreti e attuali, di combattere l’ “Italia cinica, conformista, arrampicatrice sociale, rotta a ogni corruzione” che riemerge con il berlusconismo, e persino di “prendere la tessera” quando gli sembra utile e giusto (per un anno o due fu iscritto a “Rifondazione comunista). Scrive di sé nel “quasi racconto” Perugia nella mia vita, che conclude la biografia: “Vivo e soffro la condizione di un intellettuale assolutamente disorganico e sradicato, anche se ostinatamente proteso ed attento ad ogni segno di cambiamento rispetto alla società attuale in cui sono costretto a vivere”.
All’anziano studioso non manca neanche qualche nostalgia per un’altra Italia. In un’intervista del 1994, a Giorgio Calcagno de “La Stampa”, ricorda la Costituente: «Alla Costituente c’erano persone con grandi differenze di idee, ma di quale altezza. Erano Parri, Terracini, Calamandrei, cattolici come Dossetti […] Non si tratta solo di idee – che pure hanno la loro importanza – ma di costume morale, di apertura, di comprensione per tutto quello che ora ci viene mancando».
Ma il ricordo più intenso di un’altra politica si può trovare nel già citato “quasi racconto” dedicato a Perugia, nel ricordo che accompagna l’addio alla città natale: “Ripensavo alle semplici, schiette feste che proprio su quel torrione intorno alla rossa bandiera con la falce, il martello e il libro si erano svolte con compagne e compagni socialisti e comunisti, con i loro cari volti a cominciare da quello soavissimo di Maria Schippa comunista a quelli fraterni di Bruno e Maria Enei socialisti, i piú amati dalla mia compagna”.
E’ nostalgia per la “compagnevolezza”, per il sentimento umano che lega uomini e donne uniti da una comune lotta, per una solidarietà di classe, tra lavoratori, che abbraccia anche gl’intellettuali che hanno tradito le proprie origini sociali. E’ nostalgia dei comizi, delle discussioni, dei canti, degli sguardi, delle lacrime che segnalavano un “vivo amore” e alludevano a una fraterna umanità. Il suo Leopardi non aveva potuto conoscere questo tipo di gioia, la gioia della rivoluzione e non poteva sentirne la mancanza, Walter Binni sì. Penso che, in questo senso, la politica gli mancò per tutta la vita.  

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