Laura Cipollone (1947-2001), è
stata tra le studiose che meglio hanno innervato il discorso femminista nella
pedagogia progressista. Educare alla
differenza (sessuale, ma non solo sessuale) è il titolo di una raccolta dei
suoi scritti, ma anche la chiave della sua ricerca, condotta attraverso
sperimentazioni sul campo, talora connesse al ruolo di dirigente della Regione
Umbria. Era una compagna del Pci, finché ci fu il Pci, poi – credo – continuò
il proprio impegno culturale e politico a sinistra senza tessere di appartenenza.
In Regione, oltre a dirigere politiche per la formazione, coordinò il Centro
per le Pari Opportunità.
Quando sul finire degli anni 80, con
Fausto Gentili, che per la segreteria regionale del Pci seguiva scuola,
università e cultura, tentammo di dare vita a una rivista regionale sui
problemi della formazione, la direzione fu affidata a un intellettuale della
sinistra critica tra i più prestigiosi, Mario Migliucci. Il nome scelto per la
testata era “Paridispari” e ad ogni numero si sarebbe affiancato un dossier. Della
rivista uscì solo il numero zero (gennaio 1989), il primo e unico si intitolò Bambine e Bambini e ne venne affidata la
cura a Laura Cipollone. Fu l’occasione per conoscerla ed apprezzarla, nel suo
rigore, nella sua intelligenza, nella sua umanità.
Ho ritrovato una copia di quella
rivista e ho scelto di recuperare l’articolo di Laura che dava il tono a tutto
il dossier. (S.L.L.)
I percorsi compiuti per
riconoscere e dire la differenza sessuale, dentro di sé, nella propria esperienza,
tra le altre donne, tutti conducono a una bambina.
Quella che ognuna di noi è stata,
quella che abbiamo o potremmo avere; in questo momento la bambina che vive
ancora in noi; nel tempo, nella storia quella di cui si perdono le tracce, di
cui quasi nulla si è registrato, ma che sappiamo vissuta fra le donne, educata
da loro a divenire una donna, attraverso modalità aventi precise connotazioni
in ogni luogo e periodo storico.
Le poche indagini volte a
ricostruire una presenza delle bambine nella storia della famiglia e
dell'educazione mettono in evidenza, a partire da una più generale difficoltà a
ricostruire le condizioni dell'infanzia nel passato, la scomparsa e il
cancellamento delle bambine dalla storia dell'infanzia. Così come il dibattito,
le strategie d'intervento nei confronti dei bambini raramente assumono e
rendono operante il sapere sulla differenza sessuale.
Se guardo alla bambina che ero, a
quella che incontro per la strada, so che in comune hanno ancora molte cose,
importanti per me che sono una donna adulta: la solitudine di sé fra le altre,
l'eredità di dolore delle altre, l'assenza di parole, di un discorso che dica
la relazione di ognuna con la propria madre, i percorsi impliciti, insondati
della crescita di ogni bambina attraverso l'eredità delle altre donne.
Ma esprimono anche voglia di
essere, di scoprire il mondo, di comunicare se stesse al mondo.
A questa domanda di futuro non
possono che rispondere il primo luogo le donne che, nel far valere il
"diritto della cura dei bambini come diritto civile", portano dentro
i processi di socializzazione e formazione strategie volte a dar voce alla
parola doppiamente oppressa per le bambine.
"A chi oggi ha a cuore la
giustizia sociale propongo di affiggere in tutti i luoghi pubblici belle immagini
raffiguranti la coppia madre-figlia" afferma Luce Irigaray, perché non c'è
coppia più sola e debole, più profondamente svalorizzata di quella nella nostra
organizzazione sociale. Valorizzare questa coppia vuol dire operare perché
siano possibili legami di sorellanza tra le donne (comunicazione, solidarietà,
conoscenza, riconoscimento), cioè creare modelli, rappresentazioni di una
possibile ammirazione tra donne, punto di partenza per la costruzione di una
rete referenziale simbolica tra le donne.
Quale modello (quali modelli) di
donna quindi aiuterà le bambine a rendere viva, operante, la propria differenza
sessuale? E quali nuove forme di relazione ed educazione tra madre e figlia,
tra insegnante e allieva, tra più grandi e più piccole?
La storia della crescita delle
bambine è infatti in buona parte storia dell'educazione delle donne da parte
delle donne e se ne cominciano a rintracciare ed evidenziare le
caratteristiche. Individuando alcuni elementi per una controstoria delle
bambine Egle Becchi descrive questa esperienza come segnata dalla parola
scritta e parlata, dall'operatività delle mani, dall'essere in luoghi chiusi
all'esterno (la casa, il convento).
Gli obiettivi dell'educazione
delle bambine si riferiscono non a se stessa ma alla possibilità di piacere
agli uomini, e perciò a tutte quelle caratteristiche che rendono seducente una
donna, sottomissione, accettazione dell'altro, dolcezza, piacevolezza, invece
che aggressività, esplorazione, autonomia.
Un'esperienza formativa e di
socializzazione segnata dalla funzione di controllo dell'educazione magistrale
e domestica, dalla censura di ogni rapporto di scambio, di amicizia, di
riconoscimento tra donne.
Sappiamo quanto di questo è
ancora operante nella famiglia, nella scuola, come perduri una segregazione
femminile nell'istruzione, la presenza di stereotipi maschili sulle capacità
femminili, una precoce socializzazione ai ruoli sessuali nella famiglia e nella
scuola. Sappiamo anche quanto nella costruzione stessa del sapere il predominio
di un solo sesso abbia operato.
Sappiamo quali conflittualità
attraversano il rapporto madre figlia e come le insegnanti nei confronti delle
allieve spesso assolvono una funzione di controllo sociale che sceglie
l'autoritarismo e/o la riproposizione di comportamenti, giudizi, strategie diversificate
verso maschi e femmine in relazione ad una divisione di ruoli storicamente e
culturalmente connotata. Spesso in nome dell'uguaglianza si cancellano proprio
le strategie cognitive e relazionali delle ragazze, che non rispondono al
modello scolastico e alla scala di valori attraverso la quale viene codificata,
dal punto di vista maschile, l'esperienza umana. Possiamo pensare a una
pedagogia (quella materna e famigliare fondata su un sapere naturale, e quella
delle istituzioni formative, fondata su un sapere scientifico) che sappia
pensare la differenza sessuale, assumerla nel sapere e nel saper fare della
competenza educativa? Una pedagogia che sappia trovare connessioni, passaggi,
reciproci arricchimenti e confronti per rintracciare gli elementi preziosi di
una continuità tra pezzi di vita ed esperienza delle donne (madri e operatrici
professionalizzate negli apparati della riproduzione sociale), e cogliere le
rotture, le possibili reciproche trasformazioni per ridefinirsi a partire
dell'assunzione di concreti corpi di donne: madri, figlie, insegnanti, allieve.
Le bambine, le ragazzine, le
adolescenti, la loro corporeità, seduttività, le modalità relazionali e
comunicative messe in atto, il loro approccio alla conoscenza, e tutto quanto
non sappiamo, non siamo abituati a guardare e riconoscere come caratteristiche
della diversità di genere, stanno lì ad indicarci percorsi, a suggerire nuovi
modi della relazione, é quindi della relazione formativa, che a partire da un
modo di essere nel mondo, sappiano dare forza, sicurezza, tracciare itinerari
per la costruzione di identità sessuate libere.
Paridispari n.0, gennaio 1989
(uscito come supplemento al
mensile “Cronache umbre”)
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