19.2.14

Le bambine (di Laura Cipollone)

Laura Cipollone (1947-2001), è stata tra le studiose che meglio hanno innervato il discorso femminista nella pedagogia progressista. Educare alla differenza (sessuale, ma non solo sessuale) è il titolo di una raccolta dei suoi scritti, ma anche la chiave della sua ricerca, condotta attraverso sperimentazioni sul campo, talora connesse al ruolo di dirigente della Regione Umbria. Era una compagna del Pci, finché ci fu il Pci, poi – credo – continuò il proprio impegno culturale e politico a sinistra senza tessere di appartenenza. In Regione, oltre a dirigere politiche per la formazione, coordinò il Centro per le Pari Opportunità.
Quando sul finire degli anni 80, con Fausto Gentili, che per la segreteria regionale del Pci seguiva scuola, università e cultura, tentammo di dare vita a una rivista regionale sui problemi della formazione, la direzione fu affidata a un intellettuale della sinistra critica tra i più prestigiosi, Mario Migliucci. Il nome scelto per la testata era “Paridispari” e ad ogni numero si sarebbe affiancato un dossier. Della rivista uscì solo il numero zero (gennaio 1989), il primo e unico si intitolò Bambine e Bambini e ne venne affidata la cura a Laura Cipollone. Fu l’occasione per conoscerla ed apprezzarla, nel suo rigore, nella sua intelligenza, nella sua umanità.
Ho ritrovato una copia di quella rivista e ho scelto di recuperare l’articolo di Laura che dava il tono a tutto il dossier. (S.L.L.)


I percorsi compiuti per riconoscere e dire la differenza sessuale, dentro di sé, nella propria esperienza, tra le altre donne, tutti conducono a una bambina.
Quella che ognuna di noi è stata, quella che abbiamo o potremmo avere; in questo momento la bambina che vive ancora in noi; nel tempo, nella storia quella di cui si perdono le tracce, di cui quasi nulla si è registrato, ma che sappiamo vissuta fra le donne, educata da loro a divenire una donna, attraverso modalità aventi precise connotazioni in ogni luogo e periodo storico.
Le poche indagini volte a ricostruire una presenza delle bambine nella storia della famiglia e dell'educazione mettono in evidenza, a partire da una più generale difficoltà a ricostruire le condizioni dell'infanzia nel passato, la scomparsa e il cancellamento delle bambine dalla storia dell'infanzia. Così come il dibattito, le strategie d'intervento nei confronti dei bambini raramente assumono e rendono operante il sapere sulla differenza sessuale.
Se guardo alla bambina che ero, a quella che incontro per la strada, so che in comune hanno ancora molte cose, importanti per me che sono una donna adulta: la solitudine di sé fra le altre, l'eredità di dolore delle altre, l'assenza di parole, di un discorso che dica la relazione di ognuna con la propria madre, i percorsi impliciti, insondati della crescita di ogni bambina attraverso l'eredità delle altre donne.
Ma esprimono anche voglia di essere, di scoprire il mondo, di comunicare se stesse al mondo.
A questa domanda di futuro non possono che rispondere il primo luogo le donne che, nel far valere il "diritto della cura dei bambini come diritto civile", portano dentro i processi di socializzazione e formazione strategie volte a dar voce alla parola doppiamente oppressa per le bambine.
"A chi oggi ha a cuore la giustizia sociale propongo di affiggere in tutti i luoghi pubblici belle immagini raffiguranti la coppia madre-figlia" afferma Luce Irigaray, perché non c'è coppia più sola e debole, più profondamente svalorizzata di quella nella nostra organizzazione sociale. Valorizzare questa coppia vuol dire operare perché siano possibili legami di sorellanza tra le donne (comunicazione, solidarietà, conoscenza, riconoscimento), cioè creare modelli, rappresentazioni di una possibile ammirazione tra donne, punto di partenza per la costruzione di una rete referenziale simbolica tra le donne.
Quale modello (quali modelli) di donna quindi aiuterà le bambine a rendere viva, operante, la propria differenza sessuale? E quali nuove forme di relazione ed educazione tra madre e figlia, tra insegnante e allieva, tra più grandi e più piccole?
La storia della crescita delle bambine è infatti in buona parte storia dell'educazione delle donne da parte delle donne e se ne cominciano a rintracciare ed evidenziare le caratteristiche. Individuando alcuni elementi per una controstoria delle bambine Egle Becchi descrive questa esperienza come segnata dalla parola scritta e parlata, dall'operatività delle mani, dall'essere in luoghi chiusi all'esterno (la casa, il convento).
Gli obiettivi dell'educazione delle bambine si riferiscono non a se stessa ma alla possibilità di piacere agli uomini, e perciò a tutte quelle caratteristiche che rendono seducente una donna, sottomissione, accettazione dell'altro, dolcezza, piacevolezza, invece che aggressività, esplorazione, autonomia.
Un'esperienza formativa e di socializzazione segnata dalla funzione di controllo dell'educazione magistrale e domestica, dalla censura di ogni rapporto di scambio, di amicizia, di riconoscimento tra donne.
Sappiamo quanto di questo è ancora operante nella famiglia, nella scuola, come perduri una segregazione femminile nell'istruzione, la presenza di stereotipi maschili sulle capacità femminili, una precoce socializzazione ai ruoli sessuali nella famiglia e nella scuola. Sappiamo anche quanto nella costruzione stessa del sapere il predominio di un solo sesso abbia operato.
Sappiamo quali conflittualità attraversano il rapporto madre figlia e come le insegnanti nei confronti delle allieve spesso assolvono una funzione di controllo sociale che sceglie l'autoritarismo e/o la riproposizione di comportamenti, giudizi, strategie diversificate verso maschi e femmine in relazione ad una divisione di ruoli storicamente e culturalmente connotata. Spesso in nome dell'uguaglianza si cancellano proprio le strategie cognitive e relazionali delle ragazze, che non rispondono al modello scolastico e alla scala di valori attraverso la quale viene codificata, dal punto di vista maschile, l'esperienza umana. Possiamo pensare a una pedagogia (quella materna e famigliare fondata su un sapere naturale, e quella delle istituzioni formative, fondata su un sapere scientifico) che sappia pensare la differenza sessuale, assumerla nel sapere e nel saper fare della competenza educativa? Una pedagogia che sappia trovare connessioni, passaggi, reciproci arricchimenti e confronti per rintracciare gli elementi preziosi di una continuità tra pezzi di vita ed esperienza delle donne (madri e operatrici professionalizzate negli apparati della riproduzione sociale), e cogliere le rotture, le possibili reciproche trasformazioni per ridefinirsi a partire dell'assunzione di concreti corpi di donne: madri, figlie, insegnanti, allieve.
Le bambine, le ragazzine, le adolescenti, la loro corporeità, seduttività, le modalità relazionali e comunicative messe in atto, il loro approccio alla conoscenza, e tutto quanto non sappiamo, non siamo abituati a guardare e riconoscere come caratteristiche della diversità di genere, stanno lì ad indicarci percorsi, a suggerire nuovi modi della relazione, é quindi della relazione formativa, che a partire da un modo di essere nel mondo, sappiano dare forza, sicurezza, tracciare itinerari per la costruzione di identità sessuate libere.

Paridispari n.0, gennaio 1989

(uscito come supplemento al mensile “Cronache umbre”)  

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