9.3.14

1982. "Attenti agli Anni Trenta! " (di Nicola Tranfaglia)

Al tempo di Craxi, con una serie di mostre (una milanese di grande successo) cominciò la rivalutazione dell’Italia degli anni Trenta del 900, l’epoca del fascismo trionfante. Si cominciò a dire che nonostante la dittatura c’era molto di buono e che la stessa dittatura non era poi così cattiva come s’era detto. Quell’ondata revisionistica non è ancora cessata, anzi… Ragione di più per rileggere e tenere in evidenza il ritaglio dell’articolo che segue, di uno storico che si oppose all’andazzo e che in quella “moda” leggeva i prodromi di cambiamenti più profondi. (S.L.L.)

C'è qualcuno oggi, in Italia almeno, che — senza tirar fuori la retorica o i vecchi anatemi — abbia voglia non dico di arrabbiarsi, ma di avanzare qualche dubbio di fronte all'esaltazione crescente degli Anni Trenta?
E' probabile che qualcuno ci sia, ma finora si è guardato bene dall'intervenire.
Eppure da cinque o sei anni ormai, la naturale ripresa di interesse per quel periodo si è colorata di a-spetti singolari. Si sta consolidando, attraverso slogans più o meno indovinati, e rievocazioni più o meno mutile e addomesticate, un nuovo mito. Al luogo comune che ha avuto corso per troppo tempo, e che ci ha restituito un'immagine a tutto tondo di quel periodo come di un tempo in cui tutto era nero e oscuro, ora rischia di sostituirsi una nuova immagine, che espelle dal quadro ciò che contrasta con la mitizzazione nostalgica di quell'età.
A guardare oltre la facciata, oltre la vernice politica e ideologica, dicono i fabbricatori del mito-Anni Trenta, le cose non stavano come ci è stato sempre insegnato e trasmesso: la dittatura c'era, non si può negarlo, ma era provvida e paterna; i giornali erano conformisti, è vero, ma (come ha ricordato Montanelli, intervistato alla televisione) bastava dedicarsi alle pagine interne invece che alla prima pagina, e anche quel boccone si poteva ingoiare. Quanto all'arte, non c'è alcun dubbio: la pittura attraversava un periodo felice e memorabile e la stessa architettura — a parte qualche omaggio occasionale alle gerarchie — era in ottime condizioni di salute. Lo stesso dicasi per le arti cosiddette minori e per quella che si potrebbe definire 1 '«italian way of life», la vita quotidiana: i salotti, le case, le vacanze, le canzoni e così via.
Insomma, si dice e si ripete, è ora di accostarsi a quel periodo con occhio nuovo, di sottolineare finalmente gli aspetti positivi che contrassegnarono quell'età. E forse fin d'ora si potrebbe, insinua più d'uno, presentarla in modo diverso: non «anni di piombo» o, peggio ancora, di «ferro e di fuoco», come dissero i contemporanei: ma l'età del «realismo» o, che so io, d'una «belle epoque» in ritardo.
Ora, di fronte a un'operazione del genere, che arriva ai mass-media dopo lunga gestazione e larghe anticipazioni in altre sedi, occorre distin¬guere e parlare con molta chiarezza.
Ho già detto all'inizio che il problema non è quello di difendere vecchie immagini, che a volte la memoria dei testimoni, in altri casi un inevitabile manicheismo, possono avere diffuso. Ma alcuni dati sono indiscutibili.
Gli Anni Trenta furono, a livello politico, contrassegnati dall'ascesa di regimi dittatoriali in Occidente come in Oriente. E furono un periodo in cui la politica tese più che mai a invadere la vita anche privata della gente. Non fu indifferente per nessuno che Hitler salisse al potere in Germania (e basta vedere lo straordinario Mephisto di Szabo per rendersene conto ancora una volta), che Franco vincesse la guerra civile in Spagna, che Mussolini, rafforzato dal plebiscito e dal Concordato, desse mano all'impresa d'Etiopia e alle guerre future.
Si moltiplicarono in quel periodo i campi di concentramento per gli avversari interni in Germania e nella Russia di Stalin, i tribunali speciali per i sovversivi in Italia e in tanti altri paesi; dovunque le polizie segrete e criminali si organizzarono con grandi mezzi e nuovi espedienti. Agli italiani come ai tedeschi e agli spagnoli, per non citare tutti i paesi dell'Est o il Giappone autoritario e militarista, si disse coi fatti: signori, non occupatevi più della cosa pubblica; per questo ci siamo noi, e voi dovete subire senza protestare. Chi si ribella è un uomo morto.
Ma, soprattutto, i fascismi si diedero a preparare la guerra. Di fronte a una crisi economica come quella del '29, che aveva segnato la fine del capitalismo liberale rendendo inevitabile un massiccio intervento dello Stato nella politica economica, Hitler pose mano al più gigantesco progetto che mai fosse stato fatto di «assalto al potere mondiale». E, anche per illudere le masse che nulla fosse cambiato, i dittatori incoraggiarono l'evasione nelle canzoni, nella vita quotidiana e così via. Tanto, sarebbe venuta la guerra a farle rigar diritto.
Naturalmente, in questo quadro, che pure è impossibile metter da parte nelle sue linee essenziali, è necessario considerare la particolare la situazione italiana e segnalare le differenze che ci furono, quando ci furono. La dittatura fascista restò parecchio indietro rispetto a quella nazionalsocialista nel realizzare lo «Stato totalitario»; Mussolini doveva tener conto della forza perdurante di istituzioni come la China, la monarchia, l'esercito, e non poteva stringere oltre un certo limite le maglie del dominio fascista.
Questa differenza comportò, rispetto alla Germania nazista, alcune conseguenze non trascurabili, particolarmente in campo intellettuale e artistico. E' assurdo a mio avviso, fabbricare oggi il mito di un'arte libera da condizionameni i e non toccata dal regime; ma sarebbe antistorico affermare che non vi furono in quegli anni intellettuali o artisti degni di questo nome, solo in quanto erano ossequienti al fascismo. La dittatura intervenne pesantemente in campo culturale, ma non volle — né forse ebbe bisogno — di fare quello che Hitler aveva fatto hi Germania: così restarono aperti spazi e possibilità per opere di cultura come l'Enciclopedia Treccani (cui collaborarono tanti studiosi non fascisti rimasti in Italia) o come tanti quadri di Sironi o di Casorati (l'uno per molto tempo vicino al fascismo, l'altro da sempre lontano).
Detto questo, un'esaltazione nostalgica di quel periodo in Italia significa omettere troppe cose e accantonare troppe testimonianze incontestabili: anche nel nostro paese la politica era proibita ai non addetti ai lavori, dire di no era impossibile o molto difficile, una polizia segreta perseguitava gli oppositori, e si preparavano imprese belliche che in seguito sarebbero costate milioni di morti.
Ci vorrebbe, insomma, un atteggiamento meno superficiale e meno incline a dimenticare o a trasfigurare un passato per tanti versi così vicino e incombente. Un mito degli Anni Trenta non ha ragione di essere, anche se è giunto il tempo — su questo non c'è dubbio — di analizzare con molto rigore quello che contraddiceva o correggeva gli aspetti fondamentali di un quadro nel suo complesso oscuro. Ma, al di là delle indispensabili precisazioni sul piano storico, del richiamo a regole elementari di analisi corretta del passato (un passato sul quale abbiamo un'abbondanza eccezionale di documenti), la nostalgia degli Anni Trenta, la mitizzazione di quel periodo, si spiega forse anche con il particolare momento che stiamo attraversando. Sarebbe ridicolo e fuor di luogo fare confronti complessivi, o cercar somiglianze tra quegli anni e quelli in cui viviamo. Ma di una cosa sono convinto: anche oggi, come allora, stanno nascendo e si stanno preparando trasformazioni e mutamenti destinati a realizzarsi in un futuro prossimo e imprecisato.
Guerre? Regimi di tipo nuovo? Cambiamenti radicali nel nostro modo di vivere, anche privato e quotidiano? Non mi sento di azzardare pronostici o previsioni. Ma la sensazione di vivere in un periodo che precede avvenimenti di grande portata è diffusa tra noi. Questa sensazione spiega anche certi atteggiamenti, certa mentalità, certi modi di vivere altrimenti difficilmente comprensibili: il concentrarsi nel privato, la rinuncia a progetti di lunga scadenza, un certo distacco dalla politica. Insomma, alcune delle cose che succedevano negli Anni Trenta.


“la Repubblica” Venerdì 12 febbraio, 1982

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