Rasmussen (a destra) con un amico eschimese |
Knud Rasmussen (1879 1933),
autore del Grande viaggio in slitta,
nato e vissuto a lungo in Groenlandia, terra di ghiaccio e di solitudine,
sembrerebbe meritarsi proprio un «chi
era costui?» Eppure è uno dei grandi esploratori del Polo Nord, meta di sette
spedizioni scientifiche realizzate con una équipe di archeologi, geografi,
cartografi e naturalisti. In particolare, la quinta spedizione Thule ebbe
inizio nel 1921, durò tre anni e fruttò circa 20.000 oggetti, centinaia di
foto, svariati disegni e ben 5.500 pagine di interessantissimi appunti
scientifici. Una parte di questo materiale, pubblicato nel 1932 e tradotto in
varie lingue, è ora per la prima volta disponibile in italiano (trad. di Bruno
Berni, Quodlibet, pp. 308, € 16,00, con una sezione di fotografie e disegni).
Gli interessi di Rasmussen
riguardavano essenzialmente il versante etnografico degli eschimesi, nome con
cui si comprende l'insieme di popoli abitanti i territori artici in quella
parte estrema del mondo compresa tra Polo Nord, Groenlandia, Canada e Alaska,
il cosiddetto Passaggio a Nord Ovest. Essi sono gli akilinermiut, le persone che vivono dall'altra parte del mare.
Rasmussen parte dalla baia di Hudson, prosegue lungo le coste e le isole del
Canada e l'Alaska, arriva in Russia, e riesce a raccogliere testimonianze su
una cultura di cui fino ad allora non si avevano se non sparute informazioni.
Con gli eschimesi lui, danese della Groenlandia, comunica con estrema facilità
sul piano linguistico e culturale e condivide con loro caratteristiche fisiche,
come la resistenza al freddo e la capacità di adattamento. Ma questo Rasmussen
non è un Carneade e se i suoi resoconti hanno una certa aria di famiglia è
perché sulle sue notazioni Mircea Eliade o Ernesto De Martino andavano a
raccogliere informazioni di cui poi leggevamo in scritti dedicati allo
sciamanesimo e alla magia, ed è da lì che abbiamo imparato l'esistenza di
arcani viaggi nelle terre dei morti e degli dei.
Il fascino esercitato da terre
così inaccessibili (solo pochi anni prima Jack London aveva raccontato le sue
storie di cani, di foreste e di freddo) deriva dalla loro sostanziale
estraneità rispetto ai modelli culturali della “modernità” e dall'allure
esercitato dalla forza fisica e psichica con cui intorno al mar Glaciale artico
ognuno sa affrontare una natura leopardianamente avversa al genere umano. Degli
eschimesi impariamo a conoscere tutto ed è un tutto che si circoscrive con
facilità. Gli esseri umani sono un mero accidente rispetto all'immensità di
neve, ghiaccio e tundra e l'intelligenza di queste sparute comunità risulta
tutta finalizzata alla pura e semplice sopravvivenza (-18° quando è bel
tempo, - 50° quando il freddo si mette
l'abito da cerimonia), alle risorse esterne (ghiaccio, neve, rade sterpaglie),
al cibo disponibile: renna per primo, per secondo e per contorno; per dessert
larve di tafani – di renna – che crepitano sotto i denti. Limitate le
variabili: a seconda delle zone e delle stagioni, carne e grasso di foca,
merluzzo, lepre. Festa grande e canti epici quando i cacciatori mezzo congelati
e tramortiti dalle privazioni conseguenti al protrarsi della caccia trascinano
fino al campo un tricheco, da cui la reazione di esultanza delle donne e dei
bambini che vedono arrivare un quintale, un quintale e mezzo di carne, grasso e
pelle, e la felicità di alzare la fiamma del fuoco o delle lucerne perché solo
in quel momento gli spettri della fame, del freddo e buio sono allontanati per
qualche giorno. Tutto ciò comunica al lettore di oggi (pure abituato a credere
di non doversi stupire più di nulla) un misto di terrore e di gioia profonda,
uno scuotimento capace di far ricordare all'essere protetto da un carapace di
mura, metalli e vetri blindati quanto sia tenera la sua pelle e quanto i suoi
arti abbiano disimparato la fatica e la rude arte di aspettare anche un'intera
giornata che il muso di una foca si affacci ad un buco nel ghiaccio per
riprendere aria in quello che sarà il suo ultimo atto respiratorio.
Ecco, gli eschimesi fanno
ripartire l'orologio del genere umano dalla preistoria, con un sistema di
riferimento nel quale si può trovare a suo agio la dura scorza di un
groenlandese, figlio di un pastore protestante, nato con il pallino dei viaggi
oltre i confini del vivibile. Ben prima del generale Kutuzov, gli eschimesi
hanno compreso che l'inverno non è il nemico da cui cercare scampo, ma il
grande alleato, che gela le acque e rende il ghiaccio stabile consentendo alle
slitte di correre alla ricerca di nuovo cibo. E gli animali sono le mani della
natura da cui strappare cibo, luce, forza. Senza i cani da traino e la loro
determinazione nessuna spedizione avrebbe mai avuto luogo e nessun antropologo
avrebbe appurato alcunché di questi popoli straordinari, dei loro canti e dei
loro voli estatici, degli amuleti con cui difendevano se stessi e i loro
piccoli.
Sotto il profilo etnologico, gli
eschimesi non costituiscono un unico gruppo: ci sono quelli delle foche e
quelli delle renne, quelli del bue muschiato e quelli del Mackenzie e la
narrazione procede in modo lineare, a illustrare le storie e le ritualità di
popoli osservati con umana simpatia e discrezione. Al termine del libro abbiamo
imparato a conoscere una modalità di vita dimenticata da millenni e viva ancora
allo sbocciare del XX secolo, secondo la quale gli eventi hanno il valore di
segni annunciatori di fenomeni non ancora completamente percepibili.
Apprendiamo che è rilevante anche la posizione in cui viene disposto un pesce appena
pescato ed è bene conoscerla se non si vuole suscitare l'ira del mare e patire
la fame. Dunque il fenomeno dello sciamanesimo – comune a tutti i gruppi di
eschimesi – indica nettamente un atteggiamento di soggezione nei confronti
delle forze naturali. Lo sciamano agisce su mandato di un'intera comunità che
lo accompagna, lo sostiene e lo riaccoglie nel suo seno, per cui colpisce la
totale assenza di individualismo e il prevalere dell'istanza di coesione, in
virtù della quale le avversità risultano almeno affrontabili. Questo il grande
valore di un libro che senza enfasi e con il tono dimesso del cronista racconta
storie fantastiche, di morti che danzano e di vivi che ascoltano la musica
della neve che si scioglie, di dei offesi e di bambini che giocano ad
acchiapparella.
«il manifesto alias» 23-04-2011
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