Nel recente film Moonrise Kingdom-Una fuga d’amore (2012)
diretto da Wes Anderson con Bruce Willis, Edward Norton, Harvey Keitel, Tilda
Swinton, Bill Murray, il leit-motiv è la dolce ballata Le temps de l'amour che una Françoise Hardy appena diciottenne
incide a Parigi nel 1962; ma non è il suo primo successo: la ragazza, che già lavora
come fotomodella, qualche mese prima registra Tous les garçons et les filles, che viene trasmessa, con
grandissimi ascolti, un sabato in prime-time
alla televisione francese nel corso della diretta elettorale. La canzone, altra
dolente ballad, diviene ben presto
l’emblema di un disagio adolescenziale condiviso: l’esistenzialismo à la page riesce addirittura a vendere oltre
due milioni di dischi in tutto il mondo, con una cover italiana - Quelli della mia età – interpretata dalla
stessa Hardy.
La bellissima Françoise, suo malgrado, diventa un simbolo della cosiddetta generazione yé-yé (più o meno il corrispettivo del beat inglese) mietendo successi a 45 giri per un intero decennio: con Quelli della mia età, L'amore va, Parlami di te e altre 29 canzoni è famosa anche in Italia, dove partecipa a festival, cantagiri, trasmissioni radiotelevisive, innamorandosi di un brano come Il ragazzo della via Gluck, che traduce e canta in francese (La maison où j'ai grandi).
La bellissima Françoise, suo malgrado, diventa un simbolo della cosiddetta generazione yé-yé (più o meno il corrispettivo del beat inglese) mietendo successi a 45 giri per un intero decennio: con Quelli della mia età, L'amore va, Parlami di te e altre 29 canzoni è famosa anche in Italia, dove partecipa a festival, cantagiri, trasmissioni radiotelevisive, innamorandosi di un brano come Il ragazzo della via Gluck, che traduce e canta in francese (La maison où j'ai grandi).
Da allora, dopo i 33 brani cantanti
nella lingua di Dante (e oggi introvabili su cd), Françoise Hardy scompare
dalle scene italiane, mentre in Francia continua a lavorare in ambito musicale,
trasformandosi via via in una cantautrice raffinata che comunque riesce ancora
a porre al centro della propria attenzione le questioni amorose con un acume
psicologico; sussurra, con vocina flebile, testi a volte serissimi, e così non
può certo sorprendere, quando, nel 2012, debutta anche come narratrice con un
romanzo semi-autobiografico dal titolo L’amour
fou, prontamente pubblicato anche in Italia - L’amore folle - dalla milanese Edizioni Clichy con l’ottima traduzione
di Antonella Conti. Ed è proprio questo il primo vero grande ritorno in Italia,
dopo oltre quarant’anni, dell’algida cantante, la cui autobiografia musicale Le désespoir des singes (2009), che in
Francia vende subito 400mila copie, latita ancora vergognosamente dai cataloghi
dell’editoria nostrana, così come il primo importante libro sui di lei, Françoise Hardy superstar et ermite
(1986) scritto dal rockman Étienne Daho assieme a Jérôme Soligny, per non
parlare dei due più recenti volumi illustrati Rock made in France (Epa, 2010) di Patrick Maché e Les femmes de la chanson (Textuel, 2011)
di Yves Borowic. Del resto anche il cd L’amour
fou (Virgin) con dieci brani ispirati al libro è reperibile solo
d’importazione.
Tuttavia il ritorno della Hardy in
Italia è in un certo qual modo preparato, nel corso di un decennio, sia dalla
pubblicità - dove la ripresa di Comme te
dire adieu (scritta peraltro dal geniale Serge Gainsbourg) allieta vari spot
pubbilcitari - sia dal cinema con due film come Se devo essere sincera (2004) di Davide Ferrario e Ricordati di me (2003) di Gabriele
Muccino dove sono presenti i brani La
bilancia dell'amore, Ce pétit coeur,
I sentimenti (nel primo) e Des ronds dans
l'eau (nel secondo).
Françoise è dunque, dopo la grande
stagione postbellica (ossia Edith Piaf e Juliette Greco), l’unica diva francese
a contrastare il predominio angloamericano nel campo della musica leggera, con
brani seducenti perché affrontano candidamente
temi generazionali dal punto di vista di una ragazzina che recita sino in fondo,
con un velo di oggettiva malinconia, il ruolo dell’anima triste, delusa,
vittima insomma dell’egoismo e dell’incomprensione dei maschi e degli adulti.
Sembra tutto vero, ma qualcuno,
già all’epoca, mette in dubbio la sincerità dell’interprete, perché si tratta
di una femmina dalla bellezza straordinaria, dalla raffinata eleganza, dai modi
cortesi e dallo spirito modernista: sono tutte qualità che dovrebbero respingere
ogni problematicità esistenziale. Eppure un fondo di verità - o anche qualcosa
di più - esiste già nella protagonista di Tous
les garçons et les filles: ora con L’amore
folle affronta di fatto gli stessi temi con un’analoga propensione alla
mancanza di autostima fino a mostrare comportamenti quasi distruttivi. Ma la
Hardy, con la stesura del libro sembra uscire dal tunnel, nel senso che la
scrittura opera talvolta un effetto catartico, per affrontare e risolvere problemi spinosi a
livello psicologico.
Il libro di Françoise è la
classica love story tra una «lei» (evocata prima in terza, poi nel finale in prima
persona) e un «lui» chiamato «signor X», il quale, stando alle parole
dell’autrice sarebbe la sintesi dei suoi tre grandi amori (il fotografo Jean-Marie
Périer, il cantante Jacques Dutronc e...); la storia è virtuosisticamente
narrata mediante l’amore folle della protagonista verso un uomo posseduto
anch’egli da bruschi, inspiegabili, antipatici cedimenti relazionali; e l’amour fou prosegue – quasi diaristicamente
- nella strategie messe in atto dal personaggio femminile per lenire il proprio
dolore, senza rinunciare a un sentimento che di fatto non riesce (o forse non
vuole) governare. Anche in traduzione italiana, L’amore folle rende bene il percorso stilistico dell’autrice che su
un tema praticamente sfruttatissimo nella storia letteraria fin dall’antichità sa
essere fresca, nuova, originale grazie a una prosa studiatissima anche nel
riflettere dolori, crudeltà, passioni, inquietudini di un gioco cerebrale
terribile.
In questa intervista - in
esclusiva per Alias - la stessa Françoise Hardy spiega alcune ragioni di un libro a lei caro, oltre
soffermarsi qua e là su un passato importante.
●Cosa rammenta dell’Italia, dove lei fu protagonista negli anni
Sessanta?
Mi ricordo soprattutto le varie edizioni
del Cantagiro e l’impatto incredibile sul pubblico di artisti come Adriano
Celentano come pure di Gianni Morandi che aveva una canzone sublime, Se non avesssi più te composta da Ennio
Morricone. E poi era molto divertente, e anche molto strano sfilare a 20
chilometri all’ora su automobili decapottate, con tutta la gente ammassata ai bordi
delle strade proprio come succedeva, e succede, per le gare ciclistiche.
●È stato difficile il recente passaggio da cantautrice ad autrice di
libri?
Scrivere in prosa è molto diverso
dallo scrivere testi per canzoni, testi che devono catturare lo spirito della
melodia e mettersi al suo servizio, rispettando ogni contrasto ritmico. Anche
se tento di farlo ugualmente conciso e strutturato come il testo di una canzone,
anche se la musicalità è ugualmente importante nella prosa proprio come per la canzone,
il testo narrativo mi sembra perfettibile quasi all’infinito, mentre questo non
vale per una canzonetta.
●Pur leggendo il suo romanzo, «L’amour fou», in lingua italiana, si
riesce a percepire un livello stilistico notevole, grazie a una perfezione
formale incredibile. Ha lavorato molto sulla scrittura?
Quello che dite non può farmi che
estremamente piacere! Ho lavorato tantissimo sulla forma, sullo stile, tornandovi
sopra quasi senza tregua, e sono stata ferita dal fatto che nessun critico
letterario francese si sia degnato di soffermarsi in tal senso sul mio libro.
●Passiamo ai contenuti: cosa c’è di veramente autobiografico nel libro?
Molto! Se non mi sento una scrittrice
è solo perché non ho immaginazione e non sarei mai capace di scrivere su
qualcosa che non sia in stretto rapporto con il mio vissuto.
●Ci può raccontare un aneddoto legato al libro che non ha ancora
raccontato a nessuno?
Ho grossi problemi di salute dal 2004
che, tra le altre cose, m’impediscono di viaggiare. Nel 2011 ho consultato una psicanalista
per qualche tempo. Un giorno le ho parlato di quello che in seguito è poi
diventato L’amour fou, romanzo cominciato
da oltre venticinque anni, ma con una forma che ho cambiato quasi regolarmente da allora
a oggi. Sottolineandole l’aspetto intimo del romanzo, le ho confidato che non
avevo voglia di mettere in imbarazzo mio figlio con ciò che avrebbe potuto
essere pubblicato; inoltre mi sentivo molto male fisicamente, avevo
l’impressione di poter morire da un giorno all’altro, ero quindi tentata di buttare
via il manoscritto senza troppi rimorsi. "Ti impedisco di fare una cosa
simile!" mi ha gridato.
●E quindi ha seguito il consiglio della piscanalista…
Così, quando L’amour fou è uscito - e le confesso che all’inizio non avevo
davvero né l’intenzione né la voglia di pubblicarlo - gliene ho inviato una
copia, perché, senza di lei (la psicanalista) questo libro non sarebbe mai
esistito. Dopo averlo letto, mi ha fatto il miglior complimento possibile, dicendomi
che ne aveva caldeggiato la lettura a molti suoi pazienti.
●«L’amour fou» in effetti trabocca di cultura letteraria sul piano stlilistico, ma quali sono gli autori che ama leggere di più?
Direi George Eliot, Henry James, Edith
Wharton, Vita Sackville-West, Rosamond Lehmann e in un genere ben diverso
Higgins Clark o Anne Perry.
●Conosce qualche autore italiano?
Ho scoperto di recente La coscienza di Zeno di Italo Svevo, un
romanzo strano che però mi ha coinvolta. Per quanto riguarda la letteratura
italiana adoro anche Seta di
Alessandro Baricco e molto prima Il
disprezzo, forse il mio romanzo preferito di Alberto Moravia al quale
l’omonimo film di Jean-Luc Godard deve tutto.
●E ci sono dei romanzieri che possono averla influenzata?
Si tratta di un circolo vizioso. Sono
attratta dai romanzieri che raccontano e sviluppano in lungo e in largo ciò che
mi interessa di più: l’amore impossibile.
●Ma allora cos’è l’amore per Francoise Hardy?
Questione vastissima e parola fin
troppo abusata! Molta gente che crede di amare il proprio partner o il figlio
lo trasformano in sfortuna o infelicità a causa della loro possessività, della
gelosia, del modo di soffocare l’altro, di impedirgli di crescere, di vivere la
sua vita. L’ha sottolineato assai bene il grande scrittore Sandor Marai:
"L'amore è quasi sempre un immenso egoismo". E non dimentico mai
quest’ingiunzione di una guida spirituale di altissimo livello: "Lavorate
di più sul ‘discernimento’ che sull’amore, perché se l’amore non è guidato dal
discernimento, non è un amore vero. Ma senza dubbio si diventa capaci di amore
vero solo dopo tutte le prove di cui un amore egoista è portatore quasi per
obbligo". L’amore vero è un lungo apprendistato e la vita è troppo breve.
●Leggendo «L’amore folle» alla fine si scopre dunque il ritratto di una
donna sofferente che sembra l’opposto dell’immagine che abbiamo di lei. Come si
spiega questo contrasto?
L’immagine che lei o altri
italiani hanno oggi di me non corrisponde in niente o non corrisponde più a
quella, assai più giusta, che hanno di me in Francia. E ho sempre cantato canzoni
sentimentali tristi, la cui ispirazione - come quella del mio romanzo - vengono
direttamente dalla mia vita personale, che è stata ed è difficile.
●Purtroppo l’altro suo libro - l’autobiografia - non è ancora tradotto
in italiano; ma in breve potrebbe dirci come ha vissuto la musica cosiddetta yé-yé
degli anni Sessanta? Era veramente un periodo mitico o quanto meno favoloso,
come certa pubblicistica ancora lo dipinge?
Quando si è molto giovani – ciò che
ero effettivamente durante i Sixties - non si presta attenzione alle
caratteristiche dell’epoca in cui ci si trova. Ci sono poi ricordi che
affiorano molto più tardi; e talvolta confrontiamo ciò che avviene oggi con ciò
che accadeva ieri; e allora ci si rende conto che era un’epoca meno dura a
priori. Innanzitutto eravamo molto meno numerosi, per quanto riguarda le
professioni ritenute artistiche. C’era
meno competizione e meno disoccupazione. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e
ogni epoca ha i propri inconvenienti sui vantaggi veri e propri. Diciamo che la
creatività era molto più ricca, più ispirata negli anni Sessanta rispetto a oggigiorno.
●C’era amicizia tra lei e gli altri grandi miti di quell’epoca, che so,
nel cinema, Brigitte Bardot o Jean-Luc Godard?
Con Brigitte Bardot ci siamo incrociate
qualche volta, ed era molto spontanea, calorosa, simpaticissima. L’esatto
contrario di un Godard, che ho visto molte volte, anche sul set, ma era taciturno,
freddo e antipatico.
●Ma che effetto le faceva all’epoca leggere sui giornali o sentire alla
televisione che lei era considerata la donna più bella del mondo?
Nessuno, perché quest’asserzione
era totalmente ridicola. Non c’è una donna più bella del mondo, nemmeno il più grande
attore o il maggior pittore. Fortunatamente…
“alias il manifesto”, 8 agosto
2013
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