6.3.14

Palermo 1780. Cornuto e ammazzato (dai Diari del Marchese di Villabianca)

Francesco Maria Emanuele, marchese di Villabianca
A 2 marzo 1780, giovedì.
Michele Montaperto, avendo tollerato per qualche tempo volontariamente l'adulterio di sua moglie con Michele La Lumia, ch'era dottore di legge e che faceva il curiale criminale, vergognatosene in fine, implorò il braccio della giustizia per vendicarsi dell'infedele consorte e dell'amasio.
Questo passaggio da tolleranza a nimicizia produsse però l'effetto di essere stato proditoriamente scannato esso Montaperto dal detto La Lumia, accompagnato da un sicario, ch'era paggio di condizione, in una casotta vicino la porta di Sant'Agata, addì 4 dicembre del precedente anno 1779. 
E vi fu di più, che quegli scellerati fecero barbaramente in più brani il cadavere, gittate avendone le infrante membra e la testa ne' cessi de' conventi di S. Antonino e di S. Francesco li Chiovara.
Così venne lor fatto che fosse scomparso lo sventurato Montaperto dal Mondo: ma non poté avvenire che sì grave delitto si rimanesse nascosto. Laonde, essendo stati presi dalla giustizia, fatte le debite prove e le inquisizioni, vennero entrambi condannati a morte dalla corte capitaniale di questa città addì 14 febbraio 1780. Però l'esecuzione della condanna ebbe poi luogo il 2 marzo a causa del tempo, che dové correre nel passaggio della causa alla Gran Corte criminale, da cui non fu fatto buono l'appello, né il giuridico gravame. Perloché dalla corte capitaniale suddetta, nel piano fuori porta S. Antonino, si fece quest'atto di giustizia, per cui Michele La Lumia, oriundo di Naro, nato in Misilmeri e battezzato in Palermo, dell'età di ventisette anni, lasciò la testa sul palco ferale per taglio di mannaia, decapitato come laureato in legge; e Francesco Trippodo, sicario come sopra e traditore regnicolo, giovane pur dell'età di circa ventitré anni, rese lo spirito sotto la forca come ignobil persona.
Notisi intanto per quest'atto di giustizia, che il popolo, sospettando potesse usarsi considerazione in pro della persona del Lumia in ragione de' suoi civili natali e della sua qualità di dottore, ed anche perché i suoi parenti potevano spendere, accorse quasi tumultuosamente ed in folla sì nella corte capitaniale, che nell'aula della Gran Corte in palazzo, in tutte e due le volte che si dibatté quel giudizio. L'atrocità del delitto vi chiamò la pubblica vendetta. E ciò fu cosa, che pose in non poca soggezione il governo a strepitar fortemente appo i giudici per la pronta giustizia e pel pubblico esempio.
Il detto Lumia confessò il suo delitto al capitano, principe di Paternò, ma come solo al principe di Paternò, e non mai come al capitano. Il Paternò però gli fece la parte di sbirro, e lo fece giustiziare.

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