Rousseau in Svizzera perseguitato. Disegno di Bouchot |
Ci sono molti indizi che fanno
pensare alla guarigione della cultura contemporanea dalla malattia Jean Jacques
Rousseau. Probabilmente era inevitabile, e forse è anche un bene aver allontanato
dall'uso quotidiano l'ombra di un piccolo borghese senza capitalismo, un
rivoluzionario dell'immaginazione, un soggetto ostinato frequentatore di
irrealtà, marcato dal vizio teologico che vede nel mondo l'assenza della verità
e la fioritura opaca del negativo. Che sia accaduto senza rimpianti tuttavia è
falso, poiché le sue possibilità di seduzione erano innumerevoli e le occasioni
dei suoi testi a portata di fantasia e di parola, di persona o di gruppo. Jean Jacques
tenne compagnia anche ai sogni occidentali della «rivoluzione culturale»
cinese. A chi, in una forma o nell'altra, per via di Marx, Proust, o, più in
piccolo, Levi-Strauss, aveva contratto il contagio, la notizia attuale del
pieno ristabilimento credo sia destinata a dare quella leggera vertigine che
s'incontra nell'aria di primavera dopo una lunga febbre
Eric Weil scrisse una frase piena
di luce: «Ci voleva Kant per pensare i pensieri di Rousseau. Infatti se si
decide, anche nel caso di Rousseau, di optare per lo stile della filosofia, allora
le riflessioni roussoiane di Kant, giovane e vecchio, sono insuperabili. Esse
dicono che attraverso la metafora dello stato di natura è possibile pensare la
critica del mondo storico e sociale, le sue ingiustizie, violenze, bruttezze, stupidità,
mentre attraverso il contratto sociale è possibile costruire, nel tempo storico
e con l'artificio, una comunità che realizzi nella forma della vita civile i
valori morali che la
natura ha inscritto nel proprio
disegno. La filosofia di Rousseau, attraverso Kant, diventa una delle variabili
illuministiche della filosofia della realizzazione, dell'ordine razionale del
mondo e della educazione dell'umanità. Ma — domandiamoci — che cosa vuol dire
trovare i «pensieri» di Rousseau?
Ovviamente il pensiero è nulla,
ma se lo si nomina si intende indicare una regola discorsiva, un modo di
porgere gli argomenti, un presupporre un rapporto particolare tra chi parla e
chi ascolta che non è proprio di altri scambi simbolici. Parlare di pensiero
vuol dire interpretare con una straordinaria energia. L’antologia di queste
letture di Rousseau appartiene a una tradizione interpretativa molto forte e piena
di conflittualità: c'è o non c'è unità nel pensiero di Rousseau? Comunque la
questione venisse risolta, essa coimplicava quasi sempre solo le opere più note
e la legittimità o meno di certi percorsi tra l’una e l'altra. In ogni caso quando
si privilegia il «pensiero» di Rousseau è quasi inevitabile che l'opera di Rousseau
venga letta come una «filosofia della realizzazione» con un effetto abbastanza
sconvolgente rispetto ai patimenti intellettuali dell'autore: pensiamo quanto Rousseau,
fonte del giacobinismo, avesse in sospetto il cambiamento politico e come lo
considerasse simile a un'imprudenza. Questo è solo un esempio abbastanza banale,
ma molte delle iniziative che seguono il processo di oggettivazione filosofica
e storica dei testi roussoiani, allontanano le pagine dal loro autore. Esse
vengono proiettate su altre storie più rilevanti, si guadagna così in
prospettiva, ma a prezzo di una trasfigurazione del senso sulla quale si è
esercitata la lettura possessiva di generazioni dì interpreti.
Lo splendido libro di Jean
Starobinski di più d'una decina d'anni fa, ora tradotto in italiano (La trasparenza e l'ostacolo,Il Mulino) è
ormai un classico della inversione di rotta. Credo si debba a questo libro
l'impossibilità di guardare a Rousseau con l'ingenuità filosofica del concetto.
Il che significa essere in grado di cogliere tutte le derive possibili
di questo linguaggio. Naturalmente il libro di Starobinski è scritto in dialogo
con gli interpreti contemporanei che valgono di più, Dérathé, Burgelin, Guéhenno,
Gouhier, Raymond, ecc.), ma il suo stile non è quello di un mosaico
storiografico, ma di un ascolto paziente, sottile e insistente. Troviamo Rousseau
attraverso , come deve avvenire per un autore che è continuamente un problema
per se stesso: pagine che rappresentano, pagine che vogliono dire, pagine che
devono essere difese.
Una lettura che percorre questi
strati di discorso e che li deve continuamente dominare con il gioco delle reciproche
illuminazioni ha bisogno, via via, di comporre «figure» che mostrino le varie
apparizioni dell'autore e dei suoi testi. prelievo e la comparazione dei segni
è una pratica medica prima che psicoanalitica: da sempre ho ammirato
Starobinski, ma solo adesso ha scoperto che lo scrittore di filosofia è anche
medico. La lettura «dentro» Rousseau produce naturalmente risultati
irreversibili ma, fatto interessante, conduce Starobinski nel circuito dei grandi
lettori contemporanei di Rousseau, Goethe, Schiller, Holderlin. Toglie quindi
dall'oblio storiografico modi di capire e di reagire...
Di questo ascolto qui non posso
riferire che le due voci dominanti, quelle che il titolo del libro getta nel
primo piano: la trasparenza e l'ostacolo. Trasparenza e ostacolo sono
incompatibili. Ove esiste l'ostacolo il prezzo della sua eliminazione è la
perdita della trasparenza. Ma se vi è trasparenza non esistono più ostacoli:
anima, mondo e natura penetrano l'uno nell'altro in una danza casta e felice. La
trasparenza è la comunicazione reciproca senza residui, il riconoscimento delle
individualità come anime che trasmettono l'immediato sentire, è il linguaggio diretto
del sentimento che comunica in forma evidente. La trasparenza era all'origine dell'umanità,
e il racconto della origine silvestre degli uomini è necessario a Rousseau per
stabilire un rapporto tra discorso e realtà, tra immaginario e possibile a
l'origine trasparente è anche un sogno individuale poiché l'io può salvarsi
interiormente dal naufragio del mondo, e diventare una scelta di esistenza ostinata
sino all'ossessione.
L’ostacolo è sulla strada della
vicenda umana. Ostacolo è la natura che circonda l'anima e che ne limita il
perimetro espansivo con il peso del corpo; occorre vincere questo limite con il
lavoro e la comunità sociale. Ma l'ostacolo così non si rimuove al contrario si
raddoppia: i mezzi diventano il centro dell'esperienza, la comunicazione
sociale vede comparire l’interesse individuale, l'orgoglio, la competizione, lo
scambio apparente, la strategia. Si perde la solidarietà naturale e nasce un
mondo che riproduce ostacoli, linguaggi che non sono evidenti e rinviano a una
interpretazione senza fine che diffonde opacità ed inganno. Così che, nel
disastro del mondo, la trasparenza può ritornare solo come trasparenza di sé,
confessione: “Io sono la mia ricerca di me”, scrittura come dettatura
dell'anima, segno che dalla solitudine dell'io ripete, nel senso, la musica
delle origini.
Le pagine di Starobinski paiono
in gara con se stesse quanto alla bellezza. In modo immodesto premierò, su
tutte le parti che analizzano la festa nella Novella Eloisa. Dopo i carnevali cristiani che rinnovano le feste
d'inverno dell'antichità, il gioco teatrale del misconoscimento delle maschere,
la gloria della festa politica, partecipiamo alla festa edificante delle anime
belle nella pace idilliaca dell'isola della virtù e della natura. Poi,
inevitabilmente ricomincia tutto da capo.
“L’Unità”, 22 settembre 1982
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