La Chiesa si rifiuta di celebrare
i suoi funerali, l’Argentina respinge la salma, Roma gli nega la sepoltura.
Priebke è morto e nessuno lo vuole. Il suo corpo, quel corpo di vecchio che lui
nelle uscite con la badante si studiava di mantenere eretto come si conveniva a
un ufficiale delle SS, ora è composto nella bara. Ma in quella morte non c’è
nessuna pace. La sorte di quel cadavere rischia di diventare un incubo. Dove
sarà sepolto? Questa era stata la prima domanda che ci si era posti. E la
risposta era stata: in Argentina, dove aveva vissuto per mezzo secolo
indisturbato. Era un desiderio più che una risposta, dettato dal senso della
speciale sacralità del suolo italiano e romano dove riposano le vittime delle
Fosse Ardeatine. E invece no, l’Argentina non lo vuole. Così è cominciata una
storia che promette di essere una strana ma importante cartina di tornasole di
abitudini antiche e di problemi nuovi. Qui sono presenti e in conflitto
l’opinione pubblica, le regole civili e le norme ecclesiastiche. L’esecrazione
per l’uomo che ha ucciso i martiri delle Ardeatine ma poi ha negato di averlo
fatto, ha mentito sulla Shoah sapendo di mentire e ha continuato lui vivo a
infangare la memoria delle sue vittime, è un sentimento talmente forte che solo
la vecchiezza estrema dell’antico uccisore di inermi ha potuto stemperarla: con
la sua morte è rimasto a tutti solo il desiderio di dimenticarlo al più presto.
In Italia si seppellisce quasi
sempre con rituale religioso. Pochi lo rifiutano. E la Chiesa non nega
praticamente mai le esequie ecclesiastiche: non sono più i tempi in cui le
ceneri degli eretici mandati al rogo erano disperse nell’acqua del Tevere o i
protestanti e gli ebrei venivano sepolti furtivamente a notte lungo il Muro
Torto. Per gli italiani i funerali in chiesa fanno parte di un loro speciale
cristianesimo diventato abitudine e normalità anche per molti non credenti.
Tanto è vero che non esistono da noi luoghi deputati per un rito laico
dell’ultimo saluto. Anzi, come ha detto l’avvocato di Priebke Paolo Giachini,
quelli religiosi sono un diritto di tutti. Ma il Vicariato ha detto no e la
decisione nella diocesi che ha per vescovo l’argentino Bergoglio diventato Papa
Francesco deve essere stata attentamente meditata e non presa a caso.
Cerchiamo di affidarci al codice
di diritto canonico per capire meglio. Qui si elencano molte categorie a cui
deve essere negata la sepoltura ecclesiastica: eretici, apostati, scomunicati e
altro ancora, persone che fino all’ultimo, consapevolmente, senza pentirsi,
abbiano negato e combattuto la dottrina della Chiesa e si siano esplicitamente
a lei dichiarati avversi. Ma c’è un caso recente che tutti hanno in mente e che
forse ci può aiutare a capire come funzionino queste regole: quello di Giorgio
Welby. La sua ferma e consapevole rinuncia alle cure e l’espressa volontà di
far staccare la macchina che lo aiutava a respirare lo rese agli occhi del
Vicariato di Roma ribelle lucido e consapevole alla dottrina della Chiesa
contro il suicidio e l’eutanasia e dunque indegno di funerali religiosi. Fu per
molti un dramma, una lacerazione delle coscienze: ma come, la Chiesa non
perdona? Toccò al cardinal Ruini allora vicario della città di Roma spiegare
che la Chiesa poteva concedere il rito religioso anche ai ribelli alla dottrina
ortodossa (in quel caso ai suicidi) purché si potesse accampare il dubbio che
fossero mancati in loro « piena avvertenza e deliberato consenso». Ecco il
punto: Welby fino all’ultimo e con piena lucidità rifiutò di riconoscersi in
quella religione che gli imponeva di vivere a forza, attaccato a una macchina.
La sua scelta espresse le convinzioni di molti e fu comunque oggetto di grande
e diffuso rispetto; quella del vicariato invece apparve gelidamente crudele.
Ma Priebke? Su di lui a
differenza che nel caso di Welby, la condanna del vicariato va d’accordo col
giudizio unanime dell’opinione pubblica. Priebke fino all’ultimo ha rifiutato
di pentirsi di ciò che aveva fatto e ha mantenuto ferme con «piena avvertenza e
deliberato consenso» le convinzioni che lo avevano portato alla strage delle
Fosse Ardeatine. Ecco il punto fondamentale: oggi una diocesi di Roma non più
governata dal vicario cardinal Ruini ma dal vescovo Bergoglio – papa Francesco,
ha voluto dare il segno che ci sono peccati così gravi da imporre il rifiuto
dello spazio sacro per il rito funebre. Si dovrà dunque riscrivere a partire da
questo segno il patto italiano di convivenza e sovrapposizione tra abitudini
sociali e riti religiosi cristiani. E comunque il senso del peccato
imperdonabile che è per l’opinione pubblica la rivendicazione impenitente della
strage delle Fosse Ardeatine coincide, a quanto pare, con la sentenza del
vicariato cattolico di Roma.
Resta la necessità di una
sepoltura di quel corpo: la più rapida e discreta possibile, ma pur sempre una
sepoltura. Su questo si deve essere chiari. Non è degno di una società civile
infierire sui corpi dei morti: e se l’Italia è stata così civile da offrire al
criminale Priebke un processo secondo le regole e una pena attenuata e quasi
cancellata in ragione della sua età, non sarà certo il caso di fare passi
indietro su questo percorso. Del morto Priebke vorremmo non dover parlare più
se non in sede di analisi storica, per conoscere meglio i meccanismi che hanno
fatto di uomini comuni come lui la banda di assassini di cui è stato membro e
per ragionare sulla storia che abbiamo alle spalle – per far sì che non si
ripeta più. Ma non c’è dubbio che un corpo umano debba essere sepolto. Non solo
perché questo è ciò che dalla preistoria in poi ha distinto la nostra specie
dalle altre specie animali. Anche perché sarà la sepoltura, che ci auguriamo
nella notte e nell’ombra, a chiudere alle nostre spalle la storia di una vita
di vile ed efferata ferocia e ad allontanare da noi per sempre quella vivente
provocazione che era la passeggiata dell’uomo nella città da lui insanguinata.
“la Repubblica”, 13 ottobre 2013
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