Haiti |
Articolo non nuovissimo, ma profetico. Le imminenze
che annunciava sono in pieno svolgimento. Il neocolonialismo non è finito e con
esso torna quella schiavitù da cui gli abitanti di Haiti un tempo si erano
liberati. (S.L.L.)
Lamothe |
Una nuova disgrazia si abbatte su
Haiti: l’oro.
Oro, argento, rame: «Il nostro
sottosuolo è ricco di minerali. Ora è venuto il momento di tirarli fuori», ha
dichiarato di recente il primo ministro haitiano (e imprenditore delle
telecomunicazioni internazionali) Laurent Lamothe. In un discorso al senato,
Lamothe ha detto che i giacimenti minerari racchiusi nel nord del paese sono
stimati in oltre 20 miliardi di dollari. Una grande ricchiezza naturale nella
poverissima Haiti, dove oltre metà della popolazione vive con meno di un
dollaro al giorno e gran parte del bilancio dello stato deriva dagli aiuti
internazionali. E dunque, ben vengano investitori - lo slogan del suo governo, dopotutto,
è «Haiti è aperta al business».
Il suo governo infatti ha già
cominciato a distribuire concessioni, anche se con pochissima informazione
pubblica. In un lungo e documentato articolo sul blog del “Guardian” leggiamo che
oltre un terzo del territorio del nord di Haiti, almeno 1.500 chilometri
quadrati, sono stati dati in concessione a compagnie minerarie statunitensi e
canadesi. Eurasian Minerals ha acquisito 53 licenze e raccolto oltre 44mila campioni
di terreno (siamo nella fase delle prospezioni); il presidente della compagnia,
David Cole, ha dichiarato che Eurasian ha ormai il controllo su oltre 1.100
miglia quadrate. Esperti del settore dicono che i giacimenti haitiani sono tali
da far passare in secondo piano il rischio geopolitico (quale rischio, poi, in
un paese presidiato da 10mila caschi blu delle Nazioni unite, e retto da un
governo che considera prioritario garantire gli interessi degli imprenditori).
Dunque leggiamo che le compagnie
minerarie hanno finora speso 30 milioni di dollari per scavare e fare
sopralluoghi, attratti in particolare dai depositi d’oro - in gran parte del
tipo alluvionale, parte della stessa fascia mineraria che contiene il più
grande giacimento d’oro delle Americhe, quello di Pueblo Viejo nella confinante
Repubblica Dominicana. In lista d’attesa per aprire miniere ci sono i grandi
nomi: Newmont Mining, Majescor, Vcs Mining.
Per avere un’idea della corsa
all’oro haitiana prendiamo uno dei siti indicati per le future miniere. Nel
villaggio di Lakwèv, vicino alla frontiera con la Repubblica Dominicana, gli
abitanti dicono che ogni tanto arrivano persone sconosciute, «di solito un paio
di bianchi grandi e grossi insieme a un paio di haitiani», prendono campioni di
rocce e terriccio «senza neppure chiedere di chi è quel terreno», e se ne vanno
- riferisce l’articolo del Guardian. Il villaggio stesso nel frattempo vive di
una corsa all’oro minore, miserabile: gallerie scavate con mezzi artigianali in
cui si addentrano adulti e bambini, a scavare nella terra rossastra. Una
giornata può rendere qualche grammo d’oro; una volta alla settimana arrivano
commercianti dalla città (o dalla repubblica confinante) e gli comprano quei
pochi grammi per circa 700 dollari l’oncia, metà del prezzo di mercato - che
ormai supera i 1.500 dollari. Nel villaggio per altro non c’è presenza alcuna
dello stato - insegnanti, ambulatori, amministrazione locale.
La domanda è: quando le grandi
compagnie minerarie saranno passate alla fase operativa e avranno aperto le
loro miniere, chi trarrà beneficio dalla nuova eldorado? Le casse dello stato e
gli abitanti di Lakwèv? C’è da dubitarne. L’ente nazionale per le risorse
minerarie, che dovrebbe monitorare il settore, non ha il budget e i mezzi per
farlo. Gran parte dei siti minerari sono del tutto fuori dal controllo
pubblico. Estrarre minerali implica l’uso di sostanze tossiche come cianuro e
arsenico, ma nessuno farà rispettare degli standard di sicurezza sui reflui. Implica
anche togliere la terra a chi ci abita.
Secondo le leggi in vigore,
nessuna miniera può essere aperta senza firmare un contratto, ma l’ex ministro
delle finanze Ronald Baudin - ora consulente di Newmont - ha annunciato che per
non «danneggiare le imprese» saranno firmate delle deroghe. La «maledizione»
delle risorse naturali si sta per ripetere.
il manifesto, venerdì 1 giugno
2012
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