17.3.14

Madame du Deffand tra il salotto e il nulla (Giovanni Mariotti)

Molte biografie si sono scritte negli ultimi anni, in Italia; quella di Benedetta Craveri dedicata a Madame du Deffand e il suo mondo (Adelphi editore, in libreria fra qualche giorno) spicca per la sua novità, per l'ampiezza, per il pregio.
Osserva la Craveri che, dopo una giovinezza libertina, Madame du Deffand (1697-1780), non potendo più contare «sulla sua reputazione morale», fu costretta «ad avvalersi di quella che le veniva dal suo spirito e dalla sua intelligenza». Quest'osservazione deliziosa, e veramente degna del Settecento, dà la misura dell'intelligenza della biografa. Dalla depravazione giovanile Madame du Deffand trasse in verità grande profitto. A cinquant'anni diventò cieca, ma la sua perfidia mondana era tale che nessuno si sarebbe azzardato a compiangerla, benché lei ripetesse spesso di essere indicibilmente annoiata.
Teneva un salotto per i suoi contemporanei, e un epistolario per i posteri, anche se non l'avrebbe ammesso, poiché «l'idea di posterità» le sembrava «una chimera». Forse per questo, a pensarci bene, ci appare così esotica, e lontana: la nostra non è epoca né di salotti, né di epistolari. Non è neanche un' epoca lucida, mentre lo scrittore franco-rumeno E.M. Cioran vede all'opera, in Madame du Deffand, il «flagello della lucidità». Un figlio tardivo della stessa civiltà, lo scrittore e grammatico d'origine italiana Rivaroli, detto Rivarol, si vantava di poter risolvere, al culmine di un amplesso, un problema di geometria. Madame du Deffand visse in una società in cui era un punto d'onore non essere presi alla sprovvista, e senza una risposta spiritosa. A un uomo che le aveva dato uno schiaffo in pubblico, una sua amica, madame de Forcalcquier, rispose con uno schiaffo e una battuta: «Tenete, ve lo restituisco, non so che farmene».
Madame du Deffand visse tra il salotto su cui regnava, e il nulla, che dichiarava preferibile a ogni altro stato. Si paragonava alla capra che, «dov'è attaccata, bruca». Spesso era assalita dai vapori, nome che allora si dava alla nevrastenia. Era una pianta da appartamento, che non nutriva alcun interesse per la natura: «I fiori della primavera e le messi dell'estate... potrebbero suscitare qualche entusiasmo in un cieco-nato che recuperasse la vista». Si vantava tuttavia di essere «naturale» e «vera», cioè di manifestare con imprudente vivacità i propri umori passeggeri, e il proprio egocentrismo. Priva di sentimenti, detestava i Rousseau e i Diderot, che ne inventavano di nuovi. Il suo salotto, che occupò il terzo quarto del secolo, rifletteva lo spirito della prima metà. Incarnava 1'"ancien regime" dell'"ancien regime". Talleyrand, che da ragazzo fece in tempo a conoscerla, l'avrà forse ricordata quando pronunciò la sua celebre frase sulla dolcezza di vivere.
Gli illuministi erano ormai diventati un partito, e a Madame du Deffand non piacevano. Probabilmente intuiva che il partito costituiva un'insidia per il salotto, e anche questo fa onore alla sua lucidità. Del resto d'Alembert, di cui era stata amica, l'aveva ripagata chiamandola «baldracca onoraria», e l'aveva tradita con la sua protetta, poi rivale, Julie de Lespinasse.
Tuttavia Madame du Deffand intrecciò una folta corrispondenza con il suo coetaneo e amico di gioventù Voltaire. E' soprattutto nelle lettere a lui (pubblicate un anno fa in Italia da Bompiani, in un volume intelligentemente curato da Lisa Baruffi) che si dimostrò una stilista ammirevole: da vera donna di mondo, sapeva sempre mettersi all'altezza dell'interlocutore. Ma anche Voltaire dichiarava ormai di appartenere a un partito, e la Deffand aveva bisogno di un complice frivolo almeno quanto lei. Lo trovò nell'autore del "Castello d'Otranto", l'inglese e omosessuale Horace Walpole, di cui si innamorò sulla soglia dei settant'anni, e che ne aveva venti di meno.
Era forse la sola figura "paterna" che la vecchia "salonnière" potesse accettare. Nelle lettere lo chiamava "tutore", e si definiva la sua "pupilla".
Una biografia è una vita più un contenuto. Nel caso di Madame du Deffand (che un critico come Sainte-Beuve giudicava «nella prosa, con Voltaire, il classico più puro della sua epoca») il contenuto è 1'appartenenza. La sua vita è interessante non perché sia ricca di viaggi, di passioni e di esperienze (tutte cose di cui anzi è povera), ma perché appartiene a un mondo, e ha quella coscienza di "appartenere", che costituiva il segreto dei salotti.
Questi non erano, nel loro esclusivismo, meno efferati della chiesa e dei partiti, ma almeno erano più piccoli. Avevano inoltre il merito di promuovere, sul piano dello stile, quelle due qualità che rendono incantevoli le pagine di Madame du Deffand: la concisione e l'acuminatezza.


L'Espresso - 19 Dicembre 1982 

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