Nel 1979, in occasione del
centenario della nascita, “la Repubblica” dedicò le quattro pagine centrali
alla figura di Giuseppe Stalin. L’ultimo pezzo, di Laura Lilli, sembra
accettare nel titolo (Brindando con l’orco
bonaccione) e nel suo svolgimento un’immagine di crudeltà a sangue freddo,
contrastante con l’immagine bonaria e simpatica che le foto restituivano. In
verità l’articolista, pur raccogliendo poche notizie da un libro francese di
testimonianze coeve, restituisce attraverso di esse una immagine meno netta del
capo comunista, tutto sommato meno negativa e più ricca di chiaroscuri. (S.L.L.)
Stalin: un uomo di fattezze
minute, dallo sguardo mite, benevolo, che parla con saggezza e senso dell'umorismo;
e che sa ascoltare. E' questa l'immagine immediata che trasmettono, quasi senza eccezione, le
molte - autorevoli — testimonianze (da Churchill a De Gaulle, da H.G. Wells a
Milovan Gilas) raccolte e presentate da Lily Marcou in "Les Staline",
pubblicato in questi giorni da Gallimard-Julliard (pagg. 252).
"Les Staline", per la
verità, si propone di dimostrare che sono esistiti molti Stalin, non uno solo:
tanti, almeno, quanti i suoi interlocutori, in occasioni diverse, ne hanno
incontrati. E ci riesce: perché l'immagine del tiranno-che-non-sembra un-tiranno
è sempre e solo riferita come prima impressione, alla quale ne seguono altre
che spesso fanno correre un brivido per il filo della schiena.
C'è, per esempio, la
conversazione che Stalin ebbe con Churchill nel loro primo faccia a faccia, nel
'42, tema della conversazione, la "faccenda" dei kulaki. «Penso che
la lotta sia stata dura per voi», dice pressappoco Churchill, «perché non
avevate a che fare con qualche migliaio di aristocratici, ma con milioni di
piccola gente». « Dieci milioni », risponde Stalin laconicamente. E aggiunge: «Lotta
dura, sì. La nostra agricoltura doveva essere meccanizzata. Ma bisognava farlo
collettivamente. I contadini non volevano saperne. Appena hai enumerato tutti i
tuoi argomenti a un contadino, questi risponde che deve rientrare a casa e
consultarsi con sua moglie. Dopodiché vengono a dirti che non vogliono saperne
né di trattori né di fattorie collettive». Una pausa. Poi: «E' stato duro e
difficile, ma necessario ».
C'è poi la testimonianza di un comunista
occidentale, Giulio Ceretti, tratta dal suo "A l'ombre des deux T, 40 ans
avec Maurice Thorez et Palmiro Togliatti", (Julliard, 1973).
Si doveva "discutere"
un "appello" redatto da Ercole Ercoli, cioè da Togliatti. «Passeggiando
in lungo e in largo come se parlasse a se stesso, Stalin proponeva cambiamenti
nel modo più semplice: «Qui è detto bene, ma per esempio... è meglio precisare
che la situazione internazionale può cambiare da un momento all'altro...». Nei
giro di pochi minuti aveva cambiato completamente il testo. «Si fermò vicino a
Ercoli, gli diede una pacca sulla spalla destra ed esclamò: "Molto ben
detto, d'accordo!" ».
Ancora: molti Stalin, appunto.
C'è in queste pagine uno Stalin quasi scoraggiato, che fa precise e pressanti
richieste di armi americane a Harry Hopkins, inviato di Roosevelt durante la
guerra: c'è lo Stalin di Yalta, che dà a Edward E. Stettinius
"un'impressione di potenza e di crudeltà"; c'è lo Stalin che nel '45
incontra Tito, e firmando il trattato di alleanza con la Jugoslavia sottolinea
"con semplicità" (lo ricorda Milovan Gilas) di chiamarlo
"compagno" e non "signore".
Spesso, in queste memorie, Stalin
ride; spesso brinda, mescolando elogi a minacce, lusinghe e invettive: come nel
ricordo, datato '44, di Charles De Gaulle, a Mosca per firmare il trattato
"di sicurezza" franco-russo. Sempre, in ogni caso, dietro l'allegria
sfrenata o l'apparente condiscendenza, l'interlocutore scorse il bagliore di
una sinistra grandezza.
“la Repubblica”, 21 dicembre 1979
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