Un’altra pagina dell’autobiografia
di Ingrid Bergman, esemplare esemplificazione dei tratti di “stronzaggine” che
talora si trovano anche nelle persone di genio. (S.L.L.)
(Roberto) a volte sapeva essere
anche molto sgarbato. Ricordo un caso, in particolare, in cui venne coinvolto
il grande pianista Arthur Rubinstein. I Rubinstein erano stati miei vicini di
casa, quando ancora vivevo in California, in Benedict Canyon Drive. Pia e io
eravamo molto comprese all'idea di avere un vicino simile; ce ne stavamo intere
ore dietro la siepe di cinta che separava i nostri giardini per ascoltarlo
suonare. Una volta Petter e io fummo persino invitati a cena a casa loro.
Quando vivevo ormai a Roma con Roberto, Arthur Rubinstein arrivò per dare un
concerto. Andai a sentirlo e, al termine del concerto, mi recai a salutarlo nel
suo camerino. Tanto lui che sua moglie parvero molto soddisfatti di vedermi.
Incoraggiata dalla loro accoglienza li invitai a cena e loro accettarono.
«Grazie» mi dissero. «Siamo
stanchi di tutti i grandi ricevimenti a cui ci tocca partecipare. Verremo molto
volentieri.»
«Splendido! Inviterò anche il
fratello di Roberto con sua moglie. Renzo fa il compositore.»
«Benissimo.»
Annunciai l'invito a Roberto, che
approvò soddisfatto. Cercai di organizzare una cena perfetta. I primi ad
arrivare furono Renzo e sua moglie, e a essi seguirono i Rubinstein. Di Roberto
neanche l'ombra. Servii gli aperitivi una prima volta, li offrii una seconda.
Al terzo giro cominciai a innervosirmi e telefonai agli studi. Mi rispose
Roberto: «Che cosa c'è?».
« Hai dimenticato che abbiamo a
cena i Rubinstein? Ti stiamo aspettando, devi sbrigarti. Non puoi comportarti
così con un personaggio di quella fama. »
« Adesso non posso. Sono in piena
fase di montaggio. Sarò a casa appena possibile. »
Tornai dai miei ospiti cercando
di assumere l'aria della padrona di casa che ha tutto sotto controllo e
annunciai : «Roberto è stato trattenuto. Ha detto di cominciare. Ci raggiungerà
appena possibile». Ci sedemmo a tavola e attaccammo il prosciutto e melone.
Eravamo già passati agli spaghetti, ma la vista della sedia vuota mi rendeva
estremamente nervosa, tanto che lo richiamai e gli dissi : «Senti, Roberto,
siamo già a tavola. Ti prego, sbrigati. Abbiamo a cena "Arthur
Rubinstein", non una persona qualsiasi. Ci ha dedicato la sua unica serata
libera e non vede l’ora di conoscerti ».
«D'accordo, d'accordo, verrò il
più presto possibile.» Continuammo il nostro pranzo finché arrivammo al dolce.
La conversazione si stava facendo faticosa. Non sapevo più cosa dire, mentre i
miei ospiti osservavano in tono educato: «Chissà cosa l'ha trattenuto». Cercai
di inventare qualche scusa... era in fase di montaggio... era un momento molto
delicato... c'erano delle difficoltà. Ma l'atmosfera si stava facendo davvero
pesante. Ci alzammo da tavola e passammo in soggiorno a prendere il caffè. In
quell'istante Roberto entrò, attraversò l'anticamera e si avviò verso la camera
da letto.
Mi sentii immediatamente
sollevata. «Eccolo qui, finalmente... Andiamo a prendere il caffè.» Ci sedemmo,
bevemmo il nostro caffè, senza che Roberto accennasse a comparire. « Vado a
vedere cosa gli è successo » dissi dopo un po'.
Si era messo a letto. «Ho mal di
testa, non disturbarmi» mi annunciò.
«Non ne posso più. Come faccio a
spiegare che sei andato a letto?»
«Be', non dire niente. Fa' finta
che non sia tornato.»
«Ma ti hanno visto.»
«Allora di' che ho il mal di
testa. »
Tornai in soggiorno, priva di
forze e ormai incapace di simulare. «Mi dispiace molto, ma non si sente bene.»
«Oh» esclamarono in tono
comprensivo. «Che peccato.»
Me ne stavo lì seduta, consapevole del fatto che le mie emozioni mi si leggevano in faccia, quando, d'un tratto, le doppie porte del soggiorno si spalancarono e Roberto apparve, evidentemente pentito, con le braccia spalancate. «Maestro!» gridò. Abbracciò Rubinstein, che ricambiò l'abbraccio. Per la precisione si caddero letteralmente tra le braccia. Rimasero a chiacchierare fino alle quattro del mattino senza interrompersi un solo attimo. Impossibile separarli, era stato un colpo di fulmine... Mi sentivo vicina a un attacco di cuore, anzi, sarei stata quasi "contenta" se mi fosse realmente venuto...
Me ne stavo lì seduta, consapevole del fatto che le mie emozioni mi si leggevano in faccia, quando, d'un tratto, le doppie porte del soggiorno si spalancarono e Roberto apparve, evidentemente pentito, con le braccia spalancate. «Maestro!» gridò. Abbracciò Rubinstein, che ricambiò l'abbraccio. Per la precisione si caddero letteralmente tra le braccia. Rimasero a chiacchierare fino alle quattro del mattino senza interrompersi un solo attimo. Impossibile separarli, era stato un colpo di fulmine... Mi sentivo vicina a un attacco di cuore, anzi, sarei stata quasi "contenta" se mi fosse realmente venuto...
Ingrid Bergman La mia storia, Mondadori 1981
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