La trascrizione e traduzione di
questa celebre conversazione radiofonica l’ho ripresa da un vecchio ritaglio
(dal settimanale “L’Europeo", credo) privo di dati sull’autore. Metto il testo qui, a disposizione mia e di altri, pronto ad integrarlo dando
a Cesare... (S.L.L.)
STAMP: È passato molto tempo,
Keynes, da quando abbiamo avuto occasione di fare una chiacchierata
confidenziale, e molti giorni da quando ti ho insegnato qualcosa. Ora leggiamo
continuamente sui giornali, credo restando noi stessi confusi, tutte queste
controversie sullo spendere e sul risparmiare. A che conclusioni pensi che il
pubblico sia giunto in merito? Ritieni che tutte queste discussioni abbiano
fatto emergere dei punti particolari, rendendoli chiari, o è tutto così confuso
come all’inizio?
KEYNES: La mia impressione è che
l’umore della gente stia cambiando. C’era un bel po’ di panico circa un anno
fa. Ma non è forse vero che ora ci si sta rendendo conto abbastanza
generalmente che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo? Comunque,
questa mi sembra essere la verità fondamentale, che non deve mai essere
dimenticata. Ogni volta che qualcuno taglia la sua spesa, sia come individuo,
sia come Consiglio Comunale o come Ministero, il mattino successivo sicuramente
qualcuno troverà il suo reddito decurtato; e questa non è la fine della storia.
Chi si sveglia scoprendo che il suo reddito è stato decurtato o di essere stato
licenziato in conseguenza di quel particolare risparmio, è costretto a sua
volta a tagliare la sua spesa, che lo voglia o meno.
S.: Ciò significa che egli riduce
il reddito di un secondo uomo, e che qualcun altro rimarrà senza lavoro.
K.: Sì, questo è il guaio. Una
volta che la caduta è iniziata, è difficilissimo fermarla.
S.: Un momento. Osserviamo il
risparmio di un Ministero o di un individuo, e consideriamo il suo effetto. Un
paese o una città, proprio come un individuo, debbono vivere nei limiti delle loro
risorse o si troverebbero in grave difficoltà se provassero a spingersi oltre.
Molto presto intaccherebbero il loro patrimonio.
K.: Ci può essere solo un obiettivo nel risparmiare, ed è
esattamente quello di sostituire una spesa con un
altro e più saggio tipo di spesa.
S.: Sostituire! Questo mi fa comprendere il punto. Ad esempio,
se il Governo o le autorità locali risparmiassero per ridurre le imposte o i
saggi di interesse e permettessero agli individui di spendere di più; o se gli
individui spendessero meno in consumi, per usare essi stessi il denaro nella costruzione
di case o di fabbriche, o per prestarlo ad altri a tale scopo. Non servirebbe
tutto ciò ad aggiustare le cose?
K.: Ma, caro Stamp, è questo che sta accadendo? Ho il sospetto
che le autorità spesso risparmino senza ridurre i tassi di interesse o le
imposte, e senza passare il potere di acquisto aggiuntivo agli individui. Ma
anche quando il singolo riceve il potere di acquisto aggiuntivo, di solito
sceglie la sicurezza o, quanto meno, pensa che sia virtuoso risparmiare e non
spendere. Ma non sono veramente questi risparmi, tesi a far abbassare i saggi e
le imposte, che sono al centro delle mie polemiche. Sono piuttosto quelle forme
di risparmio che comportano un taglio della spesa, nei casi in cui quest’ultima
dovrebbe essere naturalmente coperta con il debito. Perché in questi casi non
c’è alcun vantaggio connesso col fatto che il contribuente avrà di più, a
compensare la perdita di reddito dell’individuo che subisce il taglio.
S.: Allora, ciò che intendiamo realmente è che, salvo il caso
in cui la mancata spesa pubblica venga bilanciata da una spesa personale
aggiuntiva, ci sarà troppo risparmio. Dopo tutto, il normale risparmio è solo
un differente tipo di spesa, trasmessa a qualche autorità pubblica o alle
imprese, per produrre mattoni o macchinari. Il risparmio equivale a più
mattoni, la spesa a più scarpe.
K.: Sì, questo è il problema in generale. A meno che qualcuno
stia effettivamente usando il risparmio per i mattoni o per qualcosa di simile,
le risorse produttive del paese vengono sprecate. Insomma il risparmio non è più
un altro tipo di spesa. Ecco perché dico che la deliberata riduzione di investimenti
utili, che dovrebbero normalmente essere attuati con il debito, mi sembra,
nelle attuali circostanze, una follia e, addirittura, una politica oltraggiosa.
S.: La difficoltà sta nell’individuare ciò che tu chiami «investimenti utili normali».
K.: Al contrario. Il Ministro della Sanità, se sono ben
informato, sta disapprovando praticamente tutte le normali richieste delle
autorità locali di indebitarsi. Ho letto, per esempio, in un giornale – anche
se non posso garantire i dati di persona – che un questionario spedito al
Consiglio Nazionale delle Imprese Edili mostra che qualcosa come 30 milioni di
sterline in lavori pubblici sono stati sospesi come risultato della campagna
nazionale per il risparmio. La si dovrebbe chiamare «campagna nazionale per l’intensificazione della
disoccupazione»!
S.: Per quale ragione si sono spinti fino a questo punto?
Perché stanno facendo questo?
K.: Non posso immaginarlo. È probabilmente l’eredità di
qualche decisione presa in un momento di panico molti mesi fa, che qualcuno ha dimenticato
di invertire. Pensa a quello che significherebbe per lo stato d’animo della
nazione, e in termini umani, se avessimo anche solo un quarto di milione di
occupati in più. E non sono sicuro che le ripercussioni della spesa si
fermerebbero a quella cifra.
S.: Sono piuttosto suscettibile per quanto riguarda gli
interventi governativi. Comunque, prendersela con un Ministero, che lo meriti o
no, è una cosa completamente diversa dall’incitare gli individui a spendere di
più. Anche se una sollecitazione a questi ultimi potrebbe sembrare una cosa sciocca
e pericolosa; sciocca a causa della riduzione dei loro redditi, che potrebbe
rendere una spesa superiore insopportabile; pericolosa perché, se si inizia con
l’incoraggiare le persone a essere imprudenti e a rinunciare alle loro
abitudini di frugalità, non si sa dove si va a finire.
K.: Sono pienamente d’accordo. Non è l’individuo il
responsabile, e non è quindi ragionevole attendersi che il rimedio venga
dall’azione individuale. Ecco perché pongo così tanto l’accento sull’intervento
delle pubbliche autorità. Sono loro che debbono avviare il processo. Non ci si
deve aspettare che gli individui spendano di più, quando alcuni di loro stanno già
indebitandosi. Non ci si può aspettare che gli imprenditori procedano a degli
investimenti aggiuntivi, quando stanno già subendo perdite. È la comunità
organizzata che deve trovare modi saggi per spendere e avviare il processo.
S.: Voglio affrontare la questione anche dall’altro lato. Al
fine di conservare l’abitudine individuale alla parsimonia, non è necessario
che le pubbliche autorità sentano la loro responsabilità in questa direzione?
Se questa abitudine, così utile nella vita individuale, deve recare giovamento
alla comunità, è essenziale che si trovino modi utili di usare il denaro
risparmiato.
K.: Sì, questo è ciò che dico. E inoltre, quello della
diminuzione dell’attività, e quindi del reddito nazionale, non è un modo
incredibilmente miope in cui cercare di pareggiare il bilancio?
S.: Bene, lasciando da parte qualsiasi questione complessa
riguardante il debito nazionale, mi sembra che tutto questo riguardi comunque
il Ministro delle Finanze in due modi. Innanzi tutto, deve far fronte alle
indennità di disoccupazione per gli uomini licenziati, e poi deve tener conto
che il gettito delle imposte dipende dal reddito degli individui o dalle loro
spese. Cosicché tutto ciò che riduce sia il reddito che le spese degli
individui riduce il gettito delle imposte. E se si subisce una diminuzione dal
lato delle entrate e un incremento dal lato delle uscite, si deve trovare un
rimedio. Un bilancio squilibrato distrugge infatti il nostro credito, anche se
c’è una differenza tra un periodo normale e uno anomalo.
K.: Ma Stamp, non si potrà mai equilibrare il bilancio
attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il Ministro delle Finanze
non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La sola speranza di
equilibrare il bilancio nel lungo periodo sta nel riportare le cose nuovamente
alla normalità, ed evitare così l’enorme aggravio che deriva dalla
disoccupazione. Per questo sostengo che, anche nel caso in cui si prende il
bilancio come metro di giudizio, il criterio per giudicare se il risparmio sia
utile o no è lo stato dell’occupazione. In una guerra, per esempio, tutti sono
al lavoro, e talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono
svolte. Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più
saggia la sostituirà.
S.: La stessa cosa accadrebbe se il governo stesse attuando un
grande progetto edilizio e un programma di risanamento delle aree degradate.
[…]
K.: Trovo che siamo d’accordo più di quanto pensassimo. Ma
molte persone ritengono oggi che persino le spese praticabili costituiscano una
vera sciocchezza. Quando il Consiglio della Contea decide la costruzione di case,
il paese sarà più ricco anche se le case non garantiranno alcuna rendita. Se
non si costruiscono quelle case, non avremo nulla da mostrare fatta eccezione
per il maggior numero di uomini che ricevono un sussidio.
S.: Fermo restando che si presti una ragionevole attenzione
alle idee della gente sul credito pubblico. Non sarà una cosa buona per il
governo, e per qualsiasi altra autorità,
se si pensa che sia sull’orlo della bancarotta.
K.: Non credo che delle misure che arricchiscono realmente il
paese possano danneggiare il credito pubblico. Ti sei dimenticato che sostengo che
è il peso della disoccupazione e la diminuzione del reddito nazionale che
mettono sottosopra il bilancio. Risolviamo il problema della disoccupazione e
il bilancio si aggiusterà.
S.: Ciò per quanto riguarda la spesa pubblica. Perché non
parliamo del risparmio individuale? Questo deve continuare se ciascuno è
ragionevolmente prudente. Quali impieghi approvi, e quali suggerimenti nuovi
fornisci?
K.: Lasciami fare un esempio del tipo di cosa che mi sembra
particolarmente apprezzabile. Le cooperative edilizie hanno fatto uno splendido
lavoro dalla guerra in poi, da una parte organizzando la raccolta del risparmio
e allo stesso tempo, organizzando, dall’altra, l’impiego di ciò che
raccoglievano nella costruzione di case. Hanno cioè fatto in modo che le due
attività complementari andassero di pari passo. E non è forse vero che corrono il
rischio di attrarre più fondi di quelli che possono impiegare?
S.: Non farei alcun commento su ciò, salvo dire che mi fai
sentire virtuoso. (Stamp aveva una posizione di responsabilità
nell’organizzazione delle cooperative. N.d.c.) Spero però che non vorrai riferirti alle cooperative per
giungere alla conclusione che un movimento come quello dei Certificati di
Risparmio Nazionali debba essere eliminato.
K.: Stamp, stai pensando alla nostra conversazione radiofonica
di circa un anno fa. Sono stato molto frainteso sulle cose che ho detto. Una
diminuzione del risparmio da parte delle classi di persone che acquistano i
certificati, mi sembra un rimedio di poco conto. Avanzavo piuttosto la tesi
che, quando i lavori pubblici vengono fermati, particolarmente in un momento in
cui gli imprenditori privati si stanno bloccando a causa di una temporanea
eccedenza di capacità produttiva, e quindi non si trovano nella posizione di espandere
la loro attività, il risparmio privato può determinare solo danni. Ricordi
quello che dissi – ogni sterlina risparmiata è un’occupazione cancellata. Mantengo
ferma questa affermazione, e dubito che vorrai negarla.
S.: No, certamente. Se non si fa nulla con le risorse che sono
state liberate, le persone si saranno private di qualcosa di utile o piacevole,
con l’unica conseguenza di cancellare il lavoro di chi avrebbe dovuto lavorare
per loro. Da ciò non devi però desumere che la spesa privata sia il rimedio che
preferisco.
K.: Al contrario. Io spingo sulla spesa privata solo come un
modo attraverso il quale degli individui ben disposti potrebbero porre un
parziale rimedio al danno che il Governo sta facendo, nel momento in cui riduce
il lavoro che dovrebbe mettere in moto come comunità organizzata. Secondo me,
non spetta ai privati cittadini spendere più di quanto spontaneamente farebbero,
non più di quanto lo sia il far fronte alla disoccupazione con la carità
privata. Queste cose dovrebbero essere fatte dalla comunità organizzata
come un tutto – vale a dire, dalle
pubbliche autorità.
S.: Sono contento di averti consentito questo chiarimento,
perché penso che molte persone non abbiano realmente compreso che questa era la
linea di pensiero che stavi seguendo. Sono contento che tu non avanzi delle obiezioni
alla parsimonia privata, fintanto che questa è in grado di assicurare benefici,
altrimenti nel lungo periodo credo che produrresti dei guai maggiori.
K.: Certamente. Io stesso risparmio, talvolta. E sono dalla
parte del risparmio per il fatto che sollecito una politica che permetterebbe
al risparmio di essere utile e produttivo per la comunità. I nemici della
parsimonia sono quelli che, inibendo gli sbocchi a ciò che viene accantonato,
la privano del suo scopo, e trasformano quello che dovrebbe essere un pubblico
beneficio in uno strumento che aggrava la disoccupazione. Questo, lo ripeto, è ciò
che accade nelle attuali circostanze. Se si tagliano le spese dei Consigli delle
Contee e delle altre pubbliche autorità, non c’è la più piccola possibilità che
l’imprenditoria privata nazionale da sola sia in grado di usare risorse per un
ammontare che si avvicini anche soltanto lontanamente a quello che un’Inghilterra
che crede nel principio della parsimonia, e che è in buona salute e con un alto
livello di occupazione, sceglierebbe di risparmiare.
S.: Non sei troppo pessimista sull’incapacità dell’impresa
privata di assorbire disoccupati? Hai affrontato la questione tenendo conto
delle statistiche sul risparmio del passato? Non pensi che con una vera ripresa
degli affari possa esserci un’utilizzazione dei risparmi più rimarchevole di
quella che siamo propensi a immaginare oggi?
K.: Ne dubito. Devi tener conto del divieto ora in atto nei
confronti della maggior parte dei prestiti esteri, che assorbivano una gran
parte dei nostri risparmi. Dobbiamo sostituire tutto ciò. Dubito che
l’imprenditoria privata nazionale, perfino nei suoi giorni migliori, abbia mai
assorbito la metà del risparmio nazionale, e considerando l’estensione in cui
le pubbliche utilità sono oggi in mani pubbliche, sono certo che non potranno
nemmeno in futuro. Sono per dare la massima libertà all’imprenditoria privata, e
consentirle di impiegare tutto il capitale che può. Ma credo che ci si rifugi in
un falso paradiso se si immagina che, in un qualsiasi futuro prevedibile, essa
possa assorbire l’ammontare che questo paese potrebbe risparmiare se fosse
prospero e tutti fossero opportunamente occupati.
S.: Credo che non molte persone si siano confrontate con
questo modo di porre il problema. Qual è il suo fondamento statistico? I
risparmi raggiungono un certo ammontare. Essi sono vincolati, con le diverse
opportunità di accantonamento esistenti – assicurazioni e simili – ad andare
avanti. Se un individuo, ragionevolmente previdente nei confronti della sua
stessa esistenza, accresce il suo risparmio, questo deve essere usato o con
un’espansione degli investimenti privati o con un aumento della spesa pubblica,
o in entrambi i modi. Se questi due passaggi non intervengono emergono seri
problemi sul piano dell’occupazione. Se c’è un divario, la cosa migliore è che
gli imprenditori accrescano i loro affari per coprirlo. Se ciò non accade, allora
la cosa successiva da fare è quella di accrescere la spesa pubblica. Se
entrambe mancano, o per una qualsiasi altra buona ragione la spesa pubblica non
può essere aumentata abbastanza, allora l’ultimo espediente o salvagente, per
far equilibrare i due lati, è che gli stessi risparmi diminuiscano fino al
punto in cui l’eccedenza rispetto ai due usi è scomparsa. Ma in un modo o
nell’altro la differenza deve essere usata o fatta sparire.
K.: Sì, e ripeto che non sarà l’imprenditoria a farlo. Nel
prossimo futuro non ci sarà un’espansione degli affari privati in misura sufficiente
per assorbire i risparmi. Pertanto le spese delle diverse autorità pubbliche e
dei pubblici consigli, ecc. debbono essere accresciute. Se questo non accadrà, l’alternativa
dovrà essere quella di ridurre i risparmi. Non si possono avere entrambi.
S.: Condivido molto le tue considerazioni, ma ti prego di non
trattare troppo superficialmente la questione dei bilanci pubblici non saggi e
squilibrati. Quel tipo di principio deve ancora oggi essere rispettato. Credo
che la vera natura del nostro dilemma stia nel fatto che un principio non può
sempre andare avanti da solo nella vita, e due principi, ciascuno dei quali è
in sé eccellente, possono talvolta confliggere tra loro. Siamo costretti, ogni
volta, a preferire l’uno o l’altro. Sappiamo che la persona saggia dice due
cose. Primo, il risparmio è cosa buona; risparmia tutto quello che puoi. Egli aggiunge,
ridurre la spesa pubblica è un male, smetti di farlo. Non si rende conto che se
ciascuno di questi principi altamente virtuosi fosse portato ad un estremo, ne
conseguirebbe una grave alterazione dell’equilibrio dei risparmi. Insomma i due
principi sarebbero trattati, nell’ambito del nostro schema economico moderno,
come una specie di necessità o di virtù meccanica; mentre gli orientamenti
sugli equilibri di bilancio rappresentano una necessità di tipo psicologico.
K.: Tu torni sempre sulla questione del bilancio. A questo
proposito direi che questioni come quella della copertura delle spese
effettuate non sono così importanti, ai nostri giorni, come lo sarebbero in
tempi di prosperità. E, penso, che il Ministro delle Finanze sarebbe
lungimirante se assumesse un punto di vista ottimistico e concedesse nel
prossimo bilancio un maggior sollievo di quanto non sarebbe strettamente
giustificato dai fatti effettivamente anticipabili. Se lo farà, aiuterà a
rendere visibili i fatti che giustificano l’ottimismo che avrà scelto di
praticare. Ma questo non è quello che realmente voglio. Voglio le spese in
debito. Voglio investimenti in infrastrutture di varia utilità. Concordo con te
che, tradizionalmente, consideriamo appropriato finanziare tutte le iniziative
con il debito, e che le spese di questo tipo debbano essere sostenute dalle
autorità locali o dal governo centrale. Credo inoltre che nel lungo periodo una
politica di questo tipo aiuterebbe veramente il bilancio, più di quanto non
possa l’altra politica, tesa a operare un taglio dopo l’altro.
S.: Quello che stai dicendo in fondo è che nei periodi nei
quali gli affari vanno male le persone non intraprendono, ed è in questi
periodi che l’espansione dell’azione pubblica dovrebbe raggiungere il massimo.
Non fai invece alcun riferimento alle banche o al saggio dell’interesse o ai
prezzi! Meraviglioso! Penso che possiamo trovarci d’accordo nel riconoscere che
attualmente non sia una cosa facile assicurare uno sbocco ai nostri risparmi, e
pertanto concordo con te nel sostenere che non dovremmo ignorare qualsiasi opportunità
si offra. Ci sono migliaia di cose da fare se vogliamo essere una comunità
attrezzata all’altezza delle nostre possibilità, una comunità che si avvantaggia
di tutti gli sviluppi della scienza moderna. Potremo arricchirci solo facendo,
non tagliando delle attività. Alziamoci e diamoci da fare.
K.: Sì, il fatto è che il risparmio e la spesa sono
nell’essenza attività complementari. Lo scopo del risparmio è quello di
spendere il risparmiato in attrezzature utili e necessarie. Per spendere in
modo salutare dobbiamo risparmiare, ma è allo stesso tempo vero il contrario, e
cioè dobbiamo spendere per rendere salutare il risparmio.
S.: In breve, questo nostro risparmiare e spendere sono, o
almeno dovrebbero essere, pratiche gemelle.
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