Chi ha letto il Diario di una scrittrice di Virginia
Woolf, conosce gli sforzi e le battaglie che l’autrice ha ingaggiato con la
penna per impossessarsi della vita nella sua essenza. Con la sua forma elastica,
a «maglie larghe», il Diario funziona
come un meraviglioso contenitore e allo stesso tempo come un giudice: se da una
parte consente di catturare «momenti d’essere» in maniera più franca e
disimpegnata di quanto non accada nei romanzi, dall’altra permette anche di sorvegliare
i progressi della scrittura romanzesca e di rilanciare di giorno in giorno le
scommesse della sua arte, in una infaticabile corsa al libro. Ma accanto al Diario, disposto a celebrare traguardi e
sconfitte in una cerimonia di premiazione privata, esiste per la Woolf anche un
altro campo di gara: la critica letteraria, che si incunea fra le performance
creative dell’artista per costituire un vivace e funambolico esercizio in
pubblico della sua intelligenza.
Gli Essays di Virginia Woolf hanno visto la luce in un arco di tempo
che si estende dal 1904 al 1941 e sono stati pubblicati, tra il 1986 e il 2011,
dalla Hogarth Press di Londra in un’edizione critica complessiva di sei volumi.
Si comprendono allora i dubbi e l’imbarazzo denunciati da Liliana Rampello, nel
momento in cui si è trovata a selezionare e curare i testi della Woolf che ora
compongono la raccolta antologica Voltando
pagina. Saggi 1904-1941 (Il Saggiatore). Si è trattato di farsi strada fra
prove di alta levatura, per poi ricavare, a prezzo di inesorabili rinunce, un
percorso suddiviso sia qualitativamente sia tematicamente.
La prima parte del libro
raggruppa infatti Saggi maggiori di
ampio respiro e più specifiche Occasioni e
avventure di lettura, organizzando il materiale in cinque blocchi
cronologici, ognuno contrassegnato dal riferimento al titolo di un romanzo della
Woolf.
Sul metodo della lettura
La seconda parte propone invece
una serie di incursioni in territori disparati – come la pittura, la guerra, la
natura, la malattia – che si rivelano comunque di cruciale importanza per la
ricostruzione dell’universo ideologico e affettivo della scrittrice.
È bene sottolineare che una
simile operazione offre incontestabili vantaggi. Mentre la partizione
cronologica ci permette di collegare l’esercizio critico all’orizzonte di una
determinata stagione creativa della Woolf, la raccolta nel suo complesso,
assemblando in un unico volume testi prima tradotti e pubblicati in opere
sparse, lascia emergere un’idea decisiva: la critica letteraria, per la Woolf,
è una forma di movimento e una libera attività della mente, impegnata
innanzitutto a ridefinire, attraverso il proprio esempio concreto, le modalità,
il «metodo» e i protocolli dell’atto di lettura.
Ma come si propone al pubblico la
Virginia Woolf lettrice? Di certo come il più invidiabile dei modelli.
Inesausta, iperattiva, la Woolf è capace di balzare di scatto, nelle sue
ricognizioni da un libro all’altro, verso qualsiasi genere ed epoca. Sul suo
tavolo di lavoro vediamo accumularsi alla rinfusa tragedie greche, romanzi
russi, liriche, classici della tradizione inglese e francese, epistolari,
volumi di memorie. Anche se il romanzo di ogni tempo finisce per rappresentare
il terreno privilegiato delle esplorazioni, non sembrano esistere barriere
all’intelligenza della scrittrice, disposta a misurarsi su più versanti in
contemporanea e a conquistare mete sempre nuove, affidando il proprio istinto e la propria «sensibilità»
alla guida della ragione.
Il rovescio della medaglia
La lettura, per questi versi, si
rivela il nutrimento indispensabile al vigore della mente,ma anche un
trampolino di lancio per buttarsi a capofitto nella creazione letteraria.
Perché quando la Woolf indossa i panni del lettore si lascia alle spalle le
zavorre superflue (come ad esempio le notizie sulla vita dell’artista preso in
esame), guizza come una «lepre» e tiene gli occhi fissi su quanto «ha fatto»
uno scrittore, sul suo «disegno» e sugli sforzi di ingegneria che gli hanno
consentito di dare una «forma» al singolare «edificio» del suo libro.
Rispetto alla «passione per la
scrittura», la critica – come leggiamo in una lettera che Virginia indirizza a
Ethel Smyth nel 1932 – non è altro che «il rovescio della medaglia»: tanto che
poi, se assieme ai saggi di Voltando
pagina ci spingessimo a riaprire Mrs
Dalloway o Al faro, resteremmo
stupiti dalla prontezza con cui la Woolf, una volta riapprodata alla finzione,
ha saputo far tesoro dei propri esercizi di lettura nel disegnare una sua
personale forma-romanzo. Non è difficile accorgersi che a questi patti,
attraverso la critica letteraria, la Woolf riesce a garantirsi molteplici tornaconti:
primo fra tutti la possibilità di sbarazzarsi dei critici stessi, per ridefinire
profilo, competenze e «responsabilità» del proprio lettore ideale.
Per Henry James il lettore di
romanzi aveva il permesso di procedere «delicatamente», senza «spezzare il
filo», a tappe di «cinque pagine al giorno»; secondo Nietzsche, al contrario, il
lettore ideale doveva assomigliare a un «mostro di coraggio e curiosità» pronto
ad avventurarsi in qualsiasi impresa a proprio rischio e pericolo. La Woolf,
per parte sua, domanda invece al lettore di seguire il suo stesso esempio e di
comportarsi come un «giovane», formidabile atleta che si lancia alla scalata
dei grandi «edifici» della letteratura. Non le interessano le credenziali dei
professionisti: la lettura, per lei, coincide con un «vigoroso esercizio
all’aria aperta», con uno sport dell’intelletto da praticarsi al riparo dal
torpore degli accademici e dal chiacchiericcio parassitario dei recensori di
giornale.
È il «metodo» a rappresentare, in
questa prospettiva, la più sicura delle salvaguardie. Il lettore dovrà infatti impegnarsi
a valutare la «forma» delle opere senza lasciarsi distrarre dalla giuria dei
critici, alimentando invece il proprio giudizio con la ginnastica mentale della
comparazione. Per capire il «piano» di uno scrittore e il risultato della sua
«osservazione» artistica della vita, sarà dunque indispensabile metterli a
confronto con quanto è stato fatto, prima e dopo, sui campi di gara della
letteratura. «Ogni libro – insiste la Woolf – discende da un altro libro». Solo
grazie a una «storia delle forme» – che in parte ricorda quella auspicata da
certi formalisti russi – saremo allora in grado di riappropriarci dell’antico
«piacere» della lettura, che consiste nel tramutarsi, a tutti gli effetti, in
«complici» o «compagni di lavoro» del romanziere, nel superare la sua stessa
comprensione dell’opera e nel «ricreare» (o riscrivere) il suo libro attraverso
la nostra attiva collaborazione. Anche perché poi di questo passo arriveremo a
orientarci nel grande «caos» generato, secondo la Woolf, dalle innovazioni
della narrativa contemporanea, magari fino ad apprezzare una delle sperimentazioni
romanzesche della scrittrice, sottovalutate dai critici, e così audaci –
testimonia ancora il Diario a proposito di Al
faro – da richiederle talvolta di inventare un «nome nuovo» per definirle.
Questioni di giustizia
«La critica – affermava del resto
Chesterton nel 1911, parlando di Dickens – non esiste per raccontare ciò che uno
scrittore sa già da solo, esiste per raccontare di lui ciò che ancora non sa».
È un’affermazione sottoscritta in più di un saggio di Voltando pagina. E tuttavia, se il lettore è in fin dei conti autorizzato
a fondarsi soltanto sulle proprie ragionevoli «intuizioni», per chi scrive il
critico letterario? La coraggiosa ridefinizione dei ruoli con cui la Woolf ci
invita a riattivare il nostro ingegno, non rischia di ritorcersi contro di lei
con una paradossale, improduttiva auto-squalifica? E non ci ricorda forse gli
attacchi che in questi ultimi anni sono stati perpetrati a neutralizzare il
mestiere del critico? Osserva in ogni modo la Woolf che «spesso il lettore si
rivela estremamente ingiusto»: e dunque, per quanto finisca per «trarre le sue
conclusioni da solo», non può mai essere abbandonato del tutto a se stesso.
La critica, come ci dimostra Voltando pagina, può rappresentare in
ogni caso un tramite prezioso e insostituibile, una sorta di preparatore atletico,
chiamato ad «allenare» il «gusto» dell’atleta lettore, ma disposto a farsi poi
da parte al momento della gara coi testi. È proprio questo suggerimento che ci
spinge ancora oggi a voltare pagina.
Alias-talpa – il manifesto, 15
gennaio 2012
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