16.3.14

Origini di Roma. Il coccio parlante (Lidia Storoni)

Roma, Valle del Colosseo, Palatino Nord orientale, Scavi Archeologici
Così parla il Tevere nei versi di Ovidio: "Vidi questi luoghi quando erano praterie deserte, senza traccia di mura; lungo le rive, pascolavano liberi i buoi...". Ricostruire il paesaggio, conoscere gli uomini delle origini, è stata sempre un'aspirazione dei romani, fin dall'antichità; con pretese scientifiche da parte di Varrone e Tito Livio, con pietas commossa da parte di Virgilio e di Ovidio. Lo storico però onestamente ammette: "quando si tratta di tempi remoti, è lecito introdurre il soprannaturale nelle vicende umane: conferisce solennità ai primordi delle città".
Il soprannaturale - mito, leggenda, religione, feste, tabù - oggi è materia di indagine e spesso fornisce conferme alla storia, o, se non altro, indizi preziosi. Secondo Georges Dumèzil, la migrazione in Europa di popoli indoeuropei è riconoscibile dall'analogia dei culti e delle classi sociali; l'approdo in Italia dei reduci della guerra di Troia riceve conferma da insediamenti d'età micenea (anteriori al 1000 a. C.) sulle coste orientali della Sicilia e della penisola. Era certamente a conoscenza di quelle antichissime esperienze l'autore dell'Odissea: nei Ciclopi, in Polifemo, il poeta tratteggiò l'aspetto selvaggio degli abitanti dell'Italia primitiva, ignari d'agricoltura, di scambi culturali e commerciali con altri popoli, quali apparvero ai lontani predecessori dei coloni greci.
Le leggende parlano sempre di eroi venuti dall'oriente a portare benefizi agli italici: Ercole abbatte il bandito Caco (kakòs = il Cattivo) che abitava in una grotta sull'Aventino; il mite Evandro (eu andròs = il Buono) portò l' alfabeto; Saturno, fuggito da Creta dove il figlio Giove l'aveva spodestato del regno, insegnò agli italici l'uso della falce e la cultura della vite: lo accolse benevolmente Giano, che abitava sul Gianicolo e gli concesse asilo nel Lazio.
Gli italici della preistoria vivevano in piccole comunità a economia pastorale; la loro cultura è detta "appenninica" - età del bronzo, XVI-XI secolo a.C. - perché appunto lungo la spina dorsale della penisola ne sono state trovate le tracce: ceramiche nere con ornati geometrici incisi e colorati in bianco, strumenti per la tessitura e la lavorazione dei prodotti del latte. La loro frequentazione nell'area che poi diventerà Roma è stata riscontrata recentemente durante lo scavo nell'ansa del Tevere tra il Campidoglio e l'Anagrafe, che ha portato alla luce il basamento di due templi gemelli d'età regia e mirabili sculture in terracotta del frontone. I due templi furono distrutti da un incendio e più tardi ricostruiti a un livello di cinque metri più alto del precedente; nel terriccio di riporto scaricato per alzare le fondamenta sono emersi frammenti di ceramica che risalgono certamente all'età del bronzo, vale a dire ad almeno sei secoli prima degli stanziamenti sui colli, testimoniati dalle capanne ellittiche di cui conosciamo l'aspetto perché sono riprodotte nelle urne cinerarie in terracotta; sul Palatino sono stati trovati i fori nei quali erano conficcati i pali di sostegno e in base alla datazione (VIII secolo a. C.) quelle tracce venerabili sono state chiamate "capanne romulee". Da quale dei colli digradanti sulla pianura paludosa che poi si chiamò Foro Boario potevano esser calati a valle quei piccoli reperti che anticipano al II millennio a.C. la nascita se non di Roma, almeno d'un abitato nella zona? Gli studiosi hanno supposto che i remoti predecessori delle comunità dei colli abitassero sul Palatino o sull' Aventino; non hanno preso in considerazione l'eventualità che ve ne fossero sul colle capitolino, che era diviso in due vette, l'Arx vera e propria, dove sorge la Chiesa di Santa Maria dell'Aracoeli, e il Capitolium, dove si trova Palazzo Caffarelli. Al posto dell'attuale piazza michelangiolesca si apriva una valle; ma le testimonianze sia leggendarie sia storiche non parlano di abitazioni nella zona e le tracce archeologiche non risalgono più indietro del VI secolo a.C.
Quando scrutarono il volo degli avvoltoi per stabilire quale dei due sarebbe stato re nella città di cui avevano tracciato il perimetro, Romolo si pose in cima al Palatino, Remo all'Aventino; quando tornò dalla guerra con i Cenini e riportò le spoglie del loro re ucciso, Romolo salì sul Campidoglio per dedicarle a Giove Feretrio, ma non poté far altro che deporle presso una quercia che i pastori ritenevano sacra. Allora tracciò il disegno d'un santuario, il primo di Roma, e così facendo destinò il colle a diventare il cuore sacro di Roma. La sua natura rocciosa, le pareti ripide che nei secoli l'erosione naturale ha certamente attenuato, fecero del Campidoglio la fortezza dell'Urbe, come dimostra l'episodio di Tarpea. Ma l'abitato, protetto da palizzate e da fossi, era sul Palatino, a quanto affermò lo stesso Romolo invocando Giove: "Il tuo auspicio, Giove, mi guidò, quando posi sul Palatino le prime fondamenta dell'Urbe...". La costruzione sul Campidoglio del maestoso tempio dedicato a Giove, Giunone e Minerva, fu iniziata da Tarquinio Prisco, continuata da Servio Tullio, portata a termine da Tarquinio il Superbo, che provvide anche a incanalare le acque del Foro e del Velabro nella Cloaca Massima. L'area scoscesa obbligò i costruttori a livellare il suolo e costruire una formidabile piattaforma artificiale: lavori costosi, che richiesero mano d'opera venuta anche dall'Etruria. Non sembra dunque infondata l' ipotesi, suggestiva ma non comprovabile, che i famosi reperti d'età del bronzo trovati nel basamento dei due templi presso l'Anagrafe provenissero proprio dal Campidoglio, dove in quello stesso torno di tempo avveniva l'assestamento del colle per far posto al Tempio di Giove.
Oggi questa possibilità sembra più verosimile. Durante uno scavo sotto il Palazzo Senatorio, sotto il Tabularium, il grande archivio di Stato prospiciente il Foro (sotto la sala del Consiglio Comunale e lo studio del Sindaco di Roma) sono state trovate molte cose; tra queste, un frammento d' impasto nero senza decorazione, con un bordo sottile e uno spigolo vivo che, procedendo a ritroso nel tempo, ci porta faccia a faccia con quei pastori del XIV secolo a.C. che non si sapeva dove collocare. La direttrice dello scavo, Anna Sommella Mura, non esclude che si trovino altre tracce nel materiale accuratamente raccolto ma non ancora esaminato a sufficienza; comunque, con quel "coccetto" - forse insignificante per i profani ma certo rivoluzionario per gli studiosi - si ha la prova d'un abitato in cima al Campidoglio nel II millennio a.C. Un residuo d'argilla cotta, che serviva a intonacare il graticcio d'intelaiatura delle pareti delle capanne, dimostra la continuità della frequentazione fino all'VIII secolo, il momento in cui le comunità dei colli, frequentando un mercato sorto davanti all'isola Tiberina, dove era facile il guado e l'approdo, si unirono in un culto comune, partecipando al sacrificio del Septimontium (il che forse non significa: Sette monti, o colli, ma "saepti", vale a dire protetti da rozze difese di pali e terrapieni). I dati religiosi pongono sempre sul Palatino l'abitato arcaico: la corsa dei Lupercali attorno a quel colle, la processione degli Argei che, seguendo percorsi diversi, raggiungeva luoghi sacri in varii punti della città, sono cerimonie antichissime, di cui i romani d'età storica avevano dimenticato il significato; ed escludono il Campidoglio. Lo scavo in corso sotto il Tabularium spazza via d'un colpo le stratificazioni depositate dai millenni; in un flash back vertiginoso ci troviamo su una radura tra gli alberi: di lassù si scorge in basso una prateria spesso invasa dalle acque, dove vagano i lupi. Chi, sul fianco destro del Palazzo Senatorio, scorge un breve rettangolo chiuso da una palizzata, rispetti quel recinto: dietro di esso, la Storia ha compiuto un lungo passo, ha rischiarato zone oscure del passato: "là i nostri più remoti antenati ringhiavano di ferocia, tremavano di paura".


“la Repubblica”, 23 giugno 1984

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