Marcello Cini |
La vita e il pensiero trasformati
in merce
Il nuovo secolo si apre sotto il
segno della trasformazione in merce del mondo della vita e del mondo del
pensiero, del mondo delle idee e dell'informazione. Il bit è diventato l'unità di merce oltre che di informazione perché
lo compriamo ogni giorno ogni volta che entriamo in internet, e la vita e il
pensiero si riducono sempre di più a bit. C'è però una contraddizione tra la
crescita del sapere, del potere dell'uomo, delle capacità di modificare oltre
al mondo intorno a sé anche sé stesso, la sua natura biologica e la sua natura
intellettuale, e questo meccanismo che invece regola tutto, le scelte in
qualsiasi campo, sulla base di un unico parametro che è la merce e quindi il
suo valore cioè il denaro. Da un lato si cominciano infatti a modificare le
caratteristiche più profonde delle specie viventi e il modo come il nostro
cervello funziona. Dall'altro tutto tende a essere ridotto a una sola
dimensione, all'unica dimensione della valorizzazione del capitale, del
profitto, della sua traduzione in denaro. L'enorme contraddizione in cui ci
troviamo è che il mondo della vita e quello della cultura e della civiltà
umana, - che si autoregolavano fino ad ora attraverso meccanismi complicati,
complessi, caratterizzati da una enorme varietà di differenze, di stimoli, di
nicchie, di forme di sviluppo - tendono a essere regolati da un'unica regola,
da un'unica legge. E' dunque necessaria una profonda svolta nei meccanismi di
selezione degli obiettivi e delle priorità delle nostre capacità di
trasformazione del mondo.
Dal macchinismo allevoluzione
Questa sfida posta all'uomo dalla
sua capacità di intervenire sui problemi della vita e della mente, si traduce,
dal punto di vista della formazione della cultura e dunque degli strumenti che
la scuola deve fornire per cercare di affrontare la svolta di cui ho parlato,
in una forte accentuazione del peso del pensiero evoluzionista. Il salto fra il
patrimonio delle scienze, della tecnologia, della conoscenza della natura
accumulato dall'uomo fino alla fine del `900 e le conoscenze, i saperi che sta
acquisendo varcando questa grande muraglia delle scienze della vita e della
mente, consiste nel passaggio da una visione del mondo fondata sulla conoscenza
delle grandi leggi della natura e della materia inanimata (una visione
macchinista del mondo), a una visione evoluzionista, fondata cioè sulla
caratteristica principale del mondo della vita, che è quella del cambiamento
attraverso processi evolutivi.
Questi processi sono il frutto di un'alternanza di necessità e di aleatorietà, di una compresenza di vincoli e di mutamenti contingenti. I vincoli sono costituiti da divieti o da prescrizioni che selezionano i processi evolutivi compatibili, oltre che con le grandi leggi della termodinamica (conservazione dell'energia, della materia e crescita dell'entropia) anche con l'ambiente e con la storia. All'interno dei vincoli ogni mutamento che non è vietato può accadere.
Questi processi sono il frutto di un'alternanza di necessità e di aleatorietà, di una compresenza di vincoli e di mutamenti contingenti. I vincoli sono costituiti da divieti o da prescrizioni che selezionano i processi evolutivi compatibili, oltre che con le grandi leggi della termodinamica (conservazione dell'energia, della materia e crescita dell'entropia) anche con l'ambiente e con la storia. All'interno dei vincoli ogni mutamento che non è vietato può accadere.
Differenziazione e selezione
Si tratta di un punto di vista
che si può riassumere dicendo che tutti i processi evolutivi sono il frutto di
due momenti concettualmente distinti, entrambi necessari: da un lato la differenziazione
degli elementi costitutivi di una «popolazione» omogenea - formata da organismi
singoli o parti di essi, da raggruppamenti omogenei di individui o di entità
collettive dotate di identità autonoma - per effetto di una molteplicità di
fattori casuali o comunque imprevedibili ai quali si trova esposto in modo
diverso ognuno di essi, e dall'altro la selezione, da parte del filtro
rappresentato da vincoli esterni, di quelli che, per effetto della intervenuta
diversificazione, hanno acquistato proprietà che li rendono più compatibili con
l'esistenza dei vincoli stessi. Si tratta, è essenziale sottolinearlo, di
momenti che coinvolgono soggetti diversi. Il momento della differenziazione è
il risultato di interventi che modificano in modo diverso e imprevedibile ogni
singolo elemento, mentre quello della selezione agisce sull'intera popolazione
e la modifica nel suo insieme. Si tratta, direbbe Bateson, di livelli di tipo
logico diverso, che non debbono essere confusi.
Detto ciò, tuttavia, è ovvio che
le modalità effettive di ogni processo evolutivo cambiano radicalmente a
seconda della natura degli elementi dell'insieme, delle modalità della
trasmissione delle modificazioni subìte alle generazioni successive, e dei
fattori che caratterizzano la natura e la struttura dei vincoli esterni che ne
effettuano la selezione.
Evoluzione biologica ed
evoluzione culturale
La necessità di salvaguardare la
specificità dei diversi processi riguarda in particolare il confronto fra
evoluzione biologica ed evoluzione culturale. E' ovvio infatti che la nostra
specie differisce, nel bene e nel male, da tutte le altre e dunque che non ha
senso ricondurre banalmente l'evoluzione delle società umane ai meccanismi
dell'evoluzione biologica. Questo comporta il rifiuto netto del cosiddetto
socialdarwinismo di Spencer, Galton e dei loro epigoni, inteso come lotta
feroce per la vita di tutti contro tutti - una visione che tra l'altro
interpreta scorrettamente lo stesso meccanismo di competizione biologica tra
specie diverse - sia dal punto di vista strettamente scientifico che da quello
etico e sociale.
Detto questo, tuttavia, va sottolineato
che differenze e somiglianze devono essere esaminate confrontando livelli
omogenei. Per esempio, è scorretto confrontare i due processi senza ricordare
che l'evoluzione culturale è stata, dopo l'estinzione delle specie di ominidi
precedenti a quella di Homo sapiens, una evoluzione all'interno di una
singola specie, dove non esistono unità discrete isolate tra loro da una
barriera riproduttiva, come accade fra le diverse specie dell'evoluzione
biologica, ma sistemi socioculturali, separati soprattutto da barriere
geografiche e da tradizioni storiche, caratterizzati da un pool informazionale
- fatto di strumenti, oggetti, simboli, regole, usi e costumi, idee - assai
meno facilmente definibile di un pool genetico.
Rimane comunque un punto fermo.
Senza una continua riproduzione di diversità non c'è evoluzione. E senza
evoluzione il mondo della vita si estingue.
Diversità e disuguaglianza
La prima cosa che un approccio
evolutivo ci permette di fare è di cogliere l'essenza dello sviluppo della
società capitalistica al quale assistiamo, distinguendo i due momenti diversi
che ne sono alla base: quello della differenziazione e quello della selezione.
Partiamo anzitutto dal fatto che fino a poco tempo fa la straordinaria
multiformità del mondo della vita e l'infinita varietà delle idee che
costituiscono l'universo del pensiero umano, sono state il frutto, ognuna nel
proprio ambito, di processi storici regolati da fattori naturali (geografici,
climatici, catastrofici) e sociali (culturali, economici, tecnologici)
diversissimi, derivanti da un ampio spettro di nicchie differenti, vincoli
autonomi e intrecci originali di caso e necessità. In altre parole l'azione
congiunta del momento della differenziazione e di quello della selezione ha
avuto storicamente come risultato l'accrescimento della diversità biologica e
culturale.
E' pur vero che, con la nascita
del capitalismo e con la mercificazione crescente dei beni materiali, sia
l'evoluzione biologica che quella culturale sono state sottoposte a forti
vincoli da parte del mercato tendenti a produrre una diminuzione della
diversità. Si è finora trattato, tuttavia, di influenze indirette, mediate dal
tessuto sociale, mai di vincoli agenti direttamente sugli organismi viventi e
sui cervelli umani.
Con l'acquisizione della capacità
di trasformare gli uni e gli altri in merce il capitalismo ha compiuto un salto
di qualità. Anche se la crescita impetuosa delle conoscenze e della loro
potenzialità di generare novità - dando origine a una varietà di beni in grado
di soddisfare vecchi e nuovi bisogni umani, di strumenti per modificare uomini
e cose e di mezzi per realizzare i fini più disparati - potrebbe di per sé
contribuire a generare diversità, il momento della selezione subisce un
mutamento radicale. La sostituzione della pluralità di vincoli naturali e
sociali che hanno fino ad ora regolato l'evoluzione delle molteplici forme
della vita e del pensiero, con il vincolo unico derivante dall'obiettivo della
massima valorizzazione del capitale è una semplificazione drastica le cui
conseguenze non sono ancora nemmeno lontanamente immaginabili.
Il merito di questo approccio è
dunque di permettere l'individuazione dell'obiettivo strategico degli attori
sociali che intendono opporsi a questa devastante semplificazione: reintrodurre
una pluralità di vincoli allo sviluppo, diversi da quello dominante della legge
del mercato, che, se non deve essere demonizzato, deve essere detronizzato dal
suo attuale ruolo di vincolo universale per venire ridimensionato in quello
originario di mezzo per equilibrare, evitando sprechi, appropriazioni indebite
e distribuzioni cervellotiche, la domanda e l'offerta di beni necessari e
intrinsecamente scarsi in una società complessa e articolata.
L'obiettivo è dunque di ricreare
un variegato arco di nicchie naturali e sociali protette dallo strapotere dei
padroni del commercio internazionale; di far nascere e rivitalizzare vecchie e
nuove relazioni tra individui e gruppi; insomma di ripristinare le mille
sorgenti del flusso locale di creatività, di iniziativa e di attività umane che
rende fertile il tessuto della società, erigendo argini contro l'alluvione del
capitale globale, che, trasformando tutto in merce, deforma la diversità,
ricchezza della vita, fino a ridurla alla sua orrida caricatura, la disuguaglianza.
E' questa la grande sfida, il mutamento culturale profondo che il pensiero evolutivo deve dare a tutto il sapere che la scuola deve trasmettere alle nuove generazioni, a tutti i saperi che dobbiamo avere per affrontare il futuro.
E' questa la grande sfida, il mutamento culturale profondo che il pensiero evolutivo deve dare a tutto il sapere che la scuola deve trasmettere alle nuove generazioni, a tutti i saperi che dobbiamo avere per affrontare il futuro.
I compiti della scuola
Questo mutamento si basa dunque
su tre punti fondamentali:
a)Un avvicinamento
nella scuola fra la cultura scientifica e la cultura storica
Una cultura
fondata sul pensiero evoluzionista fornisce la base di questo avvicinamento,
perché sia i processi storici della civiltà umana che quelli evolutivi della
vita e del pensiero hanno questa componente di casualità che costituisce la
base per la nascita del nuovo, hanno questa alternanza di necessità e di
aleatorietà che fa evolvere la realtà. Questo significa che conoscenza
scientifica e conoscenza storica non sono più due forme fondamentalmente
diverse di spiegazione del mondo fra loro incompatibili.
b)Un'attenuazione
del solco che separava il sapere scientifico dai valori
Oggi, infatti,
questa separazione, codificata nel dogma della avalutatività della conoscenza
scientifica che ancora sta alla base della deontologia professionale degli
scienziati, comincia a essere rimessa in discussione. La ragione principale
infatti che rende la cultura scientifica così ostica alla stragrande
maggioranza delle persone non sta tanto nell'astrattezza dei suoi concetti o
nel rigore formale delle sue deduzioni, quanto nella sua estraneità rispetto
alle cose ritenute importanti nella vita di ognuno. E' dunque l'immagine tradizionale
di una scienza che ha per scopo di ridurre la complessità della vita, e in
particolare della mente e dell'animo umano, a interazioni elementari fra atomi
o molecole, che respinge istintivamente la maggior parte delle persone.
c)Una rivalutazione
del valore della diversità
Certo, è
ancora vero, anzi è sempre più vero, che la differenza fra le due estremità
della scala che va con continuità dall'uomo più ricco del mondo al più povero è
sempre più abissale, e dunque sempre più moralmente scandalosa. Non basta
tuttavia indignarsi per questo scandalo per farlo cessare. Una volta scesi sul
terreno del capitale, assumendo il denaro come unità di misura di tutte le
cose, e quindi anche dell'ingiustizia sociale, il capitale ha già vinto. Pochi
sono disposti a dare a chi sta peggio una parte di ciò che ha, e chi lo fa, lo
fa soltanto perché lo spinge una motivazione che non è stata ancora ridotta a
merce.
Il capitale globale produce
surrogati
Come ha argomentato con grande
lucidità Amartya Sen nel suo libro fondamentale La disuguaglianza,
«l'idea di uguaglianza deve confrontarsi con due differenti tipi di diversità:
1) la sostanziale eterogeneità degli esseri umani e 2) la molteplicità delle
variabili in base alle quali l'uguaglianza può essere valutata». Se non si
tiene conto di questa multidimensionalità del problema non solo non lo si può
nemmeno sfiorare, ma si rischia grosso. Al limite, anche Pol Pot voleva
l'uguaglianza, ma semplificava troppo il concetto.
Proporsi come obiettivo diretto
l'eliminazione delle disuguaglianze rischia dunque di diventare, al meglio,
soltanto una nobile intenzione incapace di raggiungere risultati concreti. Le
cose cambiano se si coglie il nesso che lega l'aumento delle disuguaglianze e
la distruzione delle diversità. Tanto per dirne una il povero è più povero
anche perché gli si è data una lattina di Coca Cola in cambio di
tradizioni millenarie che gli arricchivano la vita. O ancora, il piccolo
produttore di un prodotto tipico unico, diverso, va in miseria perché il
surrogato standardizzato prodotto da una multinazionale costa meno. Contrastare
la distruzione delle diversità può dunque essere un modo più efficace di
combattere le disuguaglianze.
La contraddizione fondamentale
della società del capitale globale sta infatti nella spinta a ridurre tutto
all'omogeneità indifferenziata della forma di merce, da un lato, e nella
necessità di soddisfare attraverso il mercato bisogni individuali e collettivi
che investono tutto l'arco infinito delle esperienze umane, dall'altro. Tanto per
fare un esempio, deve ridurre a merce sentimenti ed emozioni, gioie e dolori,
bellezza e sacralità, e al tempo stesso deve convincere i consumatori che
queste merci sono esperienze «vere» che possano essere vissute nel loro senso
pieno anche dopo essere passate attraverso il filtro del mercato.
Se questo è il senso del processo
di globalizzazione, occorre porre la questione della difesa della diversità -
diversità degli individui, diversità delle culture, diversità delle forme di
vita - al centro dell'azione volta a contrastarne le tendenze più pericolose e
distruttive. In questo modo la prospettiva cambia radicalmente.
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