18.3.14

A che serve la bellezza? In mostra il Movimento Estetico (Masolino d'Amico)

Vecchio articolo per una mostra già chiusa, ma pieno di notizie, notiziole e curiosità. (S.L.L.)  

J.M. Whistler, Sinfonia in bianco
Londra.
Da sempre, vedi i dipinti nelle caverne, l'uomo ha cercato di fare con le mani qualcosa che fosse bello; nelle culture più evolute si è poi interrogato su cosa la bellezza sia e quindi sulla ricetta per ottenerla (imitazione della natura? armonia di elementi come linea, colori, proporzioni?). Molto più tardi si è domandato se la bellezza sia necessaria. Già, a che serve?
L'interrogativo è stato posto per la prima volta in epoca moderna, precisamente nel XIX secolo e nell'Europa della rivoluzione industriale. Perché, si disse, un artigiano dovrebbe decorare un oggetto producibile in serie con profitti tanto superiori? Perché un quadro, perché una poesia? L'enorme riassetto sociale comportato dall'utilitarismo mise in crisi l'artista. A meno di essere un genio maledetto in conflitto con tutto e destinato a morire giovane, costui doveva impartire buoni consigli. L'opera d'arte si giustificava se era edificante; se condannava il vizio e promuoveva la virtù. Spiriti illuminati protestarono contro tale visione e contro il brutto dilagante nella vita quotidiana (i nuovi assembramenti urbani, la disumanità della fabbrica).
Alla domanda di cui sopra si rispose che l'arte non deve servire proprio a niente. In Francia, dove nacque l'espressione «l'art pour l'art», praticanti che sfidavano la morale (Baudelaire, Flaubert) furono messi sotto processo. Uno di loro, Théophile Gautier, illustrò il concetto. La patata è utile, ma la rosa è bella, scrisse; il luogo più utile della casa è il cesso. Fu però in Inghilterra, ossia nel Paese dove la rivoluzione industriale era nata e dove più prosperava, che si diffuse quello che a un certo punto fu definito un Movimento Estetico. Alle origini si possono collocare le prime opere di John Ruskin, fondatore della critica d'arte moderna: patrocinatore prima del pittore J. M. Turner, quindi dei cosiddetti Preraffaelliti, e sostenitore dell'architettura veneziana come modello per gli edifici destinati ai sudditi della regina Vittoria. Peraltro, nel periodo coperto dalla magnifica mostra «The Cult of Beauty - The Aesthetic Movement 1860-1900» (fino al 17 luglio al Victoria and Albert Museum di Londra), Ruskin, incapace di evolversi coi tempi, appartiene già al passato. Nel 1877 definì sprezzantemente un Notturno impressionista di J. M. Whistler come una secchiata di vernice gettata in faccia al pubblico da un buffone, provocandosi una querela per diffamazione da parte dell'artista, il quale vinse la causa ma si rovino' per pagare le spese.
L'eccentrico americano stabilitosi a Londra dopo essere stato di casa a Parigi era un articolato polemista. A un altro critico che aveva rilevato come una sua tela intitolata Sinfonia in bianco (ritratto di due fanciulle, qui nella mostra) contenesse pure altri colori, rispose notando che anche in una sinfonia in F («fa») ci sono altre note - «non e' tutta F,F,F, fool \ !». Whistler chiamava sinfonie i suoi quadri perché, come gli altri artisti ancor più di lui inguardabili nel movimento, aspirava a un'arte onnicomprensiva. D. G. Rossetti e William Morris furono poeti, E. Burne-Jones cercò nella letteratura i motivi dei suoi quadri; ma oltre che a scrivere e a dipingere, i sunnominati e i loro sodali disegnarono mobili, carte da parati, oggetti di arredamento, tappezzerie, libri. Proposero persino un nuovo modello di femminilità in controtendenza rispetto alle prosperose matrone adulate nelle tele ufficiali dell'epoca, modello incarnato nell'esangue Elisabeth Siddal, moglie e modella di Rossetti, e piu' ancora nella misteriosa, inquietante Jane Burden moglie di Morris e modella nonché amante di Rossetti - alta, magra, spalle larghe, bocca sensuale, sguardo profondo, grande chioma incolta di capelli rossi - raffigurata innumerevoli volte come Ginevra, Lilith, Rosmunda, Proserpina. Nel loro polemico combattere il degrado moderno, e seguendo i modelli a suo tempo proposti da Ruskin, questi artisti si rifacevano a un Medioevo idealizzato, in cui la macchina non aveva ancora inquinato ogni cosa (vedi il romanzo utopico di Morris News from Nowhere). In pittura questo comportava recuperare scene dai romances antichi, con dame e cavalieri in costume, non senza - soprattutto in Rossetti - un sottofondo sensuale, in un contorno di pavoni, girasoli, melograni più o meno stilizzati.
I quadri dei Preraffaelliti, ossia dei suddetti più i vari Hunt, Millais, Solomon e via dicendo, compresi fiancheggiatori come Watts ed epigoni come Alma Tadema, sono quasi tutti molto noti anche se si rivedono con piacere. La parte più interessante della mostra riguarda quindi il resto, ossia l'arredamento in genere. Qui, a parte la decorazione di spinette o canterani con danze di dame stilnoviste, vogliono ricreare l'epoca di prima della meccanizzazione gli pseudocodici miniati, volumi stampati a mano con rilegature di cuoio morbido; le vetrate istoriate; gli arazzi; le vesti femminili fluenti, senza costrizioni di busto. La teorizzata «House Beautiful», qui esemplificata nella ricostruzione di un salotto di casa Rossetti e nella proiezione della «Peacock Room» disegnata da Whistler (ora in America), appare discretamente affastellata di oggetti e quindi lontana dall'essenzialità conquistata nel secolo seguente, anche se a questa guardava l'architetto E. W. Godwin, padre di Gordon Craig.
In ogni caso l'influenza sul gusto contemporaneo esercitata da questi riformatori, per ingenui che oggi possano talvolta apparire, è documentata da frequenti caricature come quelle del disegnatore di Punch G. Du Maurier, vignette su gentlemen sospirosi davanti alla loro «blue china», la porcellana giapponese feticcio di quegli anni. Nel 1882, quando uscì il primo libro dedicato al Movimento Estetico in Inghilterra (di tale W. Hamilton), erano già andate in scena non meno di tre piéce satiriche sulla nuova moda. Nella principale di queste, Patience di Gilbert e Sullivan, alcune fanciulle conquistate al verbo artistico respingono la corte di vigorosi ufficialetti per cedere a effeminati giovani poeti. Quando l'operetta si trasferì a New York, l'impresario, temendo che quel pubblico non cogliesse le allusioni, inviò colà per una serie di conferenze il più vistoso tra gli esponenti della crociata estetica, un ventottenne frequente bersaglio degli umoristi per le sue ostentazioni e sedicente riformatore del costume: il già notorio anche se non ancora famoso Oscar Wilde, che per l'occasione si ordinò brache al ginocchio con calze di seta, subito immortalate da un fotografo. Di tale abbigliamento nella mostra si ammira una rara versione da passeggio, giacca di velluto e bermuda marroni, del cui audace primo proprietario si è persa notizia.


“La Stampa”, 22 giugno 2011   

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