Vecchio articolo per una mostra già chiusa, ma pieno di notizie, notiziole e curiosità. (S.L.L.)
J.M. Whistler, Sinfonia in bianco |
Londra.
Da sempre, vedi i dipinti
nelle caverne, l'uomo ha cercato di fare con le mani qualcosa che
fosse bello; nelle culture più evolute si è poi interrogato su cosa
la bellezza sia e quindi sulla ricetta per ottenerla (imitazione
della natura? armonia di elementi come linea, colori, proporzioni?).
Molto più tardi si è domandato se la bellezza sia necessaria. Già,
a che serve?
L'interrogativo è stato
posto per la prima volta in epoca moderna, precisamente nel XIX
secolo e nell'Europa della rivoluzione industriale. Perché, si
disse, un artigiano dovrebbe decorare un oggetto producibile in serie
con profitti tanto superiori? Perché un quadro, perché una poesia?
L'enorme riassetto sociale comportato dall'utilitarismo mise in crisi
l'artista. A meno di essere un genio maledetto in conflitto con tutto
e destinato a morire giovane, costui doveva impartire buoni consigli.
L'opera d'arte si giustificava se era edificante; se condannava il
vizio e promuoveva la virtù. Spiriti illuminati protestarono contro
tale visione e contro il brutto dilagante nella vita quotidiana (i
nuovi assembramenti urbani, la disumanità della fabbrica).
Alla domanda di cui sopra
si rispose che l'arte non deve servire proprio a niente. In Francia,
dove nacque l'espressione «l'art pour l'art», praticanti che
sfidavano la morale (Baudelaire, Flaubert) furono messi sotto
processo. Uno di loro, Théophile Gautier, illustrò il concetto. La
patata è utile, ma la rosa è bella, scrisse; il luogo più utile
della casa è il cesso. Fu però in Inghilterra, ossia nel Paese dove
la rivoluzione industriale era nata e dove più prosperava, che si
diffuse quello che a un certo punto fu definito un Movimento
Estetico. Alle origini si possono collocare le prime opere di John
Ruskin, fondatore della critica d'arte moderna: patrocinatore prima
del pittore J. M. Turner, quindi dei cosiddetti Preraffaelliti, e
sostenitore dell'architettura veneziana come modello per gli edifici
destinati ai sudditi della regina Vittoria. Peraltro, nel periodo
coperto dalla magnifica mostra «The Cult of Beauty - The
Aesthetic Movement 1860-1900» (fino al 17 luglio al Victoria and
Albert Museum di Londra), Ruskin, incapace di evolversi coi tempi,
appartiene già al passato. Nel 1877 definì sprezzantemente un
Notturno impressionista di J. M. Whistler come una secchiata
di vernice gettata in faccia al pubblico da un buffone, provocandosi
una querela per diffamazione da parte dell'artista, il quale vinse la
causa ma si rovino' per pagare le spese.
L'eccentrico americano
stabilitosi a Londra dopo essere stato di casa a Parigi era un
articolato polemista. A un altro critico che aveva rilevato come una
sua tela intitolata Sinfonia in bianco (ritratto di due
fanciulle, qui nella mostra) contenesse pure altri colori, rispose
notando che anche in una sinfonia in F («fa») ci sono altre note -
«non e' tutta F,F,F, fool \ !». Whistler chiamava sinfonie i suoi
quadri perché, come gli altri artisti ancor più di lui inguardabili
nel movimento, aspirava a un'arte onnicomprensiva. D. G. Rossetti e
William Morris furono poeti, E. Burne-Jones cercò nella letteratura
i motivi dei suoi quadri; ma oltre che a scrivere e a dipingere, i
sunnominati e i loro sodali disegnarono mobili, carte da parati,
oggetti di arredamento, tappezzerie, libri. Proposero persino un
nuovo modello di femminilità in controtendenza rispetto alle
prosperose matrone adulate nelle tele ufficiali dell'epoca, modello
incarnato nell'esangue Elisabeth Siddal, moglie e modella di
Rossetti, e piu' ancora nella misteriosa, inquietante Jane Burden
moglie di Morris e modella nonché amante di Rossetti - alta, magra,
spalle larghe, bocca sensuale, sguardo profondo, grande chioma
incolta di capelli rossi - raffigurata innumerevoli volte come
Ginevra, Lilith, Rosmunda, Proserpina. Nel loro polemico combattere
il degrado moderno, e seguendo i modelli a suo tempo proposti da
Ruskin, questi artisti si rifacevano a un Medioevo idealizzato, in
cui la macchina non aveva ancora inquinato ogni cosa (vedi il romanzo
utopico di Morris News from Nowhere). In pittura questo
comportava recuperare scene dai romances antichi, con dame e
cavalieri in costume, non senza - soprattutto in Rossetti - un
sottofondo sensuale, in un contorno di pavoni, girasoli, melograni
più o meno stilizzati.
I quadri dei
Preraffaelliti, ossia dei suddetti più i vari Hunt, Millais, Solomon
e via dicendo, compresi fiancheggiatori come Watts ed epigoni come
Alma Tadema, sono quasi tutti molto noti anche se si rivedono con
piacere. La parte più interessante della mostra riguarda quindi il
resto, ossia l'arredamento in genere. Qui, a parte la decorazione di
spinette o canterani con danze di dame stilnoviste, vogliono ricreare
l'epoca di prima della meccanizzazione gli pseudocodici miniati,
volumi stampati a mano con rilegature di cuoio morbido; le vetrate
istoriate; gli arazzi; le vesti femminili fluenti, senza costrizioni
di busto. La teorizzata «House Beautiful», qui esemplificata nella
ricostruzione di un salotto di casa Rossetti e nella proiezione della
«Peacock Room» disegnata da Whistler (ora in America), appare
discretamente affastellata di oggetti e quindi lontana
dall'essenzialità conquistata nel secolo seguente, anche se a questa
guardava l'architetto E. W. Godwin, padre di Gordon Craig.
In ogni caso l'influenza
sul gusto contemporaneo esercitata da questi riformatori, per ingenui
che oggi possano talvolta apparire, è documentata da frequenti
caricature come quelle del disegnatore di Punch G. Du Maurier,
vignette su gentlemen sospirosi davanti alla loro «blue china», la
porcellana giapponese feticcio di quegli anni. Nel 1882, quando uscì
il primo libro dedicato al Movimento Estetico in Inghilterra (di tale
W. Hamilton), erano già andate in scena non meno di tre piéce
satiriche sulla nuova moda. Nella principale di queste, Patience
di Gilbert e Sullivan, alcune fanciulle conquistate al verbo
artistico respingono la corte di vigorosi ufficialetti per cedere a
effeminati giovani poeti. Quando l'operetta si trasferì a New York,
l'impresario, temendo che quel pubblico non cogliesse le allusioni,
inviò colà per una serie di conferenze il più vistoso tra gli
esponenti della crociata estetica, un ventottenne frequente bersaglio
degli umoristi per le sue ostentazioni e sedicente riformatore del
costume: il già notorio anche se non ancora famoso Oscar Wilde, che
per l'occasione si ordinò brache al ginocchio con calze di seta,
subito immortalate da un fotografo. Di tale abbigliamento nella
mostra si ammira una rara versione da passeggio, giacca di velluto e
bermuda marroni, del cui audace primo proprietario si è persa
notizia.
“La Stampa”, 22
giugno 2011
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