Alberto Manguel |
I visitatori della Fortezza
Bastiani tengano d’occhio l’ufficiale che li accompagna durante il cammino, perché
è l’unico che conosce le parole d’ordine necessarie ad assicurarsi l’andata e
il ritorno. Non andrà meglio al viaggiatore che deciderà di avventurarsi verso la
«Città del cielo da dove non si torna»; in quel caso, però, il nome della
località non lascia molti dubbi e il malcapitato non potrà inoltrare un reclamo
alla locale azienda di promozione turistica, né denunciare gli autori della sua
guida: Alberto Manguel e Gianni Guadalupi.
A dire il vero, non si tratta proprio
di una guida: sulla copertina infatti c’è scritto Dizionario dei luoghi fantastici Nuova edizione aggiornata e ampliata
(Archinto). Guardando meglio, si capisce allora di avere tra le mani la terza
edizione dell’opera pubblicata la prima volta nel 1980 da Manguel e Guadalupi. Già
lettore privato per conto di Borges, l’argentino Manguel giunse in Italia dove,
lavorando per Franco Maria Ricci, incontrò Guadalupi. Il Dizionario nacque per divertimento e amicizia, crescendo a poco a
poco fino a raggiungere le dimensioni imponenti che ha oggi. Nel frattempo,
Manguel è diventato uno scrittore importante e molto noto anche in Italia mentre
Guadalupi, purtroppo, è scomparso nel 2007. Lo spirito che ha animato l’impresa
non sembra però essere venuto meno. Sfogliando il libro, infatti, e fermandosi sulle
descrizioni e sulle mappe dei posti di cui si parla, vien quasi voglia di lasciarsi
intrappolare nella geografia e nelle architetture immaginarie inventariate con
ironia e dottrina dai due autori.
I luoghi fantastici – isole, montagne,
valli, grotte, città, palazzi, mondi interi – sono prelevati dalla letteratura
di ogni epoca e talvolta dal cinema, in prevalenza europei e americani. Varia è
anche la tipologia delle voci: epigrafiche o fluviali, in relazione alla
generosità delle fonti; epiche o carnevalesche; fantastiche, sì, ma in alcuni
casi involontariamente (spesso, ad esempio, la geografia antica sopperiva col
mito alle proprie carenze), in molti altri deliberatamente. Ciò che colpisce
subito è l’effetto di straniamento, garantito in particolare dalla (tenue)
pretesa di realismo imposta giocosamente al lettore: di qui, appunto, i
consigli e gli inviti alla prudenza rivolti a chi decida di partire, mettiamo,
per Fantàsia o per la città sotterranea di Moria. (Ma se leggiamo quello che
scrivono alcune guide americane o francesi sui ristoranti di Firenze o sugli
alberghi di Roma, sprofondare nel Pantano della Disperazione – per il quale si
rimanda a John Bunyan, 1678 – sembrerà una passeggiata. Il problema della
fantasia è questo: che poi quasi sempre la realtà la supera). Comunicano un
senso ironico di spaesamento anche le voci in cui a nomi geografici reali
corrispondono luoghi immaginari: così ad esempio il regno del Congo di cui
parla Diderot nei Bijoux indiscrets non
va confuso «con l’attuale stato africano».
Sarà ormai chiaro a tutti che non
dobbiamo aspettarci un repertorio ‘scientifico’ (quale è, per intendersi, il Dizionario dei luoghi letterari immaginari
curato qualche anno fa da Anna Ferrari per Utet). Quello di Manguel e Guadalupi
è un lunghissimo racconto metaletterario organizzato in voci anziché in
capitoli. Come un romanzo oulipien,
l’opera è tanto vertiginosamente inclusiva quanto rigidamente esclusiva;
restano fuori dal dizionario, infatti, «paradisi e inferni, come pure i luoghi non
presenti sul pianeta Terra», «quei luoghi fantastici che rappresentavano meri
pseudonimi di luoghi reali», «mondi paralleli o luoghi del futuro». È proprio
vero: niente di più serio, per un vero appassionato, delle regole di un gioco.
Va bene, ma se decidiamo di stare
a quelle regole, ci chiediamo: e la Terra di Mezzo, la cui minuziosissima descrizione,
frammentata in molte voci diverse, occupa una parte cospicua del volume? Quello
di Tolkien non è un mondo parallelo? E non lo è altrettanto la Narnia delle Cronache di C. S. Lewis? Sennonché,
appena formulata, la pignola obiezione si scontra con una forza che le è troppo
superiore: la «forza della narrazione, in cui Gianni credeva in modo tanto illuminato».
Quel Gianni è naturalmente Guadalupi, che Manguel ricorda così nella nuova
Introduzione italiana allo storico Dizionario.
‘Storico’ anche perché letto e recensito a suo tempo (1981) da uno scrittore
italiano a cui i luoghi immaginari piacevano molto: Italo Calvino, che alla princeps canadese del volume (The Dictionary of Imaginary Places,
Toronto 1980) dedicò un pezzo poi raccolto in Collezione di sabbia e intitolato «L’arcipelago dei luoghi
immaginari».
Non sorprende che Calvino abbia mostrato
interesse per un’opera che poteva considerare affine se non altro alle sue Città invisibili (1972). In omaggio a
questa prestigiosa consentaneità, il Dizionario
di Manguel e Guadalupi non si limita a registrare le città calviniane, ma
delega allo scrittore ospite la ‘redazione’ delle voci che lo riguardano: per
cui, ad esempio, le descrizioni di Aglaura o di Isaura, «città dai mille
pozzi», consistono interamente o quasi in citazioni tratte dal volume di
Calvino del 1972. Questo perché la stessa struttura enciclopedica delle Città invisibili ne rendeva facilmente
assimilabili i capitoli sotto forma di altrettante voci da dizionario; ma anche
perché la trascrizione della fonte permette di riattivare il classico meccanismo
romanzesco basato sul rispecchiamento tra realtà e invenzione, testo e fonte.
Un po’ come accade per il motivo del manoscritto ritrovato: solo che qui il ‘manoscritto’
è un libro vero, ancorché fantastico.
È meno attesa e forse più
istruttiva la reazione che si legge tra le righe della recensione di Calvino. Approvazione,
sì, ma perplessa, come di chi guardandosi allo specchio vi osservi un’immagine
lusinghiera di sé in cui non si riconosce pienamente. La perplessità dipende in
particolare da quella sensazione di horror
vacui, «di mancanza d’aria (che) s’accompagna alle gremite topografie del
Mago d’Oz, o di Tolkien, o di C. S. Lewis». In effetti, quanto più è precisa la
cartografia dell’immaginario, tanto più gli spazi ideali che essa disegna
acquistano autonomia rispetto al contesto di realtà al quale spesso alludono.
Un contesto a cui Calvino non ha mai smesso davvero di
interessarsi, come nutrimento dei
suoi organismi fantastici. Catturati dalla paradossale intelligenza narrativa
di Manguel e Guadalupi, rimaniamo invece per ore ‘prigionieri’ del Dizionario; non come il turista della
«Città del cielo da dove non si torna», ma piuttosto come Ruggiero sull’Isola
di Alcina (altro luogo cui è dedicata qui una voce, naturalmente). Piacere e
stupore, cioè, congiurano nel procurare al lettore un gradevole ottundimento,
da cui alla fine si riscuote con un dubbio sulla funzione di tutta questa
straordinaria macchina. Sarebbe però come chiedersi a cosa serve una Wunderkammer: non c’è spiegazione capace
di dar conto dell’impressione che l’esperienza lascia.
Ma oltre al divertimento e
all’erudizione (c’è anche quella, non dimentichiamolo, e il comparatista potrà
giovarsene) c’è dell’altro. Manguel infatti nella sua Introduzione ci vuol
convincere che soprattutto oggi, nell’epoca di Google Earth, un catalogo di
luoghi fantastici può a sua volta diventare un luogo, un rifugio in cui
coltivare la grande risorsa umana della fantasia: «Oggi la tecnologia permette
di vedere foreste e valli, città e villaggi, caseggiati e cortili. (…) Abbiamo
reso impossibile navigare verso l’ignoto come fece Ulisse».
“alias il manifesto”, 21 maggio 2012
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