Riccardo Schicchi con Moana Pozzi |
«Signori della legge,
nelle orecchie/ non sentite questo grido potente/ che le infuocate
Madonìe lontane/ vi mandano per mezzo dei venti? Liberate Schicchi».
Non Riccardo. Ma suo
nonno, Paolo, anarchico siciliano, “il leone di Collesano”: barba
d’ordinanza, cappello, tratti gentili. Infaticabile promotore di
idee di rivolta, direttore e diffusore di opuscoli, fogli, giornali,
manifesti: “La battaglia”, “Il Satana”, “L’avvenire
anarchico”, “Fra la putredine borghese”, “Il vespro
anarchico”. Condannato, esiliato, processato e incarcerato più
volte per vilipendio alla religione, incitamento alla disobbedienza e
all’odio di classe, antifascismo. Il poeta Ignazio Buttita lo ha
gridato in versi: «Liberate Schicchi!». E, ancora in versi, lo ha
celebrato Sandro Pertini: «Noi ci auguriamo di viver la tua vita/ e
di morire in piedi combattendo/ la sorte, o Paolo, da te sempre
ambita». A 72 anni, nel’37, Paolo è in carcere, a Palermo, con la
salute a pezzi e quasi cieco. Caduto Mussolini, finita la guerra,
continua la sua lotta con un obiettivo: «L’unione di tutte le
sante forze proletarie per la rivoluzione». Muore a 85 anni, mentre
alcuni parenti bigotti diffondono la leggenda di una sua mai avvenuta
conversione al cattolicesimo.
“Inconvertibile” e
anarchico è stato, e ha voluto essere, anche il nipote Riccardo.
Sarebbe romantico, e facile, tracciare netti parallelismi. Ma a
quella radice, a quel nonno, Riccardo Schicchi si richiamava con
orgoglio. Forse perché sembrava regalare un senso ed un destino a
tutto il suo percorso. In guerra perenne contro la morale comune,
così amava raccontarsi, con il sorriso morbido e perenne, il candore
furbesco, i toni carezzevoli, e la gentilezza disarmante .
Un ideologo, un
anti-crociato folle e allampanato: il “fabbricatore ” italiano
del porno di massa, non ci stava ad essere considerato soltanto un
geniale imprenditore, ineffabile e paraculesco, interessato pioniere
della trasgressione popolare, nel tempo giusto, al momento giusto.
Per lui il porno non poteva essere diviso dalla sua “aura ”
ideale, dalla sua origine rivoluzionaria: svelare l’ipocrisia,
denudare il potere. Strategia di marketing, anche quella, o vero
movente di un’esistenza “contro”? Riccardo Schicchi ha
attraversato con passo felpato e, insieme, inarrestabile,
tutte le contraddizioni
che si muovono tra il profitto e i valori, la convenienza spicciola e
la purezza del nostro pensiero. Ha incarnato - nel suo corpo e in
tutti i corpi che è riuscito a “svelare” - l’ambiguità della
pornografia, indissolubilmente sospesa tra gesto libertario e
commercio, sfruttamento ed emancipazione. Ha creato le sue “dive
future” a tavolino, si è detto, ma sempre coinvolgendosi appieno,
senza risparmio. Intrecciando, in ogni passaggio, in ogni
sdoganamento progressivo (dai mugolii alla radio ai primi nudi
integrali sui giornaletti, dai film porno agli spettacoli dal vivo
interrotti dall’irrompere della polizia) la vita e il patinato
immaginario che ha continuato a creare, produrre, moltiplicare,
vendere. Un immaginario che, coscientemente o meno, non può non
appartenerci.
Cicciolina e Moana erano
“installazioni ” viventi e permanenti, non semplici interpreti di
film porno: Schicchi ha saputo espandere la pornografia, ne ha reciso
i confini, atto dopo atto, provocazione dopo provocazione. L’ha
resa domestica e onnicomprensiva: “corpo del reato” e dibattito a
ciclo continuo, estetica sdoganata, codice assoluto. Ci riguarda
tutti e non si torna indietro. Ed è anche bello non riuscire mai a
comprendere, pensando alla vicenda di Schicchi, dove finisce
l’anarchico e inizia il mellifluo incantatore, quanto ci sia del
martire, del corsaro o del pappone. Ma è certo che la sua è una
storia eroica e tutta sbilanciata in avanti, a cercare di rimuovere
il prossimo ostacolo. Fino ad Internet, fino all’atomizzazione del
“porno -sistema”, alla sua invasività capillare e definitiva,
priva però di un centro, di una propulsione, di un volto
riconoscibile e di un nuovo senso, oltre l’interminabile
masturbazione generale.
Non era più di questo
mondo, e di questo porno, da un po’, Riccardo Schicchi. Anche lui,
come suo nonno, negli ultimi anni non vedeva più, dopo essersi speso
e consumato, arricchito e impoverito, per «far vedere di più a
tutti». Anche lui, avrà detto a se stesso, come il poeta, prima di
andarsene: «Liberate Schicchi!». E solo libero - nel suo bene e nel
suo male - possiamo pensarlo.
"pubblico", 10 dicembre 2012
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