E’ uscito sul finire del 2013 un
cofanetto che al dvd del film documentario Il
Ribelle di Giancarlo Bocchi accompagna un libro curato dallo stesso regista (Il
Ribelle. Guido Picelli una vita da Rivoluzionario, Imp editore, libro e dvd
del film distribuiti da Nda), che rievoca la figura del leggendario comandante
degli Arditi del Popolo.
Per l’occasione “alias – il
manifesto” ha pubblicato, accompagnato da un articolo e da una nota di Silvana
Silvestri, uno dei documenti contenuti nel libro, un rapporto della polizia
fascista del 1925, che qui riprendo. Esso è seguito da un articolo di Bocchi,
scritto nel 2012 per l’edizione parmense di “Repubblica”, in occasione del
novantesimo anniversario della resistenza degli Arditi all’invasione fascista
della città. Picelli fu avversario di ogni dogmatismo e partigiano dell’unità
dei proletari contro i «piccoli uomini che tengono divise le masse in nome dei
loro interessi personali».(S.L.L.)
Guido Picelli |
Il «Rapporto 1925» - il controllo
della polizia segreta fascista sull’on. Picelli
(a cura di Silvana Silvestri)
1° - Il partito comunista
cercherà di inscenare manifestazioni sovversive per tentare d’impedire la
partecipazione di S.E. l’On. Mussolini alla conferenza di Ginevra.
2° - Nel meridionale (meridione
ndr) la propaganda comunista è attiva. Infatti hanno potuto impiantare a
Messina una tipografia clandestina esclusivamente pel partito.
3° - L’On. Picelli sta preparando
un opuscolo, che verrà stampato quanto prima, sulle giornate di Parma (resistenza
dei comunisti contro gli avversari) durante l’invasione fascista dell’Agosto
1922.
4° - L’On. Picelli dovrà
conferire con gli altri deputati comunisti per studiare il modo di far saltare quella
specie di manganello che sembra tenere in mano Garibaldi nel monumento che vi è
al Pincio (sic!).
5° - L’On. Picelli è di continuo incaricato
di portare documenti di carattere delicato a Mialno (Milano ndr) (all’esecutivo)
ed anche a Torino. Gli ordini in proposito ed i documenti gli vengono dati alla
Camera dietro invio di recarvisi.
7° - Quando ha bisogno di allontanarsi
da Roma, per far perdere le tracce agli agenti sale di strada scende, prosegue
a piedi, riprende un’altra automobile (e ripete il trucco varie volte se è
necessario) con la quale si fa trasportare in una stazione secondaria ove non
vi è tanta vigilanza e dove sa di non essere conosciuto. Non scende mai dal
treno alle stazioni di Milano e Torino, ma in stazioni che si trovano prima di
deette (dette ndr) città.
8° - Covo dei comunisti è un caffè
sito a Roma in Piazza S. Cusinato (Cosimato ndr) al N.37 e 38 gestito da
Capriotti Augusto. L’On. Picelli si fa indirizzare la corrispondenza appunto al
nome del Capriotti in detta Piazza al N.37 e 38. La busta esterna porta
l’indirizzo «Capriotti Augusto» – internamente vi è un’altra busta col semplice
nome «Guido» che viene consegnata al Picelli.
Questo rapporto segreto della polizia fascista del 1925, scoperto durante
le ricerche del film e del libro Il Ribelle, mostra con quanta attenzione il
regime fascista spiasse Guido Picelli, allora deputato nelle file del Partito
comunista d’Italia. Picelli aveva già subito nel 1923 un attentato fascista nel
quale era stato ferito da una pallottola alla tempia ed era sfuggito ad un vasto
complotto ordito da Italo Balbo e da altri gerarchi per attentare alla sua
vita. Malgrado in ogni città lo aspettassero le squadre fasciste per aggredirlo
e picchiarlo, Picelli fino al novembre del 1926, il giorno del suo arresto e
della successiva deportazione al confino, incurante dei pericoli continuò a viaggiare
in tutt’Italia per organizzare la struttura clandestina insurrezionale.(S. S.)
“alias – il manifesto, 28
settembre 2013”
1924. Un gruppo di Arditi del Popolo in esilio a Parigi |
Guido Picelli, le battaglie del
Che di Parma
(Giancarlo Bocchi)
Nell'estate del 1922 ha trentatré
anni. È alto, occhi cerulei, luminosi e magnetici, baffi
"all'americana". Veste quasi sempre di scuro, portamento elegante,
modi garbati. Da ragazzo Guido Picelli non pensava alla rivoluzione, inseguiva
sogni d'artista: recitava sui palcoscenici di provincia, girava l'Italia, a
fianco di Ermete Zacconi partecipò a uno dei primi film del cinema muto
italiano. Ora invece si ritrova capopopolo, uno poco incline ai dibattiti
teorici ma che sa combattere con coraggio. Per il pane, il lavoro, la giustizia
sociale. E che da tempo ha in testa una parola sola, "unità":
"La salvezza del proletariato sta solamente nella valorizzazione delle sue
forze effettive, nell'unità" scrive.
Quando arriva il momento di
mettere in pratica le sue convinzioni Picelli è pronto. Mussolini ha appena
inviato diecimila fascisti alla volta della sua città, Parma, con l'ordine di
"metterla a ferro e fuoco". In poco tempo Picelli fa il miracolo.
Coalizza forze da sempre antagoniste
- socialisti, comunisti,
anarchici, popolari e repubblicani
- in un fronte unico, gli
"Arditi del popolo". La battaglia durerà cinque giorni, dall'1 al 6
agosto, sarà il più importante episodio di opposizione armata al fascismo prima
della Resistenza, dimostrerà che il fascismo si poteva fermare militarmente.
Picelli era un pacifista
convinto. Allo scoppio della Grande guerra si arruola come volontario nella
Croce Rossa, meritando due medaglie al valore. Ma è proprio l'aver assistito
all'"inutile massacro del proletariato" che lo spinge a fare il corso
ufficiali all'Accademia di Modena: vuole imparare a combattere per una società
più giusta. Tornato a Parma fonda "Le Guardie rosse", una formazione
di autodifesa proletaria. Nel 1920 viene imprigionato per aver impedito la
partenza di un treno militare, ma nella primavera del 1921 è il popolo a
tirarlo fuori di galera: con ventimila preferenze è eletto deputato per il
Partito socialista (che poi abbandonerà) e esce dal carcere. Sulla scheda di
accettazione, alla voce "impieghi all'epoca dell'elezione", scrive
beffardo: "Carcerato".
La notte del primo agosto 1922 le
forze squadriste si sono raggruppate alla Stazione di Parma. I carabinieri e le
guardie regie sono state ritirate dalle due caserme dell'Oltretorrente, una
sorta di via libera ai fascisti. All'alba Picelli decide di mobilitare i suoi.
Comandante della spedizione punitiva fascista, almeno diecimila uomini armati
con mitragliatrici, bombe e fucili, è Italo Balbo. Picelli può contare su
trecento "Arditi", fucili modello 1891, moschetti, pistole. Ma dalla
sua parte ha anche, come ricorderà nei suoi scritti, "la popolazione
operaia scesa per le strade, impetuosa come le acque di un fiume che straripi,
con picconi, badili, spranghe ed ogni sorta di arnesi". Come un Che
Guevara d'altri tempi e latitudini, mette in atto un piano di guerriglia urbana
mai attuato prima. Fortifica l'Oltretorrente, e i rioni Naviglio e Saffi, con
tre-quattro linee di barricate per ogni strada, intervallate da reticolati
percorsi da corrente elettrica e da sbarramenti per le autoblindo protetti da
mine. Ottavio Pastore, inviato per “L'Ordine Nuovo” di Gramsci, scrive:
"Le donne avevano preparato l'acqua e l'olio bollente... perfino delle
boccette di vetriolo".
I fascisti attaccano in forze,
vengono respinti. Nel rione Naviglio difeso dal vice di Picelli, l'anarchico
Antonio Cieri, gli scontri più duri. Colpito da un cecchino cade il più giovane
degli Arditi, la vedetta Gino Gazzola, quattordici anni. Anche i comunisti si
sono schierati con gli Arditi, ignorando i diktat di Bordiga. E
nell'Oltretorrente muore, in mano il suo fuciletto da caccia, Ulisse Corazza,
consigliere comunale per il Partito Popolare. Costretti alla fuga, i fascisti
non cantano più "Quando in un cantone ci sta un certo Picelli, lo
manderemo in Russia, a colpi di bastone". Muti, impauriti. Hanno avuto 39
morti e 150 feriti. Sono allo sbando. "Se Picelli dovesse vincere -
annotava Balbo nel suo diario
- i sovversivi di tutta Italia
rialzerebbero la testa. Sarebbe dimostrato che armando e organizzando le
squadre rosse si neutralizza ogni offensiva fascista".
Il quinto giorno Picelli ha vinto
e entra nella leggenda, ma capisce che non c'è tempo per festeggiare. Il nodo
politico-militare dell'estate-autunno del 1922 è cruciale. La battaglia da
difensiva deve diventare offensiva. Dalle colonne del suo giornale, “L'Ardito
del popolo”, lancia appelli all'unità delle forze antifasciste: "Tutti in
piedi come un sol uomo, pronti alla riscossa!". Gira il Nord per
costituire "l'Esercito rosso", ma il suo piano trova una forte
opposizione nei partiti della sinistra. Dopo che Mussolini diventa capo del
governo, Picelli scioglie gli Arditi per fondare "I soldati del
popolo", un'organizzazione segreta insurrezionale. Viene pedinato, spiato,
arrestato. Nel 1923 i fascisti gli tendono un agguato a Parma. Sfugge anche a
un complotto per eliminarlo. Il sicario pentito, Vincenzo Tonti, fa i nomi dei
mandanti: il generale Agostini, il generale Sacco, il vicequestore Angelucci. E
Italo Balbo. Nel 1924 viene rieletto deputato come indipendente nelle liste del
Partito comunista: il Primo maggio entra in Parlamento. Lo fa a modo suo,
issando sul pennone di Montecitorio una grande bandiera rossa.
Si avvicina sempre di più a
Gramsci. Viaggia per organizzare la struttura insurrezionale clandestina del
Partito comunista. In un documento segreto del PCd'I viene indicato, insieme a
Fortichiari dell'ufficio "I" del Partito, come responsabile delle
questioni militari. L'8 novembre del 1926 viene arrestato insieme a tutti i
maggiori leader antifascisti. Dopo cinque anni di confino e di galera nel 1932
fugge in Francia, poi in Belgio, infine Mosca. Qui le sue speranze si scontrano
con la dura realtà: viene emarginato, perseguitato, processato in una
"cista" sulla base di false e futili accuse. L'Nkvd, la polizia
segreta, indaga su di lui e solo grazie all'intervento del potente Dimitri
Manuilski, che conosce Picelli come grande combattente antifascista, accantona
la pratica. Scampato al gulag Picelli parte alla volta della Spagna per
combattere i franchisti. Abbandona i comunisti italiani ed entra in contatto
con il Poum, il Partito comunista antistalinista spagnolo. A Barcellona Andreu
Nin, leader del Poum ed ex segretario di Trotsky, gli propone il comando di un
battaglione. Ma alla fine Picelli accetta, pur consapevole dei rischi di una
vendetta stalinista, un comando delle Brigate internazionali.
Il primo gennaio è al comando del
Battaglione Garibaldi. Attacca e conquista Mirabueno, la prima vittoria
repubblicana sul Fronte di Madrid. La fine arriva pochi giorni dopo, il 5
gennaio 1937, sull'altura del San Cristobal. "La pallottola che l'ha
fulminato, l'ha colpito alle spalle, all'altezza del cuore" scrive l'amico
Braccialarghe che è andato a recuperare il corpo abbandonato sul posto. A
Picelli vengono tributati tre funerali di Stato. A Madrid, Valencia e
Barcellona. A quest'ultimo partecipano più di centomila persone. Sulla lapide,
che due anni più tardi i franchisti faranno a pezzi insieme al corpo di
Picelli, sta scritto: "All'eroe delle barricate di Parma". A un anno
dalla sua morte alti ufficiali degli "Internazionali" propongono di
conferire alla sua memoria "l'Ordine di Lenin", la più alta
onorificenza sovietica. Alcuni funzionari comunisti italiani, però, stilano un
rapporto segreto al Comintern sui contatti tra Picelli e il Poum che di fatto
blocca tutto. Non sarà l'ultimo tentativo di far cadere nell'oblio la vita
straordinaria del "Che" Guevara italiano.
“la Repubblica” – edizione di
Parma, 22 luglio 2012
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