3.3.14

Come Antonio, sedotto da Cleopatra, sconfisse Ottaviano (Pietro Citati)

Richard Burton ed Elizabeth Taylor
interpretano Antonio e Cleopatra
La Vita di Antonio è la più bella tra le Vite di Plutarco. C'è un sovrano equilibrio tra racconto biografico e storico: una attenzione delicatissima ai «segni dell'anima», ai particolari minimi della vita, agli aneddoti raccontati con grazia, e sopratutto agli aspetti mitici della natura di Antonio. Secondo la tradizione, Antonio discendeva da un dio e da un semidio: Dioniso ed Eracle, come Alessandro Magno. Persino la scarsa simpatia che, talvolta, Plutarco nutre per il suo personaggio, accresce bellezza al racconto, perché genera un contrasto psicologico profondo e affascinante. Plutarco ama l'ingenuità e la naturalezza di Antonio, e la sua capacità di sopportare le sventure: quei doni che lo fanno esaltare da parte dei soldati, che lo preferiscono a Cesare e a Ottaviano, più contenuti di lui. Ma ama anche la dote opposta: quella di impersonare drammatiche e grandiose parti teatrali. Dopo l'assassinio di Cesare, Antonio recita con straordinaria efficacia il suo encomio funebre, e Plutarco lo rappresenta con arte non minore di quella di Shakespeare. Antonio trascina e affascina il popolo: mescola alle lodi per Cesare espressioni di pietà e di orrore per l'assassinio; e nel concludere il discorso agita nell'aria le vesti insanguinate e trafitte dai pugnali, suscitando rabbia e disperazione.
Molti anni prima, Cesare aveva educato Antonio, insegnandogli la discrezione e la misura: ora, il suo allievo lo ricambia con il proprio furore, che coincide con la sua sete insaziabile di potere. Tutta l'esistenza di Antonio vive sotto il segno di Dioniso. L'ubriachezza a tutte le ore, le spese eccessive, il suo avvoltolarsi tra le donne, passare il giorno dormendo o vagando frastornato e con la testa greve, le notti di bagordi e di spettacoli; l'amicizia coi mimi, i buffoni, i giocolieri, i flautisti, i citaredi, gli attori; i banchetti presso i boschi e i fiumi; la compagnia con le donne travestite da baccanti e gli uomini e i fanciulli travestiti da satiri; il suono delle cetre e delle zampogne; tutta l'esistenza di Antonio ricorda questo scatenato timbro voluttuoso e lussurioso. Ma Plutarco non dimentica mai che si tratta di una vita mitica, che obbedisce agli ordini invisibili di Dioniso Placido e Datore di Gioia e di Dioniso Mangiatore di Carni.
Nella vita di Antonio, Cleopatra fu la rivelazione. La regina risalì il fiume Cidno su un battello colla prora d'oro, e i marinai vogavano con remi d'argento al ritmo di flauti accompagnati da zampogne e cetra. Cleopatra era sdraiata sotto un baldacchino trapunto d'oro, acconciata come Afrodite, mentre altri servitori ritti ai suoi fianchi, simili ad amori dipinti, le facevano vento, e le servette più belle, in veste di Nereidi e di Grazie, stavano alle barre dei timoni e alle gomene. Profumi invadevano le rive; e a terra e sul fiume, erano numerosissime luci ordinate e disposte con tali rapporti e inclinazioni da formare uno spettacolo armoniosissimo. Sulle bocche di tutti correva una voce: «Afrodite viene in tripudio a unirsi a Dioniso per il bene dell'Asia». Con una specie di meraviglia, Plutarco ricorda che, malgrado la leggenda, Cleopatra non era bellissima: valutava ed esaltava la propria bellezza al di sopra del giusto. Ma la sua conversazione, come raccontavano le testimonianze giunte dopo più di un secolo fino a Plutarco, aveva un fascino indescrivibile, con il quale attrasse sia Cesare sia Antonio. Possedeva la seduzione della parola. La sua lingua era come uno strumento dalle molte corde, perché parlava perfettamente molte lingue. Si adattava al carattere di Antonio e alla sua teatralità e alla sua volgarità soldatesca e alla sua passione dionisiaca, che condivideva come una devota. I figli di Antonio e di Cleopatra ebbero il soprannome di Sole e di Selene: ciò alludeva a una nuova età dell'oro che stava per illuminare la terra. Tutto questo avveniva sotto la protezione di Cleopatra-Iside e di Antonio, che recitava contemporaneamente le parti di Dioniso e di Osiride, fusi in un solo dio. Secondo Plutarco, Antonio amava profondamente Cleopatra, e ne era dominato e soggiogato. Bastava che lei tardasse qualche minuto e lui si rodeva il cuore, in preda all'ansia, all'inquietudine e all'ebbrezza. «Spesso balzava in piedi per guardare in lontananza, finché lei approdava, portando il dono incomparabile della sua grazia». Plutarco pensava che quest'amore fosse una «terribile calamità, a tratti addormentata come per incanto dal sopravvento della ragione»; e poi divampava con impeto rinnovato. Era molto più di una calamità: era una vocazione, una follia, una dedizione, che aprì ad Antonio le porte di un mondo che fino allora gli era sconosciuto.
Credo a torto, Plutarco pensava che Cleopatra non amasse Antonio: secondo lui, fingeva e recitava, facendo dimagrire il corpo, o mostrando uno sguardo smarrito, languido e triste, se Antonio si allontanava. In una grande scena spettacolare e colorata, i due riempirono di folla il ginnasio, collocando su una tribuna due troni d'oro, uno per Antonio e uno per Cleopatra, e altri per i figli su una tribuna più bassa. Per qualche anno, i destini di Antonio e di Cleopatra si divisero. Antonio sposò Ottavia, la sorella di Ottaviano: una donna saggissima e accorta, che cercò di avvicinare il marito e il fratello, cancellando la divisione e la separazione tra l'Occidente e l'Oriente. Questo matrimonio suscitò una grande eco a Roma: il puer atteso da Virgilio nella quarta ecloga, come restauratore di una nuova età dell' oro era, probabilmente, il figlio che Antonio aspettava da Ottavia. Anche i rapporti con Ottaviano si strinsero: giocavano insieme a sorte, a dadi, o facevano combattere i galli e le quaglie. Antonio perdeva sempre, come se soffrisse di una specie di inferiorità astrologica rispetto ad Ottaviano. «Il tuo Genio - disse ad Antonio un indovino egizio - teme il suo Genio e, orgoglioso e fiero quando è solo, diventa più umile e ignobile quando Ottaviano gli è vicino».
Plutarco immaginava che la Provvidenza volesse la vittoria del futuro Augusto. «Era necessario - scrisse - che tutto il mondo si riunisse nelle mani di Augusto». Malgrado l'affettuosa mediazione di Ottavia, tra Antonio e Ottaviano scoppiò la guerra. Fu, fin dal principio, una guerra dionisiaca. Antonio impose a tutti gli artisti dionisiaci di raggiungere Samo, e mentre, intorno, quasi tutti i paesi vibravano di lamentazioni, per più giorni solo Samo risuonò di flauti e di arpe, mentre i teatri erano pieni di folla. Anche ad Atene, Antonio s' immerse nuovamente in divertimenti e spettacoli teatrali. Ad Azio, dove le veloci e leggere navi di Augusto sopraffecero le lente e vaste navi di Antonio, Cleopatra fuggì improvvisamente con la sua flotta. Mi sembra un episodio inesplicabile. Meno inesplicabile fu la fuga di Antonio, soggiogato da Cleopatra. Raccolto dalla nave della regina, da principio Antonio non volle vederla: si recò a prua, si sedette, e rimase solo, in silenzio, con la testa tra le mani, per tre giorni. Intanto i soldati del suo esercito di terra lo desideravano ardentemente: avrebbero voluto combattere con lui; e per molti giorni aspettarono invano di vederlo comparire, mostrando di rimanergli fedeli anche dopo essere stati abbandonati. Quando Antonio comprese che quella guerra, che aveva voluto perdere, era finita, non si turbò, ma quasi lieto di aver deposto ogni speranza, venne accolto nella reggia di Alessandria. Ci furono di nuovo, sotto il segno di Dioniso, conviti e baldorie. Cleopatra e Antonio sciolsero la loro associazione di Viventi inimitabili per costituirne un' altra, di Compagni nella morte, alla quale si iscrivevano gli amici che intendevano morire insieme. Cleopatra giocava a dadi con Antonio, beveva con lui, cacciava con lui: di notte, quando percorreva Alessandria, soffermandosi alle porte o sotto le finestre delle case del popolo, e beffeggiando gli abitanti, indossava le vesti di una servetta, per tenergli compagnia. Gli alessandrini godevano di queste pagliacciate, e si univano ai loro divertimenti. Dicevano soddisfatti che Antonio usava la maschera tragica con i romani, e con loro la maschera comica.
Venne l'ultima sera. Verso metà della notte, mentre la città era silenziosa e prostrata nel timore e nell' attesa, furono uditi improvvisamente suoni armoniosi di strumenti di ogni sorta e grida d'una turba che inneggiava a Dioniso e saltava come i satiri, quasi una schiera di baccanti tumultuose. Nella corsa, i devoti del dio attraversarono il centro della città, e poi raggiunsero le porte esterne, dove si persero. Agli alessandrini, che ascoltavano in silenzio, parve un segnale simbolico: Dioniso, il dio più imitato ed eguagliato da Antonio per tutta la vita, lo stava abbandonando. Secondo Plutarco, Antonio si uccise penosamente: sebbene, prima di morire, dicesse a Cleopatra parole grandiose: «La invitò a non spargere lamenti su di lui per i suoi ultimi rovesci, bensì a felicitarsi con lui per i beni che gli erano toccati, poiché era stato il più illustre degli uomini, il più potente, ed ora era stato vinto in modo non ignobile, lui Romano da un Romano». Ottaviano cercò inutilmente di impadronirsi di Cleopatra, per condurla a Roma, prigioniera, nei suoi trionfi. La incontrò un'ultima volta; e sebbene avesse la voce tremante e gli occhi incavati, il suo fascino non era spento del tutto: balenava nell'intimo, da chissà quale recesso, e si manifestava nelle mobili e inquiete espressioni del volto. L'ultimo giorno, Cleopatra si fece preparare un bagno. Consumò un magnifico pasto. Dalla campagna arrivò un contadino con un canestro pieno di grandissimi e bellissimi fichi. Tra i fichi, c'era un aspide, nascosto sotto le foglie, e Cleopatra denudò il braccio e lo offerse al morso mortale. Così abbandonò la vita e le grazie e i divertimenti della squisita conversazione.
La fedele Ottavia accolse ed educò i figli di Antonio e di Cleopatra e li allevò insieme ai suoi e curò amorosamente i loro matrimoni. Malgrado le apparenze, nella contesa tra Augusto e Antonio, il vincitore fu il vinto. La monarchia apollinea, che Augusto aveva preparato con tanta cura e attenzione, decadde e si spense rapidamente. Caligola soppresse le celebrazioni per la battaglia di Azio: Nerone, il dionisiaco, discendeva da Antonio, per parte sia di padre che di madre. La superba monarchia orientale, che Antonio-Dioniso-Osiride aveva sognato insieme a Cleopatra-Iside, ebbe dalla sua parte il futuro. Roma diventò Alessandria.
  

Corriere della Sera 16 luglio 2012

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