Richard Burton ed Elizabeth Taylor interpretano Antonio e Cleopatra |
La Vita di Antonio è la più bella tra le Vite di Plutarco. C'è un sovrano equilibrio tra racconto biografico
e storico: una attenzione delicatissima ai «segni dell'anima», ai particolari
minimi della vita, agli aneddoti raccontati con grazia, e sopratutto agli
aspetti mitici della natura di Antonio. Secondo la tradizione, Antonio
discendeva da un dio e da un semidio: Dioniso ed Eracle, come Alessandro Magno.
Persino la scarsa simpatia che, talvolta, Plutarco nutre per il suo
personaggio, accresce bellezza al racconto, perché genera un contrasto
psicologico profondo e affascinante. Plutarco ama l'ingenuità e la naturalezza
di Antonio, e la sua capacità di sopportare le sventure: quei doni che lo fanno
esaltare da parte dei soldati, che lo preferiscono a Cesare e a Ottaviano, più
contenuti di lui. Ma ama anche la dote opposta: quella di impersonare
drammatiche e grandiose parti teatrali. Dopo l'assassinio di Cesare, Antonio
recita con straordinaria efficacia il suo encomio funebre, e Plutarco lo
rappresenta con arte non minore di quella di Shakespeare. Antonio trascina e
affascina il popolo: mescola alle lodi per Cesare espressioni di pietà e di
orrore per l'assassinio; e nel concludere il discorso agita nell'aria le vesti
insanguinate e trafitte dai pugnali, suscitando rabbia e disperazione.
Molti anni prima, Cesare aveva
educato Antonio, insegnandogli la discrezione e la misura: ora, il suo allievo
lo ricambia con il proprio furore, che coincide con la sua sete insaziabile di
potere. Tutta l'esistenza di Antonio vive sotto il segno di Dioniso. L'ubriachezza
a tutte le ore, le spese eccessive, il suo avvoltolarsi tra le donne, passare
il giorno dormendo o vagando frastornato e con la testa greve, le notti di
bagordi e di spettacoli; l'amicizia coi mimi, i buffoni, i giocolieri, i
flautisti, i citaredi, gli attori; i banchetti presso i boschi e i fiumi; la
compagnia con le donne travestite da baccanti e gli uomini e i fanciulli
travestiti da satiri; il suono delle cetre e delle zampogne; tutta l'esistenza
di Antonio ricorda questo scatenato timbro voluttuoso e lussurioso. Ma Plutarco
non dimentica mai che si tratta di una vita mitica, che obbedisce agli ordini
invisibili di Dioniso Placido e Datore di Gioia e di Dioniso Mangiatore di
Carni.
Nella vita di Antonio, Cleopatra
fu la rivelazione. La regina risalì il fiume Cidno su un battello colla prora
d'oro, e i marinai vogavano con remi d'argento al ritmo di flauti accompagnati
da zampogne e cetra. Cleopatra era sdraiata sotto un baldacchino trapunto d'oro,
acconciata come Afrodite, mentre altri servitori ritti ai suoi fianchi, simili
ad amori dipinti, le facevano vento, e le servette più belle, in veste di
Nereidi e di Grazie, stavano alle barre dei timoni e alle gomene. Profumi
invadevano le rive; e a terra e sul fiume, erano numerosissime luci ordinate e
disposte con tali rapporti e inclinazioni da formare uno spettacolo
armoniosissimo. Sulle bocche di tutti correva una voce: «Afrodite viene in
tripudio a unirsi a Dioniso per il bene dell'Asia». Con una specie di meraviglia,
Plutarco ricorda che, malgrado la leggenda, Cleopatra non era bellissima:
valutava ed esaltava la propria bellezza al di sopra del giusto. Ma la sua
conversazione, come raccontavano le testimonianze giunte dopo più di un secolo
fino a Plutarco, aveva un fascino indescrivibile, con il quale attrasse sia
Cesare sia Antonio. Possedeva la seduzione della parola. La sua lingua era come
uno strumento dalle molte corde, perché parlava perfettamente molte lingue. Si
adattava al carattere di Antonio e alla sua teatralità e alla sua volgarità
soldatesca e alla sua passione dionisiaca, che condivideva come una devota. I
figli di Antonio e di Cleopatra ebbero il soprannome di Sole e di Selene: ciò
alludeva a una nuova età dell'oro che stava per illuminare la terra. Tutto
questo avveniva sotto la protezione di Cleopatra-Iside e di Antonio, che
recitava contemporaneamente le parti di Dioniso e di Osiride, fusi in un solo
dio. Secondo Plutarco, Antonio amava profondamente Cleopatra, e ne era dominato
e soggiogato. Bastava che lei tardasse qualche minuto e lui si rodeva il cuore,
in preda all'ansia, all'inquietudine e all'ebbrezza. «Spesso balzava in piedi
per guardare in lontananza, finché lei approdava, portando il dono
incomparabile della sua grazia». Plutarco pensava che quest'amore fosse una
«terribile calamità, a tratti addormentata come per incanto dal sopravvento
della ragione»; e poi divampava con impeto rinnovato. Era molto più di una
calamità: era una vocazione, una follia, una dedizione, che aprì ad Antonio le
porte di un mondo che fino allora gli era sconosciuto.
Credo a torto, Plutarco pensava
che Cleopatra non amasse Antonio: secondo lui, fingeva e recitava, facendo
dimagrire il corpo, o mostrando uno sguardo smarrito, languido e triste, se
Antonio si allontanava. In una grande scena spettacolare e colorata, i due
riempirono di folla il ginnasio, collocando su una tribuna due troni d'oro, uno
per Antonio e uno per Cleopatra, e altri per i figli su una tribuna più bassa.
Per qualche anno, i destini di Antonio e di Cleopatra si divisero. Antonio
sposò Ottavia, la sorella di Ottaviano: una donna saggissima e accorta, che
cercò di avvicinare il marito e il fratello, cancellando la divisione e la
separazione tra l'Occidente e l'Oriente. Questo matrimonio suscitò una grande
eco a Roma: il puer atteso da
Virgilio nella quarta ecloga, come restauratore di una nuova età dell' oro era,
probabilmente, il figlio che Antonio aspettava da Ottavia. Anche i rapporti con
Ottaviano si strinsero: giocavano insieme a sorte, a dadi, o facevano
combattere i galli e le quaglie. Antonio perdeva sempre, come se soffrisse di
una specie di inferiorità astrologica rispetto ad Ottaviano. «Il tuo Genio -
disse ad Antonio un indovino egizio - teme il suo Genio e, orgoglioso e fiero
quando è solo, diventa più umile e ignobile quando Ottaviano gli è vicino».
Plutarco immaginava che la
Provvidenza volesse la vittoria del futuro Augusto. «Era necessario - scrisse -
che tutto il mondo si riunisse nelle mani di Augusto». Malgrado l'affettuosa mediazione
di Ottavia, tra Antonio e Ottaviano scoppiò la guerra. Fu, fin dal principio,
una guerra dionisiaca. Antonio impose a tutti gli artisti dionisiaci di
raggiungere Samo, e mentre, intorno, quasi tutti i paesi vibravano di
lamentazioni, per più giorni solo Samo risuonò di flauti e di arpe, mentre i
teatri erano pieni di folla. Anche ad Atene, Antonio s' immerse nuovamente in
divertimenti e spettacoli teatrali. Ad Azio, dove le veloci e leggere navi di
Augusto sopraffecero le lente e vaste navi di Antonio, Cleopatra fuggì
improvvisamente con la sua flotta. Mi sembra un episodio inesplicabile. Meno
inesplicabile fu la fuga di Antonio, soggiogato da Cleopatra. Raccolto dalla
nave della regina, da principio Antonio non volle vederla: si recò a prua, si sedette,
e rimase solo, in silenzio, con la testa tra le mani, per tre giorni. Intanto i
soldati del suo esercito di terra lo desideravano ardentemente: avrebbero
voluto combattere con lui; e per molti giorni aspettarono invano di vederlo
comparire, mostrando di rimanergli fedeli anche dopo essere stati abbandonati.
Quando Antonio comprese che quella guerra, che aveva voluto perdere, era
finita, non si turbò, ma quasi lieto di aver deposto ogni speranza, venne
accolto nella reggia di Alessandria. Ci furono di nuovo, sotto il segno di
Dioniso, conviti e baldorie. Cleopatra e Antonio sciolsero la loro associazione
di Viventi inimitabili per
costituirne un' altra, di Compagni nella
morte, alla quale si iscrivevano gli amici che intendevano morire insieme.
Cleopatra giocava a dadi con Antonio, beveva con lui, cacciava con lui: di
notte, quando percorreva Alessandria, soffermandosi alle porte o sotto le
finestre delle case del popolo, e beffeggiando gli abitanti, indossava le vesti
di una servetta, per tenergli compagnia. Gli alessandrini godevano di queste
pagliacciate, e si univano ai loro divertimenti. Dicevano soddisfatti che
Antonio usava la maschera tragica con i romani, e con loro la maschera comica.
Venne l'ultima sera. Verso metà
della notte, mentre la città era silenziosa e prostrata nel timore e nell'
attesa, furono uditi improvvisamente suoni armoniosi di strumenti di ogni sorta
e grida d'una turba che inneggiava a Dioniso e saltava come i satiri, quasi una
schiera di baccanti tumultuose. Nella corsa, i devoti del dio attraversarono il
centro della città, e poi raggiunsero le porte esterne, dove si persero. Agli
alessandrini, che ascoltavano in silenzio, parve un segnale simbolico: Dioniso,
il dio più imitato ed eguagliato da Antonio per tutta la vita, lo stava
abbandonando. Secondo Plutarco, Antonio si uccise penosamente: sebbene, prima
di morire, dicesse a Cleopatra parole grandiose: «La invitò a non spargere
lamenti su di lui per i suoi ultimi rovesci, bensì a felicitarsi con lui per i
beni che gli erano toccati, poiché era stato il più illustre degli uomini, il
più potente, ed ora era stato vinto in modo non ignobile, lui Romano da un
Romano». Ottaviano cercò inutilmente di impadronirsi di Cleopatra, per condurla
a Roma, prigioniera, nei suoi trionfi. La incontrò un'ultima volta; e sebbene
avesse la voce tremante e gli occhi incavati, il suo fascino non era spento del
tutto: balenava nell'intimo, da chissà quale recesso, e si manifestava nelle
mobili e inquiete espressioni del volto. L'ultimo giorno, Cleopatra si fece
preparare un bagno. Consumò un magnifico pasto. Dalla campagna arrivò un
contadino con un canestro pieno di grandissimi e bellissimi fichi. Tra i fichi,
c'era un aspide, nascosto sotto le foglie, e Cleopatra denudò il braccio e lo
offerse al morso mortale. Così abbandonò la vita e le grazie e i divertimenti
della squisita conversazione.
La fedele Ottavia accolse ed
educò i figli di Antonio e di Cleopatra e li allevò insieme ai suoi e curò
amorosamente i loro matrimoni. Malgrado le apparenze, nella contesa tra Augusto
e Antonio, il vincitore fu il vinto. La monarchia apollinea, che Augusto aveva
preparato con tanta cura e attenzione, decadde e si spense rapidamente.
Caligola soppresse le celebrazioni per la battaglia di Azio: Nerone, il dionisiaco,
discendeva da Antonio, per parte sia di padre che di madre. La superba
monarchia orientale, che Antonio-Dioniso-Osiride aveva sognato insieme a
Cleopatra-Iside, ebbe dalla sua parte il futuro. Roma diventò Alessandria.
Corriere della Sera 16 luglio 2012
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