3.3.14

Perugia in mostra. Il soldato Burini e la città in cammino (S.L.L.)

Il soldato Giuseppe Burini (prestatori Bellaveglia e Moschetti)
Perugia in cammino - Storie che fanno la storia è il titolo della mostra fotografica e documentaria curata da Alberto Mori, con la collaborazione di Luigi Petruzzellis, in  svolgimento al Palazzo della Penna di Via Podiani, a Perugia, fino al 6 aprile. Non perdetela: è ricca, varia e interessante, vale la pena di una visita. Se siete insegnanti poi, portatevi le scolaresche d’ogni ordine e grado, magari profittando della possibilità offerta di visite guidate: solleciterete curiosità e interessi da cui partire per costruire processi di apprendimento e conoscenza critica.
L’esposizione è frutto di una operazione cominciata nel 2011 con la mostra La memoria nei cassetti. Perugia 1944/1970, che raccoglieva immagini della città prestate da privati cittadini e organizzate intorno ad alcuni percorsi tematici. Dal successo dell’iniziativa è nata la richiesta rivolta dal Comune a singoli, associazioni ed enti, per una sistematica raccolta di foto e di altri documenti relativi alla storia cittadina dall’Unità d’Italia ad oggi, da rendere disponibili alla fruizione della comunità. Con il sostegno della Regione è in corso la digitalizzazione e la collocazione in un portale web dedicato.
Il progetto – con una punta di ironia, immagino – è stato chiamato Archivio della memoria condivisa, con espressione equivoca, il più delle volte usata per propugnare una lettura “pacificata” della storia nazionale, un embrassons nous di sostanziale riabilitazione dei fascisti, giudicati italiani che sbagliavano (come tanti altri, del resto), per lo più con buone intenzioni. La “memoria condivisa” di questo progetto, invece, ci soddisfa e piace, visto che non contiene nulla di ideologico e lascia aperta la via a una ricerca spregiudicata, alla pluralità dei punti di vista.
La mostra è collocata su due piani del Palazzo della Penna. La apre una sorta di vetrina, una sala che esibisce in pannello fotografie assai diverse per epoca e tematica, da un’antica foto della Conca a un’immagine recente da Umbria Jazz. Vi spicca la fotocopia ingrandita dell’appello di un sindaco ottocentesco che chiede aiuto alle associazioni di proprietari e imprenditori per il finanziamento degli studi universitari cittadini: la penuria di risorse aveva obbligato al taglio di parecchi insegnamenti.
Il percorso è prevalente cronologico. Da basso si va dalla sezione di fine Ottocento fino alla seconda guerra mondiale, al primo piano dal dopoguerra si arriva ai nostri giorni. Ma ci sono digressioni, spazi tematici di approfondimento; in primo luogo quello delle sale dedicate alle attività economiche della città  (con qualche uscita “fuori le mura”), corredate da materiali selezionati dall’Associazione Vermiglioli di Numismatica e Filatelia. I documenti prestati (cartoline, lettere commerciali, fatture, volantini pubblicitari) sono generalmente meritevoli d’attenzione, ma, nonostante la cernita, la roba resta comunque tanta e la cosa potrebbe scoraggiare o affievolire l’attenzione.
Le sale del percorso “generalista” sono caratterizzate da una varietà che, al primo impatto, crea un qualche disorientamento: un corteo nuziale vicino a un deposito di bombe, un gruppo di operai di fronte a Fausto Coppi in volata e così via; e tuttavia già una prima riflessione rende evidente la trama di connessioni che legano i pannelli delle immagini.  I curatori hanno opportunamente evitato le grandi “cornici di testo”, i commenti scritti che spesso si presentano come gabbie, lasciando all’intelligenza del visitatore il compito di costruire relazioni tra le immagini.
Altre scelte sono poi da apprezzare: intanto, rispetto alla precedente mostra, lo spazio minore concesso all’ufficialità: meno inaugurazioni e cerimonie pubbliche, meno incontri congressuali o raduni giubilari, meno comizi e iniziative di propaganda politica. Non deve perciò stupire che nel ventennio fascista, pure adeguatamente rappresentato, si vedano così poche camicie nere. Insomma il “personale” sembra prevalere sul “politico”; ma non bisogna pensare che si segua l’andazzo. Come si sa, in questa restaurazione, riaffiora, in parallelo col leaderismo, la tendenza a vedere nella storia (non solo politica) una storia dei capi (non solo politici) che qui assolutamente non c’è. E c’è invece una sana reazione alla “microstoria” intesa come “privatizzazione della storia”. Non bisogna lasciarsi ingannare dal sottotitolo: l’idea dei curatori non è che la Storia sia una somma di “storie”; per loro “le storie fanno la storia”, ma nel senso che con più concretezza la documentano e ne precisano i contorni. L’esempio migliore è rappresentato da una delle digressioni, dedicata al soldato Burini, morto prigioniero degli austriaci durante la prima guerra mondiale, storia costruita con documenti ufficiali, lettere private, foto: tristissima, giacché – lui morto, nel 1917 – i suoi cari continuano a ricevere a sua firma lettere, che malamente ne imitano la grafia, con la richiesta incalzante di pacchi viveri. Ma sul materiale esposto, scarno, sono tante le considerazioni possibili. Per esempio a una buona pagella di licenza elementare corrisponde un’espressione sgrammaticata, cosa che sollecita domande e approfondimenti sul sistema scolastico. Un altro esempio: in una lettera leggiamo l’invito di Burini ai suoi parenti perché vadano a Perugia e sollecitino presso il “Signorino” una raccomandazione che gli faccia ottenere l’esonero o, quanto meno, una “licenza per lavori agricoli”. Che ci dice tutto ciò sui rapporti sociali nella città, sul sentire popolare in merito alla guerra? Anche da questa vicenda, insomma, viene fuori nettamente come non vi sia separazione tra grande “Storia” e piccole “storie”, ma piuttosto intreccio. Leggendo, poi, la secca comunicazione dell’iscrizione del Burini nell’elenco dei caduti di guerra m’è venuta in mente una canzoncina di De Gregori, quella che fa “La storia siamo noi padri e figli / siamo noi bella ciao che partiamo”. Me la sono portata dietro commosso fino alle ultime sale dove ne ho trovato conferma osservando gli strumenti di lavoro di Aldo Poeta, orafo e antifascista, e le care immagini di Pietro Ingrao e del nostro Enrico Mantovani, giovanissimo e sorridente, come  sempre alle prese con le bambine.

Scendendo le scale al senso di consolazione che ricavavo dalla visione è subentrata una domanda inquietante: “Perugia in cammino, ma verso dove?”. Mi sono ricordato di alcune immagini della prima sala, che mostrando scorci della città, documentavano quanto sia mutata. Ho pensato a un centro molto più cementificato e assai più vuoto di persone e di speranze, ho pensato al degrado degli ultimi decenni che può leggersi anche in questa mostra, ed alle scelte spesso sbagliate degli amministratori locali. Forse c’è una specie di schizofrenia in amministrazioni comunali e regionali che promuovono occasioni di conoscenza come questa (bella) mostra e ne ignorano le implicazioni per le loro scelte di governo. O forse sono troppo evangelici: la mano destra non sa quel che fa la sinistra…

micropolis, febbraio 2014

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