Anche la questione francescana, come
quella omerica, è nata dalla discussione filologica sulla paternità e l'intepretazione
di testi (in questo caso relativi a Francesco d'Assisi), ma ha avuto riflessi
ben più profondi sulle scelte di vita di molte migliaia di persone. Oggi,
grazie alla forte visibilità del riferimento francescano di papa Bergoglio, il
dibattito su cosa veramente abbia fatto, detto e disposto il santo e quale
ispirazione si debba cogliere nella sua esperienza si è rinnovato ed esteso,
sollecitando la produzione di nuove sintesi e la ristampa di celebri titoli di
storia francescana (come Francesco. Il
santo di Assisi all'origine dei movimenti francescani di Giovanni Miccoli,
Donzelli, pp. XXTV-296, € 18,50) e coinvolgendo anche intellettuali e politici,
che hanno conferito al dibattito un'insolita risonanza mediatica.
In età moderna, dopo la pubblicazione
da parte di Wadding (1623) di oltre 256 documenti riferibili a Francesco e
l'edizione delle biografie nella raccolta di Suyskens (1768), la prima vera
occasione di analisi fu la Vita di san
Francesco di Sabatier (1894), secondo il quale ogni ricostruzione storica
del francescanesimo si doveva fondare non sulle testimonianze e sulle biografie
«istituzionali» potenzialmente condizionate da interessi esterni, come quelle
di Tommaso da Celano o di Bonaventura, commissionate dal papato o dall’Ordine,
quanto dalle sue opere più
autentiche, prima che la comprensione dei dati fosse progressivamente deformata
dall'interpretazione della Chiesa e di fazioni dell'Ordine.
Francesco infatti, nonostante si
dichiarasse ignorans et idiota, ha
lasciato una trentina di scritti (quasi tutti in latino), il cui canone è stato
fissato nell'edizione di Esser del 1976 (poi completata da Grau nel 1989),
fondata sulla consultazione di tutti
i testimoni manoscritti accessibili. Ma il risultato non si è rivelato
definitivo perché già nel '78 la nuova edizione di Boccali escludeva alcuni
testi, mentre attribuiva a Francesco altre quattro lettere, tre preghiere e il
testamento di Siena. E pensare che secondo Tommaso da Celano, nel capitolo 82
della sua Vita, suggestiva e colorita
come un dipinto di Giotto ma ispirata e lirica come una lauda di Iacopone,
Francesco prescriveva che le sue parole fossero riportate alla lettera, anche
se sbagliate, proprio nel timore delle deformazioni interpretative che avevano
già colpito il Vangelo, di cui raccomandava infatti la lettura sine glossa.
La scelta dei suoi scritti
pubblicata nel 2004 dalla Fondazione Valla nel primo dei quattro volumi sulla Letteratura francescana curati dal
mediolatinista Claudio Leonardi, venuto a mancare nel 2010, fa riferimento
all'edizione Esser-Grau e ne ridispone la sequenza alfabetica in ordine
cronologico. Da poche settimane è in libreria il IV volume, uscito postumo come
già il III (Bonaventura: La perfezione
cristiana, Mondadori 2012, pp. 544) e come altre opere cui questo gigante
della medievistica italiana stava lavorando nell'ultimo anno della sua vita
straordinariamente feconda: si tratta di Bonaventura:
La leggenda di Francesco (Mondadori, pp. 472) ossia la Legenda maior redatta fra 1260 e 1263 per fornire un riferimento
unitario all'Ordine, che era cresciuto fino a contare oltre mille conventi
sparsi nelle 32 (o 34) province di tutta Europa ma era dilaniato da lacerazioni
interne. I poli della tensione dialettica dividevano moderati e rigoristi sulla
scelta fra povertà assoluta e accesso a forme provvisorie di possesso, sulla
opportunità o meno che i frati studiassero e dunque possedessero libri e
addirittura insegnassero, sui rapporti con la Chiesa di Roma e con i
Domenicani.
Su questo si innestava
l'interferenza con l'interpretazione gioachimita, cioè riferibile a Gioachino
da Fiore, l'abate calabrese dantescamente «di spirito profetico dotato», che -
nella versione del francescano Gerardo da Borgo San Donnino (oggi Fidenza) -
vedeva nei Minori «la realtà che nella Chiesa e nella storia annuncia il nuovo
tempo», il tempo dello Spirito e della pace, la perfezione dell'umanità.
«L'ordine minoritico riassume Leonardi nella rivoluziona ria introduzione al
III volume di Letteratura francescana - è il soggetto per cui l'uomo diventa
altro e la storia si muta in un tempo diverso». Ma Gerardo fu condannato da
papa Alessandro IV e dovette lasciare l'incarico di ministro generale dei
francescani. Al suo posto nel 1260 fu eletto Bonaventura di Bagnoregio, frate
della fazione moderata, laureato a Parigi e autore di opere di altissimo anche
se non sempre originale impegno teologico e mistico come l'Itinerarium mentis in Deum (tradotto e commentato nel III volume di
Leonardi): il nuovo Ministro generale venne incaricato di redigere una vita di
San Francesco destinata a diventare modello normativo per l'Ordine. Tre anni
dopo la Legenda maior era pronta e fu
approvata, e vennero distrutte le copie disponibili delle biografie precedenti:
un atto certamente autoritario che nell'osservatore moderno può suscitare
raccapriccio e che infatti Miccoli ritiene privo di paralleli «nella storia
della agiografia e della cultura medievali», ma che Leonardi assimila alle
prassi di eliminazione delle redazioni obsolete di testi legislativi, come per
gli Statuti delle città. Per fortuna l'ordine non fu eseguito con cura e delle
biografie pre-bonaventuriane di Francesco si conservò un numero di esemplari
sufficiente a farle pervenire ai nostri giorni. L’operazione di Bonaventura
riprende e aggiorna la struttura del Memoriale,
o Vita secunda, di Tommaso da Celano:
entro una cornice cronologica iniziale (origini, conversione, fondazione
dell'Ordine e conferma ecclesiastica della Regola) e finale (morte e
canonizzazione) vengono narrate decine di episodi biografici in sequenze
tematiche: austerità della vita e conforto delle creature, umiltà e obbedienza,
amore per la povertà, pietà e rapporto con gli animali, carità e desiderio di
martirio, fervore ed efficacia della preghiera, spirito di profezia fino alle
stimmate, alla morte e alla canonizzazione, seguita da un'appendice sui
numerosi miracoli. Qui l'influenza della concezione teologica si fa vistosa:
come nella mistica bonaventuriana, che si ispira alla struttura progressiva di
Dionigi pseudo-Areopagita, la pienezza si raggiunge attraverso le tre tappe di
purificazione, illuminazione e perfezione esposte da Bonaventura nel De triplici vita, così nella Legenda maior i capitoli 5-7
illustrerebbero le virtù ascetiche di tradizione monastica con la rinuncia a
sesso, potere e proprietà, i capitoli 8-10 tratterebbero l'illuminazione nel
rapporto con Dio e con le creature, i seguenti testimonierebbero la compiutezza
di questa scalarità fino a quella che Leonardi interpreta come unione mistica
con Dio alla Verna (testimoniata dalle stimmate come segno di immedesimazione,
sulla cui intepretazione si è tanto discusso dopo la «decostruzione» di Chiara
Frugoni).
Al di sotto di questa
articolazione esterna Leonardi individua una struttura cristologica scandita
dalle selle apparizioni della croce nella vicenda biografica e poi agiografica
di limi pesco, che diventa così parallela al percorso delineato da Bonaventura
nell’Itinerarium. Bonaventura sarebbe
dunque riuscito nell'intento di proporre un modello di vita coerente con le sue
elaborazioni teologiche e culminante nell'esperienza che egli pone al vertice
dell'esistenza cristiana, cioè l'incontro con Dio. Questa lettura viene
circostanziata dal commento di Daniele Solvi, uno dei migliori esperti italiani
di testi francescani, che aiuta soprattutto a collegare la Legenda alla fitta rete di altri testi francescani senza aggirare
quella che è la richiesta di ogni lettore interessato alla ricostruzione
storica: individuare cosa Bonaventura abbia aggiunto, tolto e adattato dei dati
che conosciamo da altre fonti, cioè verificare se e quanto sia intervenuto nel modificare
la memoria di Francesco con lo scopo di adeguare le norme dell'Ordine alle
esigenze della nuova fase storica.
Si scopre così che, per evitare
di fornire riferimenti alle fazioni che stavano disgregando l'Ordine,
Bonaventura mette in ombra i dissidi manifestatisi fra i seguaci di Francesco;
analogamente valorizza il lavoro intellettuale (che la Regola di Francesco dichiara invece non indispensabile alla
santità) rispetto a quello manuale privilegiato dal santo. Solvi non esita a
individuare in Bonaventura anche l'oscuramento delle sofferenze di Francesco
per le tensioni fra i frati riportate da Tommaso e della «grande tentazione»
descritta dalla Compilatio Assisiensis.
L'analisi testuale conferma
dunque in parte quanto sottolineato da Miccoli: Bonaventura oblitera ed edulcora,
traducendo «in termini pedagogici, di esercizio ascetico individuale, ciò che
originariamente era la radicale assunzione di un'ottica e di un punto di vista
diversi, alternativi a quelli correnti della società» e propone un concetto di
fedeltà al modello «limitata», partendo dall'assunto che nemmeno i dodici
apostoli erano riusciti a raggiungere la perfezione di Cristo. L'operazione di
Bonaventura è rappresentata da Miccoli come il compimento del processo di integrazione
dei francescani nella vita delle città e delle istituzioni, secondo un destino
comune - diremmo - a tutte le rivoluzioni, ma che ogni volta si espone a essere
letto come un tradimento delle origini.
La lettura di Francesco come
mistico proposta da Leonardi intende ridimensionare proprio le interpretazioni
rigoriste e attualizzanti dei documenti francescani - dominanti nella
storiografia francescana da Sabatier a Manselli a Miccoli a Merlo a Dalarun -
viste come un cedimento, sulla linea gioachimita, alla proiezione del fatto di
fede sulla storia e insieme come tentazione «gnostica» (secondo un'accezione
derivata da Baget Bozzo) di visione del mondo che squalifica i beni materiali,
esprimendo «un rifiuto dell'umano per accogliere solo lo spirituale».
La questione francescana, se non
è del tutto risolta sul piano filologico, lo è dunque ancor meno sul piano
interpretativo, e questa tensione aperta non può non far pensare ai giorni
drammatici in cui Francesco, con gli occhi cauterizzati, incapace di camminare,
piagato dalle stimmate, scosso dal vomito e da fitte al ventre, «ardeva di un indomabile
desiderio di ritornare agli umili primordi», come racconta Tommaso da Celano in
episodi «censurati» da Bonaventura, addolorato dai rilassamento disciplinare e
dall'ambizione personale dei frati che pure avevano condiviso con lui l'eroica
stagione delle origini. Il conflitto con il futuro era cominciato, ma se il modello
di una povertà e umiltà radicali e di una solidarietà assoluta con l'umanità
più marginale e con la natura è arrivato fino a noi senza disperdersi in
riduzioni incoerenti e senza smarrire la sostanza del suo messaggio, lo
dobbiamo in parte alla traduzione istituzionale, con tutti i suoi limiti, che
ne fece il doctor seraphicus.
“alias – il manifesto”, 8
dicembre 2013
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