Se volete fare un regalo a Paolo Villaggio, procuratevi dal
Marocco un ghandora, lo farete
felice; nel suo guardaroba ne ha già 40 di tutti i colori, ma non gli bastano
mai. Per quei pochi che non lo sapessero, il ghandora è quella specie di camicia da notte che Paolo indossava
ieri con invidiabile sprezzatura al Salone del libro, invitato per festeggiare
la pubblicazione di Fantozzi, rag. Ugo.
Tragica e definitiva trilogia, un libro che sancisce l'ingresso del suo
autore nel pantheon dei grandi scrittori italiani del Novecento.
Come sostiene Stefano Bartezzaghi nella sua prefazione, il
personaggio creato da Paolo Villaggio ha raggiunto lo stadio più vicino
all'immortalità, dal momento che il nome ha perso la maiuscola ed è entrato nel
lessico comune. Definiamo una situazione paradossale e catastrofica come
«fantozziana», così come diciamo «kafkiana» per un incubo burocratico. Il
mondo intorno a noi è diventato fantozziano. Già nel 2011, per il Salone del
centocinquantesimo, Gian Arturo Ferrari aveva allestito la mostra dei 150
libri che hanno fatto la storia dell'Italia unita e fra questi c'era il primo
libro di Fantozzi.
A Villaggio, che lo scorso 30 dicembre ha compiuto 80 anni,
piace indossare i panni del vecchio decrepito, ma si tradisce manifestando
curiosità per tutto quello che lo circonda. Nel pranzo che precede l'incontro,
spazzola allegramente due abbondanti tartare di manzo e proseguirebbe se suo
figlio non provvedesse a frenarlo. Vuole sapere tutto dei nostri vicini e mi
chiede a voce alta chi è «quella vecchia» seduta a capotavola.
Il ragionier Fantozzi è uscito, come quasi tutta la
letteratura russa, dal Cappotto di Gogol, e poiché a suo tempo Villaggio ha
vinto il premio che porta il nome dell'autore delle Anime morte, gli chiedo
delle sue letture. Non ho mai letto Cime tempestose, risponde, in compenso si
lancia in un'analisi acuta e profonda di Delitto e castigo. «La gente vede i
film e pensa che io sia solo un comico, ignora che le storie di Fantozzi le ho
scritte io». Bene, questa è l'occasione giusta per dimostrare il contrario.
Poi sale sul palco della Sala dei 500 e prima ancora di sedersi fa ridere
tutti quanti. È più forte di lui.
“La Stampa”, 20 maggio 2013
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