Nel 2012 Paolo Villaggio curava sul “manifesto” la
rubrica “il benpensante”. Si trattava di considerazioni, apologhi, dialoghetti
su temi di costume, non immediatamente politici. A molti compagni quel
Villaggio non piaceva, sembrava “qualunquista”. Anche a me non pochi di quei
pezzetti sembrano venuti male, ma talora affiorava il suo magnifico umorismo,
nero, surreale e gogoliano, come mi pare che accada qui, in questo
maschilistico discorrere di donne che perdono il marito. (S.L.L.)
Ci sono tre fasce di età per le
donne che hanno perso il marito.
La prima fascia: dai venti ai quarant’anni.
Sono quelle a maggior rischio di infelicità: devono trovarsi un accompagnatore
che le difenda dai “fichisti” nostrani, che le considerano animali da preda.
Non possono scopare a casa, di notte, in presenza dei bambini, con partner occasionali,
che sono sempre ladri portatori di terrificanti malattie veneree: scolo,
sifilide e Aids.
La fascia di mezzo: dai quaranta
ai sessant’anni, è la più fortunata. All’inizio sembrano spacciate e recitano
il ruolo della vedova inconsolabile. Ma dopo appena tre mesi si rendono conto
di aver avuto una fortuna enorme. Sono finalmente felici e si domandano perché
non hanno provveduto prima ad avvelenare il marito o a farlo uccidere dalla mafia
russa. Finalmente possono fare quello che vogliono: mangiare all’ora che
desiderano, ricevere telefonate di notte, guardare i programmi preferiti (di
scopare non gliene importa più nulla), ma, soprattutto, di scoreggiare
violentemente quando ne hanno voglia.
L’ultima fascia: dai sessanta
alla fine. Se sono povere, vengono abbandonate in autostrada da figli e
nipotini. Vivono con un bastardino che dorme con loro. Questi cani muoiono di
vecchiaia o avvelenati da una vicina o spiaccicati sotto un tram. Nel 90% dei
casi queste disgraziate s’impiccano. Dopodiché, in cronaca, solo due righe:
«Trovata morta una povera vecchia per motivi misteriosi… La polizia indaga».
“il manifesto” 3 marzo 2016
Nessun commento:
Posta un commento