1.3.14

L’avidità dei Romanov. A morte coi gioielli (di Marina Mojana)

1914. Lo zar di tutte le Russie Nicola II Romanov con la sua famiglia
Probabilmente l’autrice dell’articolo, recensione di un libro sul tesoro dei Romanov, non solo simpatizza con i membri della famiglia dello zar condannati a morte dai bolscevichi – cosa naturale per chi nutre sentimenti umanitari – ma fortemente antipatizza per gli esecutori della condanna, chiamati “carnefici”, anche se dal suo stesso racconto traspare come nessuna letizia provassero nel tragico ufficio ch’era stato loro assegnato. Ma le informazioni che il pezzo contiene sono, in ogni caso, assai illuminanti sulla secolare ingordigia dei “succhion coronati” contro cui si era diretta l’ira del popolo e la Rivoluzione del 1917. L’attaccamento all’oro e ai diamanti dei condannati a morte ricorda il tragico attaccamento al denaro e alla proprietà dei borghesi nel romanzo naturalista dell’Ottocento. (S.L.L.)
Il diadema della zarina Alessandra realizzato da Bolin, gioielliere di corte
I gioielli cuciti negli abiti facevano rimbalzare i proiettili sui corpi delle donne che, ferite e spaventate, non smettevano di dibattersi in preda al dolore e al terrore. «Il mio aiutante dovette consumare un intero caricatore e poi finirle a colpi di baionetta», testimoniò a massacro avvenuto il commissario Jurovskij. A giustiziare nella notte del 16 luglio 1918 l'ultimo zar di tutte le Russie, Nicola II Romanov (il boia coronato), con l'intera sua famiglia (moglie, cinque figli e quattro persone del seguito) fu un commando di Soviet degli Urali fatto da operai, contadini e guardie dell'armata rossa. Queste ultime, però, si erano rifiutate di sparare sulle granduchesse adolescenti e sul giovane zarevic. Jurovskij dovette chiamare ex-prigionieri di guerra austro-unga rici che avevano aderito alla Rivoluzione e ai quali spiegò tutto in tedesco (la lingua madre della zarina, nipote della regina Vittoria). L'esecuzione durò venti minuti.
I cadaveri, caricati su una camionetta, furono gettati in una cava poco distante da Ekaterinburg, dove la famiglia imperiale aveva trascorso agli arresti domiciliari gli ultimi tre mesi di vita. Ma dai corsetti traforati dai proiettili uscivano strani bagliori: erano diamanti. I soldati si affrettarono a svestire i corpi e a rimuovere i preziosi; trovarono anche svariati fili delle leggendarie perle della zarina Alessandra cuciti nella stoffa della cintura. Jurovskij tornò in paese con nove chili di gioielli in borsa. Quando l'Armata bianca giunse - una settimana dopo - sul luogo della sepoltura vi trovò alcune pietre cadute nella confusione e un diamante a goccia di 12 carati, sfuggito agli occhi dei carnefici.
A far rivivere la storia dei Romanov, raccontata attraverso i loro gioielli, è un avvincente libro di Stefano Papi, splendidamente illustrato, uscito per i tipi di Thames & Hudson e Skira in occasione del quarto centenario dell'antica dinastia russa (1613-2013).
La linea maschile dei Romanov (1613-1730) si era estinta con Pietro II, mentre quella femminile con la zarina Elisabetta nel 1762. A essa succedette il nipote Pietro Ulrico di Holstein-Gottorp, del Casato degli Oldenburg, la cui moglie sarà l’imperatrice Caterina la Grande. Pietro III si sarebbe dovuto chiamare Holstein-Gottorp-Romanov, ma egli e tutti i suoi successori mantennero l'originario cognome. I Romanov regnarono fino al 1917, quando vennero deposti durante la rivoluzione di febbraio: molti di loro furono uccisi dopo la Rivoluzione d'Ottobre a opera dei bolscevichi perché «nemici del popolo» (si calcola una ventina di persone, circa un terzo degli adulti della famiglia imperiale), altri fuggirono in Francia, Inghilterra e Stati Uniti.
Dopo la caduta dello zar, il favoloso tesoro dei Romanov - simbolo dell'anrien regime fatto di oro, diamanti e mirabili pietre preziose - divenne proprietà del popolo russo. Nove enormi forzieri, colmi di oggetti di inestimabile valore, erano stati prelevati dall'Armeria del Cremlino di Mosca, portati in un luogo sicuro e lì custoditi fino al 1922. Nel settembre di quell'anno una fotografia pubblicata sulla rivista francese «L'Illustration» li mostrava sparsi su un tavolo, sotto l'occhio vigile dei membri del Comitato governativo: furono smontati, pesati, inventariati e valutati da Fabergé per un valore complessivo di circa 60 miliardi di dollari! Un terzo dei 63 membri del comitato, però, si era buttato in traffici illeciti di gioielli e fu necessario ricominciare da capo. Alla guida del comitato "epurato" fu nominato un accademico di spicco, Aleksandr E. Fersman e, secondo i servizi di intelligence francesi, il tesoro fu stimato in sette miliardi di franchi.
Come un segugio, sfogliando documenti d'archivio e vecchie fotografie, Stefano Papi (I gioielli dei Romanov. La famiglia e la corte, Skira, Milano, 2013) ricostruisce il corpus dei gioielli della Corona imperiale, compresi quelli rinvenuti negli appartamenti privati dell'imperatrice Maria Fedorovna la danese, (madre di Nicola II e moglie di Alessandro III) a Palazzo Anickov, dóve li aveva fatti trasferire per suo uso privato, violando un'antica consuetudine. Il pezzo più considerevole era uno zaffiro di 260 carati nella tipica montatura russa, circondata da 18 diamanti di taglio antico.
Dai tempi di Caterina la Grande e fino a Nicola II ogni occasione fu buona per organizzare feste a corre e commissionare parure ai gioiellieri di fiducia: lo svizzero Jérémie Pauzié, Bolin - il miglior artigiano di San Pietroburgo, Friedrich Koechli, il miniaturista Vasilij Zuev, l'argentiere Johann Viktor Aarne e i francesi Fabergé, Carrier, Boucheron, Chaumet. Una tabacchiera, una scatola, un uovo pasquale o un collier suggellavano incoronazioni, anniversari, compleanni, onomastici, fidanzamenti, matrimoni, battesimi, amori semiclandestini (come quello del giovane Nicola con la ballerina Matilda Ksesinskaja) o uscite galanti al Grand Prix di Parigi (come quelle del granduca Aleksej Aleksandrovic, zio dello zar Nicola II, con la cantante Lina Cavalieri).
I gioielli "vecchi" venivano smontati e ricreati secondo le mode del momento, utilizzando meravigliose pietre sciolte, custodite nel Deposito del Gabinetto Imperiale, l'istituzione amministrativa più importante della corte voluta da Pietro il Grande. Nel 1926 il governo bolscevico alienò parte dei gioielli della Corona e la prima asta pubblica si tenne a Londra da Christie's nel marzo 1927. Altri preziosi giunsero fortunosamente in Danimarca in un barattolo di cacao o a Londra, nascosti in un auto diplomatica svedese. Alcuni di questi finirono poi in testa o al collo di Wallis di Windsor, di Lady Lydia Deterding - moglie del magnate olandese del petrolio - o di Sua Maestà la regina Elisabetta II.

Il sole 24 ore - Domenica 8 dicembre 2013

2 commenti:

Unknown ha detto...

Salve, vorrei che mi spiegasse il titolo di questo suo articolo.
Non pare un po' eccessivo?

Salvatore Lo Leggio ha detto...

E' possibile che sia un titolo "gridato", ma non era mia intenzione. Come ho cercato di spiegare nella introduzione, a me questo morire con i gioielli indosso ricorda certi eroi della narrativa naturalista e verista dell'Ottocento, come il Mazzarò di Verga che morendo grida "Roba mia, vientene con me!".

statistiche