New York - «Donald Trump
potrebbe essere il peggior incubo del complesso
industriale-militare». Così ha titolato il giornale americano di
sinistra “The Nation” dopo l’intervista al quotidiano “The
Washington Post” in cui il candidato repubblicano ha spiegato la
sua politica estera in termini di abbandono del ruolo di “poliziotto
del mondo” da parte dell’America.
Forse per questo
l’industria della Difesa, tradizionalmente schierata con il Gop
(Grand old party, il partito Repubblicano), in questa campagna
presidenziale sta invece facendo il tifo per i Democratici. Lo ha
rivelato un’analisi del Center for public integrity (Cpi),
un’organizzazione non partisan di giornalismo investigativo fra le
più vecchie e più grandi negli Stati Uniti. Il Cpi ha studiato i
dati della Commissione federale sulle elezioni Usa che riguardano le
donazioni ai candidati da parte degli individui: nei 14 mesi dal
gennaio 2015 a fine febbraio 2016 gli impiegati delle 50 maggiori
imprese che lavorano per il ministero della Difesa americano
(Department of defense, Dod) hanno versato almeno 765.049 dollari
nelle casse delle campagne di Hillary Clinton e Bernie Sanders, più
del doppio dei 357.775 dollari devoluti a favore dei tre rimanenti
candidati Repubblicani, Donald Trump, Ted Cruz e John Kasich.
Il bottino più ricco
l’ha incassato la Clinton: 454.994 dollari. Ma anche il senatore
socialista del Vermont, Sanders, non scherza con i 310.055 dollari
ricevuti dai dipendenti del settore della difesa, una cifra superiore
a quella di ognuno dei tre Gop rimasti.
Bisogna precisare che i
contributi elettorali individuali sono molto limitati dalla legge
americana: i singoli elettori possono dare al massimo 5.400 dollari
direttamente a un candidato per elezione, oltre alle donazioni verso
i Pac (Political action committee). Alle aziende è vietato
supportare direttamente i singoli candidati, ma possono organizzare
Pac che ricevono i contributi dei propri dipendenti; possono inoltre
versare cifre illimitate ai cosiddetti Super Pac, in teoria
“indipendenti” dai candidati.
Grazie a tutte le
informazioni raccolte dalla Commissione federale sulle elezioni, il
meccanismo americano del finanziamento delle campagne è quindi
piuttosto trasparente. Permette anche di individuare eventuali
tentativi delle aziende di organizzare i dipendenti a favore dei
candidati su cui intendono fare lobbismo per il proprio business.
L’impresa che ama di
più la Clinton, secondo la ricerca del Cpi, è General electric
(Ge), che fabbrica i motori di molti aerei militari e che nel 2013 e
2014 ha ottenuto dal Dod contratti per 2,3 miliardi di dollari nel
2013 e 2,2 miliardi nel 2014: finora i suoi dipendenti hanno donato
56.478 dollari alla campagna dell’ex Segretario di Stato e della ex
senatrice, che dal 2003 al 2008 aveva anche fatto parte della
Commissione del Senato sui servizi delle forze armate. Dai dipendenti
del colosso dell’aerospazio Boeing sono arrivati altri 34.545
dollari e 28.623 da quelli della Lockheed Martin, l’azienda che fa
più affari con il Pentagono. Non è chiaro se i singoli finanziatori
«votino con il portafoglio» o con il cuore, cioè se hanno scelto
la Clinton per difendere meglio il posto di lavoro, scommettendo che
sarà lei a vincere la corsa alla Casa Bianca e quindi è saggio
tenersela buona, o se invece la scelta è puramente politica e
personale, come suggeriscono i portavoce di Ge.
La stessa candidata non
ha finora espresso posizioni precise su che cosa intenda fare con il
budget del Pentagono, dopo che il presidente Barack Obama ha
richiesto un aumento di 2,4 miliardi di dollari della spesa per la
difesa sul bilancio federale del 2017. In generale la Clinton ha
detto di essere contraria ai tagli permanenti della spesa pubblica,
compresa quella per la difesa, imposti dai limiti al deficit
federale. E per accattivarsi l’elettorato pro-Israele ha detto di
essere a favore della vendita dei nuovi caccia F-35 a Gerusalemme. A
proposito degli F-35, il cui programma è il più costoso (400
miliardi di dollari) della storia militare nel mondo, il candidato
che l’ha sostenuto di più è stato Sanders, perché la Lockheed
prima ha fabbricato i caccia nel suo stato del Vermont e ora ce li
manda a stazionare nell’aeroporto di Burlington, a disposizione
della guardia nazionale locale. Il business è business
anche per il senatore socialista, che ci tiene al benessere del suo
collegio elettorale e che finora ha ricevuto contributi per 36.624
dollari dai dipendenti della Lockheed Martin e 45.652 da quelli della
Boeing, più di quanto la sua rivale Clinton abbia incassato da
questi due gruppi di lavoratori. Però a parte gli interessi locali,
Sanders è a favore di «tagli giudiziosi» della spesa militare,
anche per combattere «le massicce frodi diffuse nel settore della
difesa».
Fra i Repubblicani, è
Ted Cruz il più convinto paladino del Pentagono: ha attaccato Obama
per aver «indebolito e degradato le forze armate americane» e vuole
aumentare di 135 miliardi di dollari le spese militari oltre al
budget proposto dall’attuale presidente. È con Cruz che i
dipendenti di Lockheed Martin sono stati più generosi, donando
44.958 dollari, più che a qualsiasi altro candidato alla Casa
Bianca.
Trump invece è una
storia a parte, autofinanziandosi la campagna. Ed è difficile capire
che cosa pensa davvero, dicendo tutto e il contrario di tutto. Con
Bob Woodward si è lamentato che l’esercito Usa è ridotto allo
stremo per tutti i tagli subiti. Ma difficilmente potrebbe essere un
beniamino dell’industria della difesa, secondo “The Nation”,
viste le posizioni «eretiche» che ha espresso e che lo accomunano
sia alla sinistra sia ai libertari Repubblicani. Con 19 mila miliardi
di dollari di debito pubblico gli Stati uniti non possono più
permettersi di pagare anche per la difesa dei loro alleati, ha detto
Trump. E ha promesso che chiederà a Paesi come la Corea del Sud,
l’Arabia Saudita, il Giappone, la Germania e in generale l’Europa
di fare la loro parte, mentre lui penserà innanzitutto agli
interessi dell’America e a farla «tornare grande», come ripete a
tamburo battente il suo slogan elettorale.
Pagina 99, 9 aprile 2016
Nessun commento:
Posta un commento