Governato da un
invisibile potere centrale, che si manifesta solo attraverso una voce
terribile, il regno del Mago di Oz appare ai suoi visitatori
assieme affascinante e tremendo. Ma l'eroina Dorothy, coi suoi tre
pavidi compagni, vuole scoprire chi stia realmente dietro quella
voce, e ci riuscirà. Il finale della storia lo ricorderete tutti: il
mistero è svelato, la voce è riprodotta mediante un artificio
tecnico, il potere magico è mera illusione, il presunto mago è
nella realtà un ometto qualsiasi, tutto sommato ben contento di
mettere fine al gioco, non prima però di essersi accomiatato dai
visitatori consegnando a ciascuno di loro un «dono» speciale. Non
un amuleto, ma un oggetto la cui utilità è, per così dire, di
carattere etico: serve come ricordo dell'attraversamento del Regno di
Oz e come strumento per costruire la propria autostima.
Prodotto nel 1939 per la
regia di Victor Fleming, Il mago di Oz traduce il romanzo di
Frank Baum Lyman, risalente al 1900, in un film che ne rispetta la
trama e la morale. A essere messe in scena, per venire ridiscusse,
sono le vecchie fiabe di magia, quel genere che è stato così
mirabilmente identificato da Vladimir Propp nel suo Le radici
storiche delle fiabe (che nel titolo originario specifica come
fiabe di magia) e da lui interpretato come un genere narrativo
che conserverebbe la memoria di antichi riti iniziatici. Queste fiabe
hanno circolato oralmente nella nostra tradizione, per poi riversarsi
in quelle versioni scritte, la cui memoria continua ad assolvere
all'importante funzione di sollecitare creativamente il nostro mondo
fantastico.
Sono racconti in cui i
maghi, o i loro equivalenti femminili, le streghe, agiscono come
potenti agenti di trasformazioni - nella materia, nelle persone - ma
la loro forza è, per così dire, esterna ad essi e affidata,
concentrata, in un oggetto: per questo la loro forza è anche
fragilità, il loro potere può essere carpito, grazie al ricorso ad
astuti stratagemmi o all'aiuto di un animale-guida. Il trionfo del
debole sulle forze del male è sempre assicurato, e la ripetizione
del racconto ne restituirà ogni volta l'efficacia.
La vicenda del Mago di Oz esordisce e si sviluppa proprio come una tradizionale fiaba di magia, e anche da questo trae la sua capacità di incidere in un universo fantastico che non ne avverte l'estraneità. Ma dalla fiaba di magia si distacca proprio nel suo finale: non c'è la vittoria dell'eroe sul mago, cui conseguono l'acquisizione di un oggetto carico di poteri e quindi le nozze con la figlia del re. La magia è stata attraversata e compresa nella sua fallacia. Lo stesso potere politico di un piccolo despota è stato smantellato. L'eroina è una bambina che transita verso la tranquillità degli orizzonti familiari riconquistati.
La vicenda del Mago di Oz esordisce e si sviluppa proprio come una tradizionale fiaba di magia, e anche da questo trae la sua capacità di incidere in un universo fantastico che non ne avverte l'estraneità. Ma dalla fiaba di magia si distacca proprio nel suo finale: non c'è la vittoria dell'eroe sul mago, cui conseguono l'acquisizione di un oggetto carico di poteri e quindi le nozze con la figlia del re. La magia è stata attraversata e compresa nella sua fallacia. Lo stesso potere politico di un piccolo despota è stato smantellato. L'eroina è una bambina che transita verso la tranquillità degli orizzonti familiari riconquistati.
Ogni fiaba finisce con
una morale. Nel finale del film, le morali che si intendono
trasmettere sono ottimistiche e fiduciose nell'umana ragione e nella
possibilità di acquisire, per suo tramite, identità positive. Al
suo risveglio, Dorothy scoprirà che il viaggio nel regno di Oz non è
stato che un sogno. Quanto al mago e ai suoi poteri sull'uomo, la
realtà di entrambi viene smentita e ricondotta a inganno.
Che la magia sia «inganno della ragione» è una vecchia tesi: risale almeno ai positivisti della seconda metà dell'Ottocento, nel quadro della loro visione della storia del pensiero umano che si sarebbe evoluto dal magico al religioso e quindi al razionale e scientifico. Il mago di Oz si situa da epigono in questa tradizione, almeno per quel che riguarda ottimismo e fiducia nelle umane capacità. Ma per quanto continui ad essere un cult è anche l'esempio più evidente e contrastivo di come la magia di oggi, con le relative narrazioni, sia ben altra cosa da quanto ci è dato di vedere in questo film. Espunto il tema razionalistico della magia come inganno, si impone, al contrario, quello della magia come realtà e come potere. In questo senso più prossimi ai significati presenti nelle fiabe della antica tradizione orale, libri e film come Il Signore degli Anelli , lo stesso Harry Potter (per ricordare solo quelli più recenti e di maggior successo) ci restituiscono il senso di un magico onnipresente, come forza segreta e magnetica capacità di comando sulle cose e sugli uomini, come bene conteso e assieme come arma di lotta messa in campo da ciascuno dei due avversari. Sono peraltro diversi anni che nella filmografia - e non solo in essa - tematiche del genere, rivolte a un pubblico adulto, si sono sempre più andate imponendo, con una capacità incisiva pari alle inquietudini dei tempi.
Che la magia sia «inganno della ragione» è una vecchia tesi: risale almeno ai positivisti della seconda metà dell'Ottocento, nel quadro della loro visione della storia del pensiero umano che si sarebbe evoluto dal magico al religioso e quindi al razionale e scientifico. Il mago di Oz si situa da epigono in questa tradizione, almeno per quel che riguarda ottimismo e fiducia nelle umane capacità. Ma per quanto continui ad essere un cult è anche l'esempio più evidente e contrastivo di come la magia di oggi, con le relative narrazioni, sia ben altra cosa da quanto ci è dato di vedere in questo film. Espunto il tema razionalistico della magia come inganno, si impone, al contrario, quello della magia come realtà e come potere. In questo senso più prossimi ai significati presenti nelle fiabe della antica tradizione orale, libri e film come Il Signore degli Anelli , lo stesso Harry Potter (per ricordare solo quelli più recenti e di maggior successo) ci restituiscono il senso di un magico onnipresente, come forza segreta e magnetica capacità di comando sulle cose e sugli uomini, come bene conteso e assieme come arma di lotta messa in campo da ciascuno dei due avversari. Sono peraltro diversi anni che nella filmografia - e non solo in essa - tematiche del genere, rivolte a un pubblico adulto, si sono sempre più andate imponendo, con una capacità incisiva pari alle inquietudini dei tempi.
Ma non è delle
inquietudini dei tempi che vorrei parlare, per iscrivere in esse il
tema generale di questo ritorno del «magico», che può anche essere
visto in stretta connessione con altri «ritorni», come quello della
cosiddetta «spiritualità». Parole entrambe vuote di senso, se non
si decostruisce la storia dei rispettivi significati. Sembrerebbero
perfino meno contrapposte, più ravvicinate di quanto non lo fossero
in passato, se si guarda con disincanto la grande babele discorsiva
che caratterizza la attuale temperie culturale.
Se mi si ponesse la
domanda: ma insomma, la magia esiste? E quella di oggi è la stessa
di quella di ieri? Forse risponderei: esiste e non esiste, a seconda
di come noi la possiamo intendere ed essa si possa eventualmente
rappresentare. Le due cose vanno viste assieme, in senso reciproco.
Semmai è esistito un discorso «magico» nel senso pieno della
parola, forse potremmo trovarlo nei secoli passati, a cavallo tra
medioevo e modernità, quando della magia si facevano interpreti
filosofi e alchimisti (i libri di Paolo Rossi ci insegnano molto
sull'argomento). Ma oggi, di quali significati riempiamo questa
parola? Più che mai, il termine «magia» ci appare assieme
inflazionato e deflazionato: inflazionato per l'infinita reti di
proliferazioni di pratiche e rappresentazioni che si autodefiniscono
questo o quello, e anche questo e quello, tutto e il contrario di
tutto. Per questo, nella sua pur apparente avanzata, anche la parola
«magia» può finire con l'avere un significato debole.
Ho tra le mani un cofanetto Millelire dal titolo Non ci casco!, che si avvale di vari contributi - a partire dal nome prestigioso di Margherita Hack - improntati tutti a quel vetero-positivismo che apparentemente è più intramontabile di quanto non si pensi e ancora sembra l'unico strumento su cui fondare un'operazione di smantellamento della magia. Tra gli autori compare anche Piero Angela, ghostbuster assolutamente certo della giustezza del suo progetto pedagogico-televisivo, e non sfiorato dal dubbio che la strada di un eventuale «smantellamento» della magia e dintorni possa passare attraverso canali diversi, interpretativi sotto il profilo ermeneutico e storico-culturale della grande varietà di significati che si può attribuire al termine e al relativo orizzonte semantico. Un orizzonte che oggi ci appare sempre più dilatato e frammentario.
Ho tra le mani un cofanetto Millelire dal titolo Non ci casco!, che si avvale di vari contributi - a partire dal nome prestigioso di Margherita Hack - improntati tutti a quel vetero-positivismo che apparentemente è più intramontabile di quanto non si pensi e ancora sembra l'unico strumento su cui fondare un'operazione di smantellamento della magia. Tra gli autori compare anche Piero Angela, ghostbuster assolutamente certo della giustezza del suo progetto pedagogico-televisivo, e non sfiorato dal dubbio che la strada di un eventuale «smantellamento» della magia e dintorni possa passare attraverso canali diversi, interpretativi sotto il profilo ermeneutico e storico-culturale della grande varietà di significati che si può attribuire al termine e al relativo orizzonte semantico. Un orizzonte che oggi ci appare sempre più dilatato e frammentario.
Ideato dalla associazione
Cicap, il Millelire intende presentare sei manualetti antitruffa «per
difendersi da imbonitori, medium, guaritori, maghi», con una
sommatoria di attributi e di funzioni che (tranne la parola
«imbonitori») corrispondono più o meno, forse meno che più, agli
stessi raggruppamenti di testi che in una libreria andrebbero nello
scaffale New Age. In un libro che potrebbe indifferentemente
intitolarsi La magia moderna o Occultismo oggi gli
stessi argomenti formerebbero, invece, capitoli diversificati, con
eventuali aggiunte quali: cartomanzia, tarocchi, veggenza,
occultismo, fattura e maleficio, karma e prana,
satanismo, rituali, macuba, magie tibetane, pranoterapia,
ipnotismo, e così via. Anche nella pubblicità delle televisioni
private, nei rotocalchi, su Internet si fanno avanti personaggi
autoidentificantisi come «maghi», ma anche e più spesso come
«operatori dell'occulto», e si ripresenta in offerta la sommatoria
di queste, e altre, capacità pertinenti agli ordini più diversi
quanto a origine storico-culturale e modalità
pratico-rappresentative. Sul piano concettuale, non c'è un'unica
categoria che le possa comprendere.
Se esiste un universo
mobile e contaminato come quello che si indica in termini di
«postmodernità» forse è proprio questo. Anche nell'età moderna,
la cosiddetta «magia» si è sviluppata e riprodotta operando
continue ibridazioni con le forme dei discorsi dominanti: vuoi quello
della chiesa vuoi quello della scienza. Si è tolto il malocchio
facendo un segno di croce, si è trasmesso con le mani il «fluido
magnetico» chiamando «esperimento scientifico» questo tipo di
operazione. Ma sincretismi e ibridazioni marcavano i limiti di
egemonie discorsive ancora relativamente forti, erodendone i margini,
offrendo persino soluzioni compromissorie, senza però arrivare a
occuparne i rispettivi campi. Oggi, piuttosto, siamo alla gran
confusione dei linguaggi, al continuo rincorrersi per sottrarre
all'altro una parte almeno del suo potere di parola e di azione.
Anche (ma non solo) per questo, il tema del potere sugli
uomini e sulle cose torna a imporsi, attraversando e accomunando
ciascun frammento di un universo sempre meno definibile.
E i maghi? Chi sono? Ci
sono? No e sì, risponderei. E per dar senso a questa risposta
suggerirei di fare un piccolo passo indietro. Non sempre o ovunque,
venivano indicate come «maghe» o «maghi» le persone che per
tradizione mettevano o toglievano la fattura, incantavano i vermi,
legavano o slegavano gli amanti. Erano persone che «sapevano», e la
loro assegnazione al territorio della magia avveniva piuttosto
dall'esterno, in primo luogo dai rappresentanti della chiesa. Oggi,
al contrario, è possibile imbattersi in personaggi che si
autodefiniscono Mago Athor o Maga Lucrezia, riappropriandosi di un
attributo un tempo dispregiativo. Di questa sceneggiatura fa parte il
richiamo alle antiche tradizioni alchemiche, come marchio sapienziale
e di potere. Quanto alla maga, tenderà a offrirci le sue reinventate
cure attraverso le erbe o gli aromi.
I maghi possono dunque
ritrovare un loro spazio, ancorché profondamente risemantizzato, nel
nuovo contesto di quell'offerta cumulativa di interventi diversi, che
ricolloca immagine e funzioni del mago all'interno di una rete più
vasta di significazioni.
E i maghi veri, quelli
delle fiabe e dell'infanzia, col berretto a cono coperto di stelle e
la bacchetta magica? Una volta entrati in questo mondo, non ne sono
usciti se non per trovare nuove collocazioni in quei truculenti
universi mediatici cui accennavo, e che a loro volta costituiscono
parte non secondaria nell'attribuzione di credito ai cosiddetti
poteri dell'occulto. Ma per nostra fortuna qualche buon vecchio mago
lo possiamo ancora incontrare tra quegli illusionisti che offrono
«spettacoli di magia» per bambini o tra quei piccoli Merlini che, a
carnevale, più o meno felici, si esibiscono al fianco di una fatina
tutta vestita di rosa.
“il manifesto”, 24
dicembre 2003
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