15.5.16

Una donna e Mussolini. Per Leda Rafanelli (Felice Accame)

Leda Rafanelli
Laddove Arrigo Petacco, ne L'archivio segreto di Mussolini (Milano 1997), si sofferma sulle aspirazioni letterarie del giovane Mussolini, aggiunge che di queste aspirazioni aveva messo a parte pochissime persone, forse una sola. E si riferisce esplicitamente a Leda Rafanelli, un'anarchica dalle "pose da rivoluzionaria snob" che sarebbe stata "una delle sue amanti" (pp. 195-196). Anche per altri particolari, Petacco dimostra chiaramente di aver letto Una donna e Mussolini di Leda Rafanelli medesima. Ma ne ha tratto un giudizio diametralmente opposto al mio.
Leda – come racconta Masini nell'Introduzione alla seconda edizione del volume – era nata a Pistoia nel 1880, ma, nei primi mesi del 1900, era finita in Egitto, ad Alessandria, da dove tornò tenacemente convinta di due idee difficilmente compatibili, l'islamismo e l'anarchismo. Si sposò a Firenze e, con il marito Luigi Polli, diede vita alla prima delle sue frenetiche imprese editoriali. Cambiò presto il compagno della sua vita con un altro tipografo, Giuseppe Monanni, mise su una nuova impresa e si trasferì a Milano. Il suo nome è legato a riviste come "VIR", "Sciarpa Nera", "La Libertà" – sul quarto numero della quale comparirà un articolo su Mussolini che sarà esca per l'approccio dell'allora direttore dell'"Avanti!".
Il libro – pubblicato una prima volta nel 1946 e poi nel 1975, quattro anni dopo la morte dell'autrice – è ben costruito tutt'intorno alle quaranta lettere che Mussolini le scrisse tra il 19 marzo 1913 e il 7 ottobre 1914. Si tratta di quaranta lettere salvatesi grazie alla lungimirante sagacia di Leda e nonostante le successive numerose perquisizioni della polizia fascista. Detto molto in breve, si va da un momento di "rispetto" fra Mussolini e alcuni anarchici, fino a quel tragico momentaccio in cui fu chiaro che da Mussolini non ci si poteva attendere nulla di buono, ma in cui, purtuttavia, qualcuno non ci vide affatto chiaro, come Maria Rygier e altri compagni rivoluzionari, che nell'interventismo individuarono una soluzione inderogabile, compagni per i quali Leda ha parole di rammaricato e intenso affetto.
Dal carteggio e dai ricordi di Leda, a mio avviso, vien fuori una storia del genere seguente. Lei scrive un articolo su di lui, il tono è positivo e lui – che magari ha chiesto in giro, chi è e com'è – invia il solito bigliettino di ringraziamento. Lei gli fa sapere che vorrebbe conoscerlo e lui non si tira certo indietro. "Anch'io desidero conoscervi", le scrive subito, ma "a un patto": "che io faccia solo la vostra conoscenza e non quella di altri". È chiaro già in partenza, dunque, che Mussolini non vuole "compromettersi" in nessuno dei due lati della questione, né in quello dell'evidenza sociale dei rapporti intimi, né in quello dell'evidenza dei rapporti politici. Ma la sua argomentazione cerca di nascondere il presupposto: "ho una strana repugnanza ad allargare il cerchio delle mie conoscenze personali", scrive, infatti, preferendo battere il sentiero della tortuosità ai limiti della patologia. Se il 4 aprile firma "Vi saluto. B. Mussolini", cinque giorni dopo – senza che si siano ancora incontrati –, firma "Con amicizia. B." e, soprattutto, mette il carro davanti ai buoi: "sento che fra noi è cominciato qualche cosa", "aspettatemi" e, subito dopo (facendo tutto lui), "anch'io vi aspetto" con una "trepidazione" che, come sempre quando vuol risultare fascinoso (come quel personaggio di Verdone, in Viaggi di nozze, 1995), non potrà che essere "strana".
Poi, finalmente, si incontrano. A casa di lei. Chiacchierano per ore, bevono caffè e quindi lui se ne va. Già nella lettera successiva Mussolini butta lì l'assicurazione non richiesta che del bel pomeriggio trascorso non parlerà "ad anima viva". E man mano che il rapporto prosegue, dalle lettere che lo contrappuntano continuano ad emergere elementi incongrui rispetto ai fatti come narrati da Leda: "sarò puntuale e discreto", "ho ancora nell'anima tutto il turbamento del nostro ultimo convegno", fino alle fatidiche domande "già finito questo nostro amore che s'annunciava meraviglioso?" e "perché vuoi dimenticare ciò che avvenne fra noi?". Ora, a detta di Leda, fra loro non avvenne un fico secco. L'unico contatto fisico che intercorse fra loro fu un bacio – non "reso" – che lui, più fuori di testa del solito, le rifilò una sera verso la fine di giugno del 1913.
Leda Rafanelli, beninteso, non fu un modello del pensiero anarchico. Il fatto stesso che si convertisse all'islamismo e che, attribuendosi speciali facoltà, "leggesse la mano" (pag. 40) non testimoniano di una teoria e di una pratica anarchica indiscutibili. Già Gino Cerrito, in L'antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo (Pistoia 1968), dice che Leda aveva teorie "peregrine", come quella secondo la quale "l'anarchico dovrebbe essere un individuo superiore per natura" e conseguentemente "nessuna educazione può cambiare il sentimento intimo che dà la personalità all'individuo" (pag. 13, in nota 23. La citazione è tratta da L. Rafanelli, Educazione e sentimenti, in "Rivolta", Milano 30 aprile 1910). E, giustamente, non le perdona una lettura pressoché "mussoliniana" di Nietzsche. Ma Leda fu pura d'animo, votata alla causa degli oppressi disinteressatamente e intelligente – alcune sue pagine sulla natura della prima guerra mondiale sono belle e acute. E, se può pentirsi di aver nutrito speranze nel Mussolini politico, non ha nulla da rimproverarsi per la diffidenza che le ha sempre indotto il Mussolini persona.
Petacco potrebbe sostenere che Leda racconta balle e che Mussolini dice il vero. Che quando Mussolini le scrive alludendo ad intimità pregresse lo fa a ragion veduta. Leda, tuttavia, non avrebbe alcun motivo per dire bugie. Scrive dopo la guerra e si riferisce ad un Mussolini socialista, pre-interventista. Pur da anarchica avrebbe ben poco di cui doversi vergognare. Senza contare il fatto, non di poco conto, che è lei stessa ad esibire le lettere – che volendo, avrebbero potuto essere qualcuna in meno. Che Mussolini, invece, fosse pieno di sé, cialtrone e bugiardo, è ampiamente documentato dalla storia che conosciamo e di cui è stato imputato. Perché ritenerlo integro e sincero prima che questa storia abbia inizio? La matrice di quell'insieme di patologie comportamentali cui diamo il nome di psicologia del dittatore si costituisce ben prima del potere raggiunto ed a prescindere dal fatto che lo si raggiunga o meno.
Dunque, in mancanza di una documentazione più convincente, per me, Leda Rafanelli non è stata affatto "una delle amanti" di Mussolini. È stato, piuttosto, Mussolini "uno dei tanti" che a Leda hanno cercato di rovinare la vita.

P.S.: Nello stesso 1913, Gabriele D'Annunzio scrive la Leda senza cigno. Racconta di una poveretta costretta al suicidio da un sordido individuo. Così come va rilevata la casualità dell'accostamento, va rilevato come a Leda Rafanelli – che dal "cigno" ha saputo ben guardarsi – è andata meglio.


A/Rivista anarchica anno 31 n.269 – febbraio 2001

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