Dalla recensione che ne
fa De Caro, qui postata, il saggio di Stefano Poggi che indaga la
nascita dell'astrattismo sembra proprio da leggere. L'ipotesi di una
caratterizzazione misticheggiante, per quel po' che ne so, mi
convince molto e tuttavia nell'astrattismo in senso lato una
caratterizzazione scientista, propriamente matematica, a me sembra
largamente operante. Forse bisognerà riconsiderare in chiave teorica
e storica le relazioni tra matematica, estetica e mistica. (S.L.L.)
Tra le vittime del
crescente fenomeno della specializzazione in ambito accademico figura
certamente la storia dell’arte. C’era un tempo in cui
intellettuali dottissimi – da Warburg a Panofsky, da Berenson a
Gombrich, dai Venturi a Brandi – conoscevano tutto ciò che di
rilevante c’era da sapere sulle epoche e gli artisti oggetto delle
loro analisi. Ma oggi, sia per l’immensità delle conoscenze ormai
accumulatesi sia per la pressione sui giovani studiosi a
circoscrivere i propri interessi, le cose sono molto cambiate, e
certamente non in meglio.
Capita così di assistere
a feroci e interminabili dispute tra gli storici dell’arte per
stabilire chi tra Pinturicchio e Tiberio d’Assisi dipinse la Pala
del Duomo di San Pancrazio, finché tutti si mettono d’accordo che
fu dipinta dal Maestro della Pala del Duomo di San Pancrazio. Oppure
si sviluppano indagini sofisticatissime sulla composizione chimica
del rosso cinabro di Veronese o sulle incredibili peripezie
attraverso le quali quel certo ritratto di Velazquez viaggiò da
Madrid a Londra, da Vienna a Berlino, per poi tornarsene mestamente a
Madrid.
Questo tipo di studi,
naturalmente, è legittimo e talora anche interessante. Ciò che oggi
mancano, però, sono gli studi che un tempo ci permettevano di
comprendere opere e artisti attraverso lo studio sinottico delle
forme culturali delle rispettive epoche: gli studi, insomma, che,
connettendo arte e letteratura, filosofia e scienza, politica e
storia possono farci comprendere la genesi e il senso più profondo
dei fenomeni artistici.
Ora però uno di questi
studi preziosi, ma sempre più rari, è uscito per il Mulino. Si
tratta di L’anima e il cristallo. Alle radici dell’arte
astratta (il Mulino, Bologna, pagg. 168, € 19,00). e illumina
con rara maestria il formarsi dell’astrattismo pittorico
novecentesco, indagandone la complessa matrice filosofico-culturale.
Ne è autore uno dei nostri maggiori storici della filosofia, Stefano
Poggi, già autore di pregevoli studi su fenomeni di estrema
complessità come la scienza romantica e gli esordi della psicologia
scientifica.
Questo volume può a
prima vista sconcertare. Prima di affontare, nell’ultimo terzo del
libro, l’arte di Kandinsky e Klee, infatti, Poggi discute di
filosofi e scienziati, teologi e psicologi, studiosi di estetica e
mistici, poeti e paragnosti – ovvero dell’affascinante,
intricatissima e talora persino strampalata cultura di lingua
tedesca, a cavallo tra Ottocento e Novecento. È alle complesse
esperienze culturali di quel mondo, in cui la cultura non era ancora
rigidamente compartimentata, che occorre guardare se si vogliono
capire ragioni, significato e modalità di un’arte come quella
astratta, che giunse a rifiutare qualunque ideale mimetico.
Come mostra
convincentemente Poggi, uno dei tratti principali della ricerca
filosofica di quel periodo fu il tentativo di emanciparsi dai residui
del dualismo cartesiano, che aveva separato drasticamente la mente
dal corpo. Molti degli intellettuali di lingua tedesca dei decenni
che precedettero la Prima guerra mondiale, però, rifiutavano le
soluzioni unilateralmente monistiche dell’idealismo e del
materialismo. Il loro ideale di fondo fu piuttosto quello dell’unità
originaria e dinamica del tutto, un organicismo ostile al
meccanicismo della scienza newtoniana, con il suo reciso rifiuto
delle cause finali. All’origine di questa visione, che in quel
fatidico volgere di secolo fu declinata in molteplici maniere, c’era
il pensiero del più influente tra gli intellettuali tedeschi ovvero
Johann Wolfgang Goethe. La bellezza, nella prospettiva goethiana, è
un ideale a cui l’artista si approssima asintoticamente. L’arte
diventa insomma lo strumento più nobile per ricongiungere il singolo
alla totalità infinita, alla dinamica organicità del tutto. Una
prospettiva, questa, in cui evidentemente l’arte è assai più
vicina alla mistica di quanto non lo sia alla scienza (e qui, nota
Poggi, si avverte fortemente l’influenza di una tradizione che
risale a Meister Eckhart).
Con la mediazione di
titani come Schopenhauer e Nietzsche, Rilke e Bloch, Wagner e
Schönberg – ma anche di pensatori come Lukacs e Wittgenstein che
la vulgata vorrebbe collocati in contesti molto diversi – queste
idee arrivano ai maestri dell’arte astratta, e in particolare a
Kandisky, con la sua idea che la pittura può attingere a ciò che è
inesprimibile con la parola, e a Klee, con la sua famosa metafora che
l’anima del pittore è chiara come quella del cristallo e per
questo può penetrare i più riposti segreti della natura. (Sarebbe
interessante sapere come precisamente si collocano in questo quadro
altri giganti dell’astrattismo come Mondrian e soprattutto Mirò,
che quanto a interesse per la mistica non era certo l’ultimo
arrivato: c’è da sperare che in una futura opera Poggi ce ne
parli).
In questo modo si
comprende come l’astrattismo non abbia proprio nulla a che fare con
l’astrazione propria del pensiero razionale né con la separazione
fondamentale – un’astrazione anch’essa – da cui, a partire da
Galileo, si dipana la scienza moderna: ovvero quella tra le qualità
matematizzabili delle cose (che per la scienza sono le uniche reali)
e le qualità secondarie (la cui realtà invece la scienza nega).
Nella prospettiva culturale che influenza la nascita
dell’astrattismo, il mondo è piuttosto una totalità dinamica che
il pensiero discorsivo-razionale non può mai giungere a comprendere.
È questo lo scopo cui sono deputate la mistica e l’arte,
soprattutto quella figurativa e quella musicale, che è asemantica
per definizione.
Un’erudizione d’altri
tempi permette a Poggi di offrire uno sguardo d’assieme su una
quantità di fenomeni culturali di cui tutti conosciamo l’importanza,
ma che a prima vista paiono eterogenei, se non incommensurabili. E
così, tracciando connessioni illuminanti e sciogliendo nodi
concettuali intricatissimi, questo volume rende giustizia a un mondo
culturale seducente e che pure ci appare assai più distante dalla
nostra epoca di quanto non lo siano esperienze culturali
cronologicamente anteriori.
L’evidente inattualità
di quel mondo trova però un’eccezione proprio nelle straordinarie
esperienze artistiche che seppe produrre.
Nate in un contesto culturale in cui non ci riconosciamo più, quelle esperienze sono ancora lì, a sfidare la nostra comprensione e ad affascinare i nostri occhi.
Nate in un contesto culturale in cui non ci riconosciamo più, quelle esperienze sono ancora lì, a sfidare la nostra comprensione e ad affascinare i nostri occhi.
"Il Sole 24 ore Domenica", 1° marzo 2015
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