3.5.16

L’astrattismo non è astrazione (Mario De Caro)

Dalla recensione che ne fa De Caro, qui postata, il saggio di Stefano Poggi che indaga la nascita dell'astrattismo sembra proprio da leggere. L'ipotesi di una caratterizzazione misticheggiante, per quel po' che ne so, mi convince molto e tuttavia nell'astrattismo in senso lato una caratterizzazione scientista, propriamente matematica, a me sembra largamente operante. Forse bisognerà riconsiderare in chiave teorica e storica le relazioni tra matematica, estetica e mistica. (S.L.L.)


Tra le vittime del crescente fenomeno della specializzazione in ambito accademico figura certamente la storia dell’arte. C’era un tempo in cui intellettuali dottissimi – da Warburg a Panofsky, da Berenson a Gombrich, dai Venturi a Brandi – conoscevano tutto ciò che di rilevante c’era da sapere sulle epoche e gli artisti oggetto delle loro analisi. Ma oggi, sia per l’immensità delle conoscenze ormai accumulatesi sia per la pressione sui giovani studiosi a circoscrivere i propri interessi, le cose sono molto cambiate, e certamente non in meglio.
Capita così di assistere a feroci e interminabili dispute tra gli storici dell’arte per stabilire chi tra Pinturicchio e Tiberio d’Assisi dipinse la Pala del Duomo di San Pancrazio, finché tutti si mettono d’accordo che fu dipinta dal Maestro della Pala del Duomo di San Pancrazio. Oppure si sviluppano indagini sofisticatissime sulla composizione chimica del rosso cinabro di Veronese o sulle incredibili peripezie attraverso le quali quel certo ritratto di Velazquez viaggiò da Madrid a Londra, da Vienna a Berlino, per poi tornarsene mestamente a Madrid.
Questo tipo di studi, naturalmente, è legittimo e talora anche interessante. Ciò che oggi mancano, però, sono gli studi che un tempo ci permettevano di comprendere opere e artisti attraverso lo studio sinottico delle forme culturali delle rispettive epoche: gli studi, insomma, che, connettendo arte e letteratura, filosofia e scienza, politica e storia possono farci comprendere la genesi e il senso più profondo dei fenomeni artistici.
Ora però uno di questi studi preziosi, ma sempre più rari, è uscito per il Mulino. Si tratta di L’anima e il cristallo. Alle radici dell’arte astratta (il Mulino, Bologna, pagg. 168, € 19,00). e illumina con rara maestria il formarsi dell’astrattismo pittorico novecentesco, indagandone la complessa matrice filosofico-culturale. Ne è autore uno dei nostri maggiori storici della filosofia, Stefano Poggi, già autore di pregevoli studi su fenomeni di estrema complessità come la scienza romantica e gli esordi della psicologia scientifica.
Questo volume può a prima vista sconcertare. Prima di affontare, nell’ultimo terzo del libro, l’arte di Kandinsky e Klee, infatti, Poggi discute di filosofi e scienziati, teologi e psicologi, studiosi di estetica e mistici, poeti e paragnosti – ovvero dell’affascinante, intricatissima e talora persino strampalata cultura di lingua tedesca, a cavallo tra Ottocento e Novecento. È alle complesse esperienze culturali di quel mondo, in cui la cultura non era ancora rigidamente compartimentata, che occorre guardare se si vogliono capire ragioni, significato e modalità di un’arte come quella astratta, che giunse a rifiutare qualunque ideale mimetico.
Come mostra convincentemente Poggi, uno dei tratti principali della ricerca filosofica di quel periodo fu il tentativo di emanciparsi dai residui del dualismo cartesiano, che aveva separato drasticamente la mente dal corpo. Molti degli intellettuali di lingua tedesca dei decenni che precedettero la Prima guerra mondiale, però, rifiutavano le soluzioni unilateralmente monistiche dell’idealismo e del materialismo. Il loro ideale di fondo fu piuttosto quello dell’unità originaria e dinamica del tutto, un organicismo ostile al meccanicismo della scienza newtoniana, con il suo reciso rifiuto delle cause finali. All’origine di questa visione, che in quel fatidico volgere di secolo fu declinata in molteplici maniere, c’era il pensiero del più influente tra gli intellettuali tedeschi ovvero Johann Wolfgang Goethe. La bellezza, nella prospettiva goethiana, è un ideale a cui l’artista si approssima asintoticamente. L’arte diventa insomma lo strumento più nobile per ricongiungere il singolo alla totalità infinita, alla dinamica organicità del tutto. Una prospettiva, questa, in cui evidentemente l’arte è assai più vicina alla mistica di quanto non lo sia alla scienza (e qui, nota Poggi, si avverte fortemente l’influenza di una tradizione che risale a Meister Eckhart).
Con la mediazione di titani come Schopenhauer e Nietzsche, Rilke e Bloch, Wagner e Schönberg – ma anche di pensatori come Lukacs e Wittgenstein che la vulgata vorrebbe collocati in contesti molto diversi – queste idee arrivano ai maestri dell’arte astratta, e in particolare a Kandisky, con la sua idea che la pittura può attingere a ciò che è inesprimibile con la parola, e a Klee, con la sua famosa metafora che l’anima del pittore è chiara come quella del cristallo e per questo può penetrare i più riposti segreti della natura. (Sarebbe interessante sapere come precisamente si collocano in questo quadro altri giganti dell’astrattismo come Mondrian e soprattutto Mirò, che quanto a interesse per la mistica non era certo l’ultimo arrivato: c’è da sperare che in una futura opera Poggi ce ne parli).
In questo modo si comprende come l’astrattismo non abbia proprio nulla a che fare con l’astrazione propria del pensiero razionale né con la separazione fondamentale – un’astrazione anch’essa – da cui, a partire da Galileo, si dipana la scienza moderna: ovvero quella tra le qualità matematizzabili delle cose (che per la scienza sono le uniche reali) e le qualità secondarie (la cui realtà invece la scienza nega). Nella prospettiva culturale che influenza la nascita dell’astrattismo, il mondo è piuttosto una totalità dinamica che il pensiero discorsivo-razionale non può mai giungere a comprendere. È questo lo scopo cui sono deputate la mistica e l’arte, soprattutto quella figurativa e quella musicale, che è asemantica per definizione.
Un’erudizione d’altri tempi permette a Poggi di offrire uno sguardo d’assieme su una quantità di fenomeni culturali di cui tutti conosciamo l’importanza, ma che a prima vista paiono eterogenei, se non incommensurabili. E così, tracciando connessioni illuminanti e sciogliendo nodi concettuali intricatissimi, questo volume rende giustizia a un mondo culturale seducente e che pure ci appare assai più distante dalla nostra epoca di quanto non lo siano esperienze culturali cronologicamente anteriori.
L’evidente inattualità di quel mondo trova però un’eccezione proprio nelle straordinarie esperienze artistiche che seppe produrre.
Nate in un contesto culturale in cui non ci riconosciamo più, quelle esperienze sono ancora lì, a sfidare la nostra comprensione e ad affascinare i nostri occhi.

"Il Sole 24 ore Domenica", 1° marzo 2015

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