In Sicilia, a Palermo in
particolare, i morti non si celebrano. Si festeggiano. Il 2 di
novembre arriva la Festa dei Morti: una Befana anticipata per i
bambini siculi. E la notte prima resta aperto fino all'alba il gran
bazar dei giocattoli dove i genitori si riversano per esaudire i
desideri dei piccoli che hanno deposto nella tomba dei propri cari il
pizzino con l'elenco dei giochi richiesti.
Saranno i morti,
nell'immaginario infantile, a deporre i doni sulla tavola imbandita
con frutta di marzapane, noci, castagne, melograni e «la pupa di
zucchero»: l'Orlando con lo scudo per i bambini, la bella Angelica
per le femminucce.
Il pensiero della morte è
presente nei siciliani e non c'è verso di esorcizzarlo. Giovanni
Falcone arrivava a praticare l'ironia e l'autoironia per tenerlo
lontano: «Il pensiero della morte - disse alla scrittrice Marcelle
Padovani - mi accompagna ovunque. Ma, come afferma Montaigne, diventa
presto una seconda natura... si acquista anche una buona dose di
fatalismo; in fondo si muore per tanti motivi, un incidente stradale,
un aereo che esplode in volo, una overdose, il cancro e anche per
nessuna ragione particolare». «Terribile» è la morte per Leonardo
Sciascia, ma «non per il non esserci più ma, al contrario, per
l'esserci ancora, in balia dei mutevoli pensieri di coloro che
restavano». Sempre sorprendente il punto di vista originale dello
scrittore di Racalmuto.
Puntuale come
l'incrollabile pessimismo di Gesualdo Bufalino che vede nella Sicilia
«una mischia di lutto e di luce». E «dove è più nero il lutto,
ivi è più flagrante la luce, e fa sembrare inaccettabile la morte».
Fu l'ironia a renderla
accettabile all'eccentrico barone Agostino La Lomia, che si fece
costruire la tomba mentre era in vita e a 62 anni celebrò il proprio
funerale, con accompagnamento della banda musicale e regolare «giro»
di paste alle mandorle. «La vera casa è la tomba - argomentò - e
perciò bisogna pensare alla morte quando si è in letizia». Un po'
eccessivo, il barone.
“La Stampa”, 6 luglio
2011
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