11.5.16

Quel senso siciliano della morte (Francesco La Licata)

In Sicilia, a Palermo in particolare, i morti non si celebrano. Si festeggiano. Il 2 di novembre arriva la Festa dei Morti: una Befana anticipata per i bambini siculi. E la notte prima resta aperto fino all'alba il gran bazar dei giocattoli dove i genitori si riversano per esaudire i desideri dei piccoli che hanno deposto nella tomba dei propri cari il pizzino con l'elenco dei giochi richiesti.
Saranno i morti, nell'immaginario infantile, a deporre i doni sulla tavola imbandita con frutta di marzapane, noci, castagne, melograni e «la pupa di zucchero»: l'Orlando con lo scudo per i bambini, la bella Angelica per le femminucce.
Il pensiero della morte è presente nei siciliani e non c'è verso di esorcizzarlo. Giovanni Falcone arrivava a praticare l'ironia e l'autoironia per tenerlo lontano: «Il pensiero della morte - disse alla scrittrice Marcelle Padovani - mi accompagna ovunque. Ma, come afferma Montaigne, diventa presto una seconda natura... si acquista anche una buona dose di fatalismo; in fondo si muore per tanti motivi, un incidente stradale, un aereo che esplode in volo, una overdose, il cancro e anche per nessuna ragione particolare». «Terribile» è la morte per Leonardo Sciascia, ma «non per il non esserci più ma, al contrario, per l'esserci ancora, in balia dei mutevoli pensieri di coloro che restavano». Sempre sorprendente il punto di vista originale dello scrittore di Racalmuto.
Puntuale come l'incrollabile pessimismo di Gesualdo Bufalino che vede nella Sicilia «una mischia di lutto e di luce». E «dove è più nero il lutto, ivi è più flagrante la luce, e fa sembrare inaccettabile la morte».
Fu l'ironia a renderla accettabile all'eccentrico barone Agostino La Lomia, che si fece costruire la tomba mentre era in vita e a 62 anni celebrò il proprio funerale, con accompagnamento della banda musicale e regolare «giro» di paste alle mandorle. «La vera casa è la tomba - argomentò - e perciò bisogna pensare alla morte quando si è in letizia». Un po' eccessivo, il barone.


“La Stampa”, 6 luglio 2011

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