25.5.16

La vita in schiavitù. Una storia della tratta (Massimo Livi Bacci)

La tratta degli schiavi - cioè l´infame processo di cattura, trasporto e vendita di esseri umani - ha coinvolto decine di milioni di persone in epoca moderna. L'epicentro è l'Africa, l'irraggiamento vastissimo, verso l'Asia, l'Europa e l'America; le conseguenze sociali, economiche e demografiche molteplici. Olivier Pétré-Grenouilleau (La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino, pagg. 472, euro 29) costruisce un quadro che incrocia la storia delle idee, con quella economica e sociale, contrapponendo teorie e paradigmi interpretativi di un fenomeno colossale.
In epoca moderna, la classe degli schiavi non è più il prodotto dell'esclusione o della subalternità permanente e stratificata di una società autoctona, o della sottomissione permanente di popolazioni nemiche, ma il risultato di un commercio organizzato su larghissima scala, in un vasto mercato con ben identificati intermediari, venditori e compratori. Secondo l'autore, l'affermarsi della tratta è subordinato a cinque requisiti: l'esistenza di una stabile rete di approvvigionamento di prigionieri; l'incapacità degli schiavi di riprodursi ed accrescersi demograficamente; la netta separazione (con distanze di migliaia di chilometri) tra luoghi di "produzione" (razzie) dei prigionieri e luoghi di utilizzazione degli stessi; la compravendita per denaro, preziosi o mercanzie; il consenso delle entità statuali dei luoghi di origine, di transito o di destinazione.
La tratta negriera (perché il sesto requisito fu che lo schiavo fosse nero e africano) ha avuto dimensioni enormi. Si calcola che tra il 1500 e la sua abolizione definitiva alla fine dell´Ottocento, la tratta atlantica abbia coinvolto il trasporto di 11 milioni di schiavi dalle coste africane a quelle americane, per quattro quinti circa dopo il 1700. Le cifre della tratta atlantica derivano da fonti attendibili quali il traffico marittimo registrato delle navi negriere o le capacità di trasporto delle navi, che dopo il 1700 potevano normalmente imbarcare dai 250 ai 350 schiavi.
Di non minori dimensioni fu la tratta "orientale", dal Sud del Sahara verso il nord dell'Africa e successivamente verso il levante, oppure dalle coste orientali verso la penisola arabica e l'Asia. Più labili sono le stime delle dimensioni di questa tratta, che consisterebbe di numeri non inferiori a quella atlantica: secondo Austen tra il 650 e il 1920, 9 milioni di schiavi avrebbero percorso le piste sahariane e 8 milioni sarebbero partiti dalle coste orientali, metà da quelle del Mar Rosso e metà da quelle swahili. Un traffico dai costi umani spaventosi: «Sulla pista da Kano a Tunisi, a volte cambiando padrone di tappa in tappa, gli schiavi neri potevano fare anche tremila chilometri. All'arrivo potevano essere spediti verso Levante, oppure nuovamente venduti».
I mercanti di schiavi, si diceva, avevano maggior cura dei loro dromedari che dei disgraziati trasportati. La mortalità in questi trasferimenti era molto alta e si è calcolato che nell'Ottocento variasse da un minimo del 6 ad un massimo del 20 per cento, superiore (in media) alla mortalità della tratta atlantica, che nell´Ottocento era dell'ordine del 10 per cento. Dati attendibili mostrano, sorprendentemente, che anche nei secoli precedenti, la mortalità degli schiavi nel middle passage (la traversata atlantica) fu minore di quella delle ciurme che li trasportavano, nonostante che i primi fossero stipati e incatenati (a coppie) nelle stive dove stavano coricati in formazione testa-piedi per guadagnare spazio durante le interminabili notti delle molte settimane di viaggio.
Antecedente al trasporto c´era la fase della "produzione" di schiavi, ovvero della loro cattura, mediante spedizioni organizzate da intermediari africani, quasi sempre musulmani, capaci di attraversare le barriere linguistiche ed etniche, di piombare sui villaggi al loro risveglio, di neutralizzare eventuali reazioni, di condurre le loro prede per lunghe distanze ai depositi dei porti d'imbarco rivendendoli ai negrieri europei.
Questi - portoghesi, inglesi, francesi, danesi - armavano le navi, che dovevano essere provviste delle mercanzie accettate per lo scambio: tessuti, tele indiane in particolare, utensili, ferro e piombo, recipienti di ogni foggia e misura, asce e cunei per disboscare, alcolici, oggetti di pregio per le élite, armi bianche e da fuoco. Gli armatori negrieri costituivano, nelle città europee, una élite agiata e rispettata, una sorta di aristocrazia minore con incarichi di un certo prestigio ed accesso alle cariche pubbliche. Tuttavia una certa storiografia ha esagerato enormemente i profitti della tratta - gravati da rischi molto elevati - che gli studi più recenti mostrano non discostarsi grandemente dai profitti di altre attività commerciali contemporanee; per la tratta francese tali profitti erano dell´ordine del 6 per cento, per quella britannica del 7-8 per cento.
Nel Settecento, la crescita economica e l´accelerazione della popolazione europea alimentano l'espansione della domanda di zucchero e di altri prodotti coloniali; si moltiplicano e si estendono le piantagioni in America e cresce in conseguenza la domanda di schiavi. Schiavi africani, perché le popolazioni autoctone di America o si erano estinte (come nei Caraibi) o si erano rivelate inadatte (come in Brasile) e, comunque, secondo la legge non potevano essere ridotte in schiavitù.
Importati in ragione di due uomini per ogni donna, impediti nella mobilità, falcidiati dall'alta mortalità, ostacolati nella vita familiare (spesso i padroni scoraggiavano - quando non vietavano - le unioni stabili), le popolazioni in schiavitù non riproducevano se stesse e sarebbero state condannate all'estinzione in mancanza di un continuo flusso di nuovi arrivi. La vulnerabilità della popolazione in schiavitù era massima nei Caraibi, molto alta in Brasile, meno grave nella terraferma Ispanica, mentre negli stati meridionali degli odierni Stati Uniti dove gli ostacoli alla normale vita familiare furono assai minori e le condizioni di vita meno drammatiche, la demografia degli schiavi permetteva la loro crescita naturale. Nei quattro secoli successivi al 1500, più del 40 per cento della tratta si diresse verso le Antille (britanniche, spagnole, francesi ed olandesi), più del 40 per cento verso il Brasile ed il residuo finì nella terraferma ispanica e britannica.
Ad un controverso tema Pétré-Grenouilleau dedica un´interessante parte del suo saggio. Quale fu l'impatto economico della tratta? E quale quello demografico? Si è molto esagerata la rilevanza della tratta sull'economia dei paesi negrieri dell´Europa, che non fu una componente particolarmente rilevante dello sviluppo settecentesco, anche se parte integrante del sistema del commercio internazionale. Per i paesi africani si è anche sostenuta la tesi paradossale che la tratta avrebbe avuto effetti positivi, avendo allentato gli effetti negativi della crescita della popolazione oltre a fornire numerario e merci che avrebbero favorito lo sviluppo; essa poi non avrebbe avuto effetti demografici sensibili.
La realtà fu probabilmente assai diversa: se è vero che sull´intero continente subsahariano - che nel Settecento contava forse 70 milioni di abitanti - gli effetti quantitativi di un flusso complessivamente imponente, ma assai diluito nel tempo, non furono rilevanti, ciò non è vero sicuramente per le aree che pagarono il più alto prezzo alla tratta. Questa non solo era selettiva, privilegiando uomini e donne giovani di età e robusti di costituzione, ma era anche quantitativamente importante, influenzando la stabilità e la crescita demografica. Ve ne sono prove, nel corso del settecento, in varie regioni dell´Africa occidentale. Infine, quale calcolo economico potrebbe mai valutare il costo del degrado umano, sociale e civile (e la sua durata nel tempo) che la tratta inflisse alle popolazioni africane?


La Repubblica, 19 dicembre 2006

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