La tratta degli schiavi -
cioè l´infame processo di cattura, trasporto e vendita di esseri
umani - ha coinvolto decine di milioni di persone in epoca moderna.
L'epicentro è l'Africa, l'irraggiamento vastissimo, verso l'Asia,
l'Europa e l'America; le conseguenze sociali, economiche e
demografiche molteplici. Olivier Pétré-Grenouilleau (La tratta
degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino, pagg. 472,
euro 29) costruisce un quadro che incrocia la storia delle idee, con
quella economica e sociale, contrapponendo teorie e paradigmi
interpretativi di un fenomeno colossale.
In epoca moderna, la
classe degli schiavi non è più il prodotto dell'esclusione o della
subalternità permanente e stratificata di una società autoctona, o
della sottomissione permanente di popolazioni nemiche, ma il
risultato di un commercio organizzato su larghissima scala, in un
vasto mercato con ben identificati intermediari, venditori e
compratori. Secondo l'autore, l'affermarsi della tratta è
subordinato a cinque requisiti: l'esistenza di una stabile rete di
approvvigionamento di prigionieri; l'incapacità degli schiavi di
riprodursi ed accrescersi demograficamente; la netta separazione (con
distanze di migliaia di chilometri) tra luoghi di "produzione"
(razzie) dei prigionieri e luoghi di utilizzazione degli stessi; la
compravendita per denaro, preziosi o mercanzie; il consenso delle
entità statuali dei luoghi di origine, di transito o di
destinazione.
La tratta negriera
(perché il sesto requisito fu che lo schiavo fosse nero e africano)
ha avuto dimensioni enormi. Si calcola che tra il 1500 e la sua
abolizione definitiva alla fine dell´Ottocento, la tratta atlantica
abbia coinvolto il trasporto di 11 milioni di schiavi dalle coste
africane a quelle americane, per quattro quinti circa dopo il 1700.
Le cifre della tratta atlantica derivano da fonti attendibili quali
il traffico marittimo registrato delle navi negriere o le capacità
di trasporto delle navi, che dopo il 1700 potevano normalmente
imbarcare dai 250 ai 350 schiavi.
Di non minori dimensioni
fu la tratta "orientale", dal Sud del Sahara verso il nord
dell'Africa e successivamente verso il levante, oppure dalle coste
orientali verso la penisola arabica e l'Asia. Più labili sono le
stime delle dimensioni di questa tratta, che consisterebbe di numeri
non inferiori a quella atlantica: secondo Austen tra il 650 e il
1920, 9 milioni di schiavi avrebbero percorso le piste sahariane e 8
milioni sarebbero partiti dalle coste orientali, metà da quelle del
Mar Rosso e metà da quelle swahili. Un traffico dai costi umani
spaventosi: «Sulla pista da Kano a Tunisi, a volte cambiando padrone
di tappa in tappa, gli schiavi neri potevano fare anche tremila
chilometri. All'arrivo potevano essere spediti verso Levante, oppure
nuovamente venduti».
I mercanti di schiavi, si
diceva, avevano maggior cura dei loro dromedari che dei disgraziati
trasportati. La mortalità in questi trasferimenti era molto alta e
si è calcolato che nell'Ottocento variasse da un minimo del 6 ad un
massimo del 20 per cento, superiore (in media) alla mortalità della
tratta atlantica, che nell´Ottocento era dell'ordine del 10 per
cento. Dati attendibili mostrano, sorprendentemente, che anche nei
secoli precedenti, la mortalità degli schiavi nel middle passage
(la traversata atlantica) fu minore di quella delle ciurme che li
trasportavano, nonostante che i primi fossero stipati e incatenati (a
coppie) nelle stive dove stavano coricati in formazione testa-piedi
per guadagnare spazio durante le interminabili notti delle molte
settimane di viaggio.
Antecedente al trasporto
c´era la fase della "produzione" di schiavi, ovvero della
loro cattura, mediante spedizioni organizzate da intermediari
africani, quasi sempre musulmani, capaci di attraversare le barriere
linguistiche ed etniche, di piombare sui villaggi al loro risveglio,
di neutralizzare eventuali reazioni, di condurre le loro prede per
lunghe distanze ai depositi dei porti d'imbarco rivendendoli ai
negrieri europei.
Questi - portoghesi,
inglesi, francesi, danesi - armavano le navi, che dovevano essere
provviste delle mercanzie accettate per lo scambio: tessuti, tele
indiane in particolare, utensili, ferro e piombo, recipienti di ogni
foggia e misura, asce e cunei per disboscare, alcolici, oggetti di
pregio per le élite, armi bianche e da fuoco. Gli armatori negrieri
costituivano, nelle città europee, una élite agiata e rispettata,
una sorta di aristocrazia minore con incarichi di un certo prestigio
ed accesso alle cariche pubbliche. Tuttavia una certa storiografia ha
esagerato enormemente i profitti della tratta - gravati da rischi
molto elevati - che gli studi più recenti mostrano non discostarsi
grandemente dai profitti di altre attività commerciali
contemporanee; per la tratta francese tali profitti erano dell´ordine
del 6 per cento, per quella britannica del 7-8 per cento.
Nel Settecento, la
crescita economica e l´accelerazione della popolazione europea
alimentano l'espansione della domanda di zucchero e di altri prodotti
coloniali; si moltiplicano e si estendono le piantagioni in America e
cresce in conseguenza la domanda di schiavi. Schiavi africani, perché
le popolazioni autoctone di America o si erano estinte (come nei
Caraibi) o si erano rivelate inadatte (come in Brasile) e, comunque,
secondo la legge non potevano essere ridotte in schiavitù.
Importati in ragione di
due uomini per ogni donna, impediti nella mobilità, falcidiati
dall'alta mortalità, ostacolati nella vita familiare (spesso i
padroni scoraggiavano - quando non vietavano - le unioni stabili), le
popolazioni in schiavitù non riproducevano se stesse e sarebbero
state condannate all'estinzione in mancanza di un continuo flusso di
nuovi arrivi. La vulnerabilità della popolazione in schiavitù era
massima nei Caraibi, molto alta in Brasile, meno grave nella
terraferma Ispanica, mentre negli stati meridionali degli odierni
Stati Uniti dove gli ostacoli alla normale vita familiare furono
assai minori e le condizioni di vita meno drammatiche, la demografia
degli schiavi permetteva la loro crescita naturale. Nei quattro
secoli successivi al 1500, più del 40 per cento della tratta si
diresse verso le Antille (britanniche, spagnole, francesi ed
olandesi), più del 40 per cento verso il Brasile ed il residuo finì
nella terraferma ispanica e britannica.
Ad un controverso tema
Pétré-Grenouilleau dedica un´interessante parte del suo saggio.
Quale fu l'impatto economico della tratta? E quale quello
demografico? Si è molto esagerata la rilevanza della tratta
sull'economia dei paesi negrieri dell´Europa, che non fu una
componente particolarmente rilevante dello sviluppo settecentesco,
anche se parte integrante del sistema del commercio internazionale.
Per i paesi africani si è anche sostenuta la tesi paradossale che la
tratta avrebbe avuto effetti positivi, avendo allentato gli effetti
negativi della crescita della popolazione oltre a fornire numerario e
merci che avrebbero favorito lo sviluppo; essa poi non avrebbe avuto
effetti demografici sensibili.
La realtà fu
probabilmente assai diversa: se è vero che sull´intero continente
subsahariano - che nel Settecento contava forse 70 milioni di
abitanti - gli effetti quantitativi di un flusso complessivamente
imponente, ma assai diluito nel tempo, non furono rilevanti, ciò non
è vero sicuramente per le aree che pagarono il più alto prezzo alla
tratta. Questa non solo era selettiva, privilegiando uomini e donne
giovani di età e robusti di costituzione, ma era anche
quantitativamente importante, influenzando la stabilità e la
crescita demografica. Ve ne sono prove, nel corso del settecento, in
varie regioni dell´Africa occidentale. Infine, quale calcolo
economico potrebbe mai valutare il costo del degrado umano, sociale e
civile (e la sua durata nel tempo) che la tratta inflisse alle
popolazioni africane?
La Repubblica, 19
dicembre 2006
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