31.5.16

Superstizioni moderne. Le streghe e i vampiri (Marina Montesano)

La storia della stregoneria e della caccia alle streghe affascina e attrae numerosi lettori in Italia, pur non essendo molto praticata a livello scientifico nel nostro paese: nel mondo tedesco come in quello anglosassone le cose vanno diversamente e l’aggiornamento storiografico appare più avanzato. Da noi, per esempio, continua a circolare l’idea che la stregoneria sia un fenomeno scaturito dall’ignoranza dell’oscuro medioevo e non, com’è più corretto, dalla piena età moderna. Lo si evince anche dalla presentazione proposta per due opere recenti che pure presentano spunti di notevole interesse.
«Mentre in Occidente fiorivano Umanesimo e Rinascimento, nei Balcani e nei tenitori dell’Impero bizantino ormai al tramonto si diffondeva il timore dei morti che uscivano dai sepolcri per perseguitare i vivi»: così comincia la quarta di copertina di Prima di Dracula. Archeologia del vampiro di Tommaso Braccini (Il Mulino 2011, pp. 270, euro 18). «Un ricco affresco di microstoria, che illustra le contraddizioni tra il sorgere del pensiero moderno e le superstizioni medievali», commenta invece il «New Yorker» a proposito del libro dello statunitense Thomas Willard Robisheaux, ora tradotto in italiano con il titolo L'ultima strega (Bruno Mondadori 2011, pp. 346, euro 28).
Difficile pensare ad affermazioni più fuorvianti: proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose; mentre intellettuali di prestigio, come il teorico dello stato assoluto Jean Bodin, scrivevano opere a sostegno della teologia «moderna» in tema di stregoneria: quella cioè nella quale si affermava la realtà del volo magico e del Sabba, dove invece la teologia medievale si era sempre mostrata estremamente scettica e prudente.

Uno sviluppo in tre fasi
In linea generale, per la caccia alle streghe si può schematicamente delineare uno sviluppo in tre fasi differenti: un diffondersi sporadico di processi e condanne capitali che terminò intorno al 1550-1560; un incremento notevole tra quest’epoca e il 1660, fase che costituì l’apice della caccia in Europa; dopo questa data e fino alla metà del XVIII secolo si ebbe una diminuzione generalizzata dei processi, ma anche il loro arrivo in aree precedentemente risparmiate. Se è ovviamente impossibile una stima precisa del numero di vittime in Europa, ormai la storiografia è in grado di propone dati probabili: nell’intero periodo tra metà Quattrocento e metà Settecento le condanne alla pena capitale oscillano tra le 40mila e le 60mila, nonostante la pubblicistica in materia dia spesso cifre palesamente assurde, che arrivano addirittura a parlare di milioni di vittime.
Lo studio di Robisheaux prende in considerazione la regione del Langenburg e propone un’analisi dettagliata, condotta alla luce della ricca documentazione processuale, dell’ultimo processo celebratovi e terminato nel 1672 con due condanne al rogo. Siamo dunque all’inizio della fase calante, ma in un’area, quella tedesca del Sacro Romano Impero, comprendente territori cattolici quanto protestanti, in cui la caccia alle streghe mietè il numero maggiore di vittime. È una disparità che colpiva anche i contemporanei, se il gesuita Friedrich Spee poteva scrivere, nella serrata critica alle modalità dei processi tedeschi espressa nella Cautio criminalis del 1631, che la Germania sembrava essere «tot sagarum mater»: «madre di così tante streghe». Circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania.
Sono soprattutto due i fattori che pesarono maggiormente sulla storia della stregoneria nella Germania del Sacro Romano Impero: la Riforma - con il conseguente conflitto tra cattolici e protestanti - e l’estrema frammentazione del potere politico. Entrambe queste situazioni, seppur in modo diverso, finirono per incrementare e aggravare il fenomeno. Lutero e Calvino non sembrano aver dato molto peso alla stregoneria e nessuno dei due riformatori elaborò una forma di demonologia innovativa, ma il Diavolo esercitava a loro avviso un potere reale nel mondo; i riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione.
È indubbio che, essendo le streghe emissarie del diavolo e complici nei suoi misfatti, nel mondo riformato si ponevano le premesse per una «caccia» intensa e determinata. Inoltre la frequente compresenza in molte aree di gruppi cattolici e riformati creava gravi situazioni di tensione, e l’accusa di stregoneria poteva esser la conseguenza - cosciente o meno - di tali situazioni, spingendo membri di una comunità a scagliare accuse contro gli esponenti dell’altra.

L'influenza del clima
Tuttavia, non è il caso di stabilire un nesso troppo rigido tra l’affermarsi della Riforma, con i conseguenti conflitti, e l’incremento della caccia alle streghe. Per esempio, nella Germania meridionale cattolica il fenomeno fu più intenso rispetto all’area settentrionale protestante; bisogna quindi considerare il secondo fattore, e cioè l’estrema frammentazione politico-amministrativa, per l’appunto più presente a Sud che a Nord.
La scarsa concentrazione del potere ne causava la debolezza, e questo faceva sì che ogni città potesse comportarsi verso il problema con un certo grado di autonomia, e soprattutto con la quasi assoluta certezza di non dover poi render conto del proprio operato, dando luogo ad abusi e all’uso di procedure di coercizione e di tortura sovente smodate, tali da non consentire altro se non confessioni e denunce a catena. Inoltre, un incremento dei processi si avverte in occasione di peggioramenti climatici e cattivi raccolti o carestie come quelli della cosiddetta «piccola era glaciale» del Seicento: per esempio in molte aree in cui la viticultura era un elemento importante per l’economia, ma era allo stesso tempo praticata in condizioni di difficoltà climatica, grandinate e gelate improvvise portavano alla ricerca di capri espiatori, e streghe e stregoni accusati di magia tempestaria ne facevano le spese.
Il caso studiato da Robisheaux presenta molte di queste caratteristiche standard: la crisi economica che colpiva l’area, un uso della coercizione fisica molto pesante, la marginalità dell’imputata emergono quali fattori essenziali per comprendere come si potesse passare da un’accusa iniziale di avvelenamento alla costruzione di un’accusa di stregoneria con il suo corollario di patti con Satana e di volo magico.
Il paragone tra la Germania e la Spagna è istruttivo: nella penisola iberica, vittima di ima secolare «leggenda nera», si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale; i tribunali erano infatti restii a comminare la pena capitale, preferendo generalmente condanne più blande. Inoltre, le accuse erano più simili a quelle tradizionali di magia, piuttosto che di stregoneria per così dire «moderna», doè corredata di patti e omaggi demoniaci, volo magico, infanticidi e via dicendo.
Nel 1526 un concilio svoltosi a Granada dichiarò impossibile il volo magico e affermò che secondo la maggior parte dei giuristi le streghe non esistono. Quando a Barcellona, nel 1549, l’inquisizione locale e le autorità civili condannarono al rogo alcune streghe, la Suprema (ossia il supremo concilio dell’Inquisizione, che dipendeva dalla Corona) reagì punendo i giudici. La Catalogna, tuttavia, in diversi periodi mostrò un’attitudine indipendente e pronunciò condanne alla pena capitale: una recrudescenza si ebbe tra 1618 e 1622, in concomitanza con una sequenza di cattivi raccolti. Quante furono le streghe condannate a morte in Spagna? Non è possibile una stima complessiva; più di cento in Catalogna nei soli anni 1610-1625, ma venti-trenta sotto l’Inquisizione negli oltre cento tra 1498 e 1610. In totale le condanne a morte dovrebbero aggirarsi intorno alle 300.

Linciaggi e ordalie
La presenza di un’autorità centralizzata e in grado di incidere sulle realtà locali sembra essere stata spesso, come si è detto, il deterrente al proliferare di persecuzioni antistregoniche. Tribunali e comunità locali chiedevano sovente a gran voce la messa a morte di streghe e stregoni, e quando l’autorità si mostrava tenera, succedeva che provvedessero da soli.
In Danimarca, dopo un periodo di tumulti politici e di guerre civili, a partire dal 1540 diversi testimoni danno notizia di violente persecuzioni organizzate dai contadini, impegnati a cacciare le streghe «come se fossero lupi», secondo le parole di un consigliere del sovrano; nello Jutland, nel solo anno 1543, i contadini linciarono 52 donne per la stessa ragione; tre anni dopo, in seguito ad altri casi, il sovrano decise di intervenire per porre fine alla mattanza. Quando il Parlamento di Parigi rifiutava di approvare le condanne a morte, capitava che nelle campagne i linciaggi ponessero fine al dibattito. Nell’Olanda che dal 1608 non celebrava più processi per stregoneria, linciaggi di streghe sono segnalati persino nelle città. Nell’Ungheria sotto il dominio ottomano, che non prevedeva processi per stregoneria, i linciaggi ovviavano al problema. Senza contare che alcune pratiche come l’ordalia, comune in diverse regioni europee, che consisteva nell’immergere le presunte streghe nell’acqua (se colpevoli, l’elemento le avrebbe rifiutate, se innocenti sarebbero rimaste sott’acqua), erano generalmente ritenute illegali dalle autorità, ma attestate a livello popolare.

Sete di sangue
Le credenze popolari hanno dunque avuto un ruolo importante, non solo per quanto concerne le persecuzioni, ma anche perché ad esse ci si deve volgere per comprendere alcune fra le tradizioni che tra tardo medioevo ed età moderna confluirono nell’elaborazione del fenomeno stregonico. È a queste che guarda Prima di Dracula di Tommaso Braccini: più che di una Archeologia del vampiro, però, si tratta di un ricco assemblaggio di notizie inerenti un tema molto più ampio, quello dei revenants, ossia dei nonmorti, che si intreccia spesso con la questione stregonica.
C’è infatti un curioso errore di logica nel chiamare «vampiri» tutte queste creature, dal momento che, come lo stesso Braccini nota, a esse manca la caratteristica fondamentale del vampiro «letterario»: l’ematofagia, che deriva proprio da una commistione con le tradizioni stregoniche, nelle quali il dissanguamento delle vittime e in particolar modo dei bambini era invece tratto comune. Ulteriore conferma di quanto il tema della stregoneria sia stato importante nell’immaginario e nella storia europei.


“il manifesto”, 31 dicembre 2011

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