Egregio senatore
Napolitano,
a quanto sento, in una
trasmissione di grande ascolto, ella ha stigmatizzato quanti motivano
il proprio No all'imminente referendum come "difesa della
Costituzione".
Immagino le sue
motivazioni: modificare la Costituzione, anche in punti
significativi, seguendo le procedure previste dalla stessa
Costituzione, incluso il finale referendum confermativo, non vuol
dire affatto attaccarla.
Ma la prego di riflettere
su due punti.
La riforma viene
approvata da un Parlamento in cui la Corte Costituzione individua un
vizio di origine: una legge elettorale che concede un premio molto
alto e non consente al cittadino elettore di intervenire nella scelta
dei parlamentari. Sappiamo bene che la stessa corte riconosce come
valide le deliberazioni assunte da tutti i Parlamenti eletti con la
legge contestata, il cosiddetto "Porcellum", motivando con
la necessità di non creare vuoti; ma sarebbe stato opportuno che un
parlamento siffatto, dopo la sentenza della Corte, si astenesse da
interventi sulla Costituzione, specie così drastici e ampi. Peraltro
la riforma costituzionale nasce, violando una prassi consolidata, non
da una iniziativa parlamentare, ma da un testo del governo, quel
governo che - fin dal tempo della Costituente - era stato saggiamente
tenuto fuori dal dibattito costituzionale. E il governo non sì è
limitato a presentare un testo, ma ha ripetutamente favorito l'iter
positivo con gravi forzature regolamentari. Già questo potrebbe
giustificare l'idea, opinabile certo, di un attacco alla
Costituzione: ma in una campagna referendaria anche le opinioni hanno
libero corso senza veti (tipo il suo "Nessuno dica...").
Ma c'è un'altra ragione
che motiva quel NO: il combinato disposto di questa riforma con la
nuova legge elettorale prefigura un mostro giuridico, un
iperpresidenzialismo surrettizio che riduce fortemente il potere
degli organi di garanzia e che stravolge gli equilibri previsti dalla
Costituzione del 1948, approvata - come lei sa - con largo margine,
proprio mentre cominciava la guerra fredda e lo scontro politico
diventava durissimo.
Il sistema che risulta da
questa doppia riforma assomiglia alla democrazia autoritaria di
alcuni paesi del Sud America e dell'Europa Orientale, interni o
esterni all'Unione Europea, come la Russia. E' particolarmente
preoccupante l'idea che dalle elezioni debba uscire comunque un
governo e che esso governo debba avere una inattaccabile maggioranza
parlamentare, a prescindere dalla quantità di voti ricevuti. Questo
pone l'Italia fuori dai modelli occidentali, ove, quando necessario,
si ricorre a governi di coalizione o - nel caso dei regimi
presidenziali - gli esecutivi possono non avere con se
preventivamente la maggioranza parlamentare.
Egregio senatore, in
questo caso, votare NO mi sembra proprio difendere la Costituzione,
nei suoi fondamenti. Vorrei aggiungere che mi meraviglio fortemente
del suo appoggio ad una riforma così radicale e così poco
condivisa. Io la ricordo a citare Togliatti che considerava la
Costituzione "un patto stretto tra la grande maggioranza del
popolo italiano e destinato a durare per una lunga fase della sua
vita". Adesso, ammesso che la riforma superi il vaglio
referendario, essa sarebbe una riforma imposta da una piccola
maggioranza a una parte molto consistente del popolo. Lei ha il
diritto di cambiare radicalmente idea e di ritenere indispensabili (a
chi?) le forzature maggioritarie: io continuo a pensare che in una
democrazia costituzionale avere un'ampia opposizione
"anticostituzionale" non è la migliore delle condizioni,
quella che consente la serenità del dibattito civile, la scelta di
legislatori e governanti efficaci ed efficienti, in primo luogo
perché autorevoli e sostenuti dal consenso.
E' difficile che le
giunga questo messaggio ed è ancora più difficile che, una volta
giunto, possa convincerla a modificare le sue opinioni. A me
basterebbe stimolarla a smetterla con codesti assurdi anatemi.
Salvatore Lo Leggio
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