In quell'anno nel paese
di montagna cominciò la monocoltura della patata, e quando a fine
estate le foglie dei tuberi si seccarono, aiutai il nonno a
raccoglierne le più morbide per le sue sigarette. Erano avvolte in
una striscia di un vecchio giornale, tutti fumavano quelle foglie,
chi nostalgici dei toscani, chi delle Africa e il nonno delle
Serraglio, di cui in casa erano conservate alcune scatole piatte, fu
anche la prima sigaretta che io fumai.
In giro, c'erano i
tedeschi, e Mario, un giovane idiota del villaggio, un giorno
raccontò di averli visti salire al paese, armati, disse, come i
giudei della Via Crucis nella chiesa del paese. Ma fu solo qualche
mese dopo che per alcuni giorni i tedeschi occuparono il paese, il
comando alloggiato nella casa, un tempo sede di vescovado,
frequentato dalla Pina, che solo pochi mesi prima era stata fatta
reginetta in un ballo dei partigiani. Ci va anche per fumare le vere
sigarette, era il maligno commento del paese.
Poi la guerra finì, alla
Pina furono tagliati i suoi corvini e lunghi capelli, e il paese
aspettò l'arrivo degli americani.
Il paese continuava a
fumare foglie secche di patate, e il nonno insieme agli altri
notabili del paese: il veterinario, l'esattore delle tasse, un
vecchissimo medico in pensione, per più giorni furono impegnati a
organizzare l'accoglienza dei liberatori, che alla fine arrivarono in
tre o quattro su una jeep, accolti dallo sventolio di un pezzo di
lenzuolo dipinto di una manciata di stelle e strisce, opera di un
renitente alla leva già studente dell'Istituto d'arte e disegno di
Parma.
Alla festa per l'arrivo
degli americani era poi seguito un pranzo, e alla sera, ripartiti gli
americani, era stato per ordine del nonno che avevo raccolto le
lunghe cicche di Lucky Strike lasciate in terra e sul tavolo, che poi
il nonno avrebbe finito di tirare per molti giorni.
Fu poi nell'estate che la
mia famiglia tornò in città, dove la Pina era a servizio in una
casa di nostri vicini, e un giorno da mia madre fu vista fumare
quelle che erano le americane, che adesso anche il nonno fumava
fedele alle Lucky Strike.
Ma adesso erano tutti che
fumavano americane, che si trovavano al mercato nero, e di cui
facevano ostentazione quei nativi della provincia, che dal sud,
risalita l'Italia, tornavano reduci dal Corpo Volontari della
Libertà, e altri ancora dalla Grecia, Albania, Germania.
Due anni prima avevo
lasciato i miei coetanei Balilla, e con loro succhiato liquorizie e
bevute gazose, ma adesso anche loro fumavano americane, che anch'io
fumai attingendo dal pacchetto del nonno, fin quando lui si avvide di
quella sottrazione.
Fu così, da quel giorno,
che tornai a raccattare le cicche delle americane dai militari
lasciate sui tavoli dei caffè sulla piazza, come già avevo fatto il
giorno della liberazione del paese. Ma presto l'ancora per poco tempo
Real Monopolio dei Tabacchi, cominciò la produzione della sigaretta
Aurora; il logo sul pacchetto, la luce del sorgente sole su un
paesaggio di nere macerie, le sigarette compresse nel pacchetto da
venti, nelle tabaccherie prevalentemente vendute anche sciolte, a
consentirmene l'acquisto di due tre al giorno.
Poi, con l'anno nuovo, a
migliorare la situazione ebbi la paghetta settimanale per le piccole
spese, e invece di un gelato, un castagnaccio, una gazosa, furono
Luky Strike che comprai.
Era al cinema in tre
quattro amici, dove più si fumava, a giorni fino a cinque sigarette
a film, anche quelli americani. Tre quattro volte vedemmo gli stessi
film, e presto, cominciammo a fumarci anche Chesterfield, Camel, e
fin Pall Mall che, lunghe com'erano, ci facevano vomitare.
A farmi conoscere le Pall
Mall era stato Luigi, uno del paese fatto prigioniero in Africa, poi
deportato in America, e reduce da quel paese, che nel suo ritorno a
casa, aveva chiesto per una notte ospitalità a casa dei nonni.
Sembri Truman, disse mio
nonno a quel giovane alto che non conoscevo, che masticava gomme,
fumava Pall Mall, e sul naso aveva il tipo di occhiali da vista, reso
noto al mondo dall'immagine del presidente americano, e anche un po'
nostro perché, allora, eravamo tutti americani.
Frattanto il Monopolio
dei tabacchi diventato solo di stato, continuò a fabbricare
sigarette, che non erano più solo Aurora, ma anche di altre marche,
anche quelle destinate a un mercato povero, poiché le americane, che
si trovavano al mercato nero, continuavano ad essere le più fumate,
pur se adesso insidiate dalla concorrenza delle svizzere che
cominciarono allora ad arrivare sul mercato di contrabbando.
Una novità quelle
sigarette che uscivano piatte da scatolette di cartone, a ricordare
ai grandi le Serraglio di un tempo, i loro nomi quelli per noi
esotici di Xantia, Turmac, Lawrence. E così, furono le svizzere che
fumammo a lungo nel cinema, con la visione di Per chi suona la
campana, Ingrid Bergman, Maria, a vergognarsi con l'Igles dei
suoi corti capelli, a ricordarmi la Pina in gran pianto quando sulla
piazza le avevano rapato la testa.
In giro continuavano a
esserci i liberatori, che ci facevano salire sulle loro jeep, ci
regalavano le gomme e, a volte, anche buste di tabacco e cartine per
sigarette, da dare, dicevano a nono; ma poiché le americane avevano
presto imparato a farcele, quel bendiddio lo tenevamo per noi.
Ma non fu più solo al
cinema che fumammo, ma anche fra i ruderi di quello ch'era stato il
grande monumento a Verdi, bombardato l'inverno prima, frequentato
dalle prostitute e militari americani, di cui un giorno la città si
trovò svuotata, e nelle sue piazze e vie s'avvertì il vuoto di
quella ch'era stata la loro rumorosa, allegra, presenza.
Con la loro partenza
erano scomparse anche le lunghe cicche di americane sui tavolini dei
caffè e tra i ruderi del monumento a Verdi, abbandonati anche dalle
prostitute.
La mia paghetta non fu
più in am lire, ma in una nuova moneta, perché c'era da rifare
l'Italia repubblicana; negli edifici pubblici comparve la bandiera
tricolore senza più lo stemma sabaudo, e in piazza Garibaldi, i
cittadini in folla, andarono ai comizi dei capi dei partiti che
parlavano dal balcone del Palazzo già del governatore.
Adesso tutti discutevano
di politica, era tutto un gran sfilare di bandiere rosse, e in casa,
dopo i pasti, il nonno beveva un Fernet, e continuava a fumare
americane.
Quanto a
quell'adolescente, fumare non era più per imitare i grandi, ma
«vizio» costoso, e poiché la paghetta che gli continuavano a
passare da casa era insufficiente per l'acquisto di americane, quello
che allora fumò a lungo, furono sigarette del Monopolio di Stato dei
Tabacchi.
Erano sigarette dal
sapore aspro mezze svuotate del tabacco, che bruciavano solo dopo
poche tirate, acquistate a cinque per volta dal tabaccaio strette
nella schedina della Sisal. Frequentare la scuola gli diventò un
supplizio, preferendogli la sala di lettura della Biblioteca Palatina
a Palazzo della Pilotta, dove fra letture di romanzi e libri di
storia, era quella de Il Mondo che lo fece anglomane.
E furono le inglesi che
fumò, a procurargliele la Pina, che, allegra, diceva, gliele avrebbe
poi pagate a babbo morto. Una donna bellissima, che i suoi capelli,
corvini ricresciuti lunghissimi e folti, aveva tinto biondi, e che
faceva contrabbando di sigarette in società con un ex partigiano. Lo
aveva visto, le chiese un giorno, la Ingrid Bergman rapata? E la Pina
aveva riso allegra, e detto, figa, sì, che l'aveva vista, e molto le
era piaciuto Gary Cooper.
Adesso non rubava più le
sigarette del nonno. Continuò a fumare inglesi, ma già c'erano
amici che erano stati a Parigi, e di là avevano riportato le
Gauloises e Gitanes, fumate, raccontarono, da giovani esistenzialisti
e dallo stesso Sartre, l'autore di La morte nell'anima, la
dolorosa maturazione di un intellettuale nella Francia travolta dal
nazismo. E fu il tempo delle francesi. E la fine dell'adolescenza di
un young smoker francomane a termine.
il manifesto, 7 luglio 2004
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