A Sondrio, girando per le
strade del centro verso sera, quando la gente entra ed esce dai
negozi e pare aver fretta di ricoverarsi nelle case, mi sono sempre
chiesto, come altre volte a Domodossola, a Aosta o in altri luoghi
simili, quale sarebbe stata la mia sorte se mi fosse toccato passarvi
la vita. Avrei potuto essere sondriasco (e perché no, se esistono i
bergamaschi e i comaschi), domodossolano, aostano o bolzanino, solo
che quel meridionale di mio padre, invece di venir confinato come
doganiere a Luino, fosse stato assegnato ad una di quelle città di
frontiera.
Vivere a Sondrio mi
sarebbe piaciuto, benché io sia poco montanaro di temperamento.
Sarei diventato impiegato del municipio, magari addetto
all’acquedotto, oppure dipendente di qualche impresa privata, di
una azienda vinicola o di un consorzio agrario. E perché no di una
banca, se mia madre desiderò tanto vedermi dietro uno sportello
della Banca Popolare del mio paese?
Anche a Sondrio sarei
riuscito scrittore. Per fortuna il meridiano di Sondrio, fatale ai
poeti, non dev’essere sfavorevole ai narratori, perché passa su di
un luogo di provincia, che è come dire su di un nodo pulsante di
vita repressa, dove le passioni sembrano attutite ma non dormono e i
vizi come le virtù sono brace sotto la cenere. Chissà quante storie
sono rimaste sepolte dentro le case, dietro i muri e nell’ombra dei
giardini, nelle città di provincia! Quindi anche a Sondrio.
Da Il verde della tua
veste e altri racconti, Il Sole
24 ore, 2016
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