Il Vte di Genova Voltri |
■ La prossima volta che
comprerete un frullatore o un paio di scarpe su Amazon, ricordate: il
vostro acquisto vi è stato recapitato sotto casa grazie ad almeno
una società cinese, forse di più. È probabile che sia gestito da un
gruppo cinese il porto da dove la merce è partita o dove è
arrivata, è probabilmente cinese la nave dove la merce è stata
caricata, è quasi sicuramente cinese il magazzino dove è stata
stoccata prima di essere prelevata da un camion.
La Repubblica popolare
sta mettendo le mani sulla logistica europea, un settore
tradizionalmente lontano dagli occhi del pubblico, ma che è
l’ossatura della globalizzazione, che esiste solo quando le merci
circolano da un Paese all’altro. E chi controlla la movimentazione
delle merci, fatalmente, controlla un pezzo della globalizzazione.
Stupisce, così, che sia
quasi passata inosservata unagigantesca operazione da l2,25 miliardi
di euro annunciata all’inizio di luglio con cui gli americani di
Biackstone hanno ceduto, a China Investment Corporation, Logicor.
Logicor è la società di real estate che nel 2012 era stata
creata dal fondo americano per controllare tutti i magazzini per la
logistica posseduti nel Vecchio Continente, per complessivi 13,6
milioni di metri quadrati. Nell’epoca dell’e-commerce, non
è difficile capire quale importanza abbia la gestione e il possesso
dei piazzali e magazzini da cui parte e arriva la merce diretta ai
clienti. E, infatti, Amazon è di Logicor uno dei primi partner. Ma
Logicor è solo un pezzo di una storia più grande e che riguarda
anche il nostro Paese.
• La politica di
espansione cinese
Il quattro giugno 1994,
la Dainty River, del gruppo di Stato cinese Cosco, inaugurò quella
che sarebbe presto diventata la prima piattaforma container italiana,
il Vte di Genova Voltri. Era un mondo tutto diverso da quello di
oggi: basti dire che la nave era dieci volte più piccola di quelle
che oggi attraversano l’oceano cariche di cassoni colorati riempiti
di giocattoli, elettrodomestici, capi di vestiario avanti e indietro
tra Asia, Europae America.
Tredici anni dopo, Cosco
è il terzo armatore mondiale e, secondo tutti gli osservatori,
crescerà ancora. In Italia non solo è presente con le navi : la
compagnia ha acquistato una quota nel nuovo terminal di Savona Vado
(il 40%, il resto è in mano ai danesi di Maersk) e non si fermerà.
«Potrebbero esserci nuove operazioni, certo, non è affatto da
escludere», spiega Augusto Cosulich, l’uomo che storicamente
gestisce gli affari dei cinesi nel nostro Paese. Per lui, gli
investimenti della Repubblica Popolare sono un’opportunità,
«soprattutto in un mondo dove gli Usa con Trump spingono verso il
protezionismo». Ma è un parere che non tutti condividono. Sergio
Bologna, uno degli studiosi più ascoltati in Italia in materia di
logistica e trasporti marittimi, sostiene che «prima o poi gli
investimenti della Cina nella logistica europea diventeranno un tema
politico. Come d’altronde il caso greco dimostra».
Bologna si riferisce a
una molto discussa decisione politica presa dal governo ellenico lo
scorso 18 giugno, ovvero il veto posto su una dichiarazione in sede
Onu dell’Unione europea di condanna della Cina sul tema dei diritti
umani.
«Serve un approccio più
costruttivo», ha spiegato il ministro degli Esteri ellenico.
Ma molti osservatori
attribuiscono invece la scelta di Atene alla crescente influenza di
Pechino sulla Grecia. «L’armamento greco è oggi in gran parte
dipendente dal sistema finanziario cinese», spiega Bologna.
Soprattutto, ricorda Bologna, la compagnia di Stato Cosco ha fatto
del porto del Pireo la sua principale base logistica nel
Mediterraneo, l’hub da cui partono e arrivano le navi e su
cui sono in programma investimenti per oltre 500 milioni di euro. Il
Pireo è il principale scalo nel Mediterraneo che Cosco gestisce
direttamente.
Ma altri investimenti
sono in programma, tra cui alcuni anche in Italia. Ma poi
bisognerebbe considerare anche gli investimenti di China Post
nell’aeroporto di Hannover, o i ripetuti tentativi di Ali Baba per
sbarcare in Europa.
E poi, soprattutto, la
questione dell’armamento : «Se mettiamo insieme gli investimenti
nei porti europei e quelli per la flotta commerciale, l’intento
geopolitico cinese è evidente» spiega Bologna.
• Sfida tra i
giganti del mare
Trasportare un container
dall’Asia al Mediterraneo, oggi, costa poco più di 800 dollari. I
valori sono molto volatili a seconda della stagione, ma si tratta
comunque di prezzi molto bassi, sebbene due anni fa si sia toccato il
minimo storico, con quotazioni che erano precipitate fino a 100-200
dollari per container. Sono almeno dieci anni che i costi del
trasporto marittimo si mantengono a livelli molto bassi, nonostante
la ripresa dell’economia globale. C’è un motivo e si chiama
corsa al gigantismo: nel 2006 la compagnia danese Maersk fece molto
rumore per il varo di una gigantesca portacontainer, Emma, che era in
grado di trasportare fino a 14 mila container. Una misura che,
allora, era considerata enorme. Per i danesi leader mondiali Emma era
una grandissima scommessa: potendo trasportare così tanti container
su una nave sola, i prezzi per singolo trasporto si abbassavano
notevolmente grazie alle economie di scala. Ben presto, era
l’obiettivo dei danesi, i piccoli armatori sarebbero stati
costretti a uscire dal mercato per livelli di prezzo insostenibili.
Peccato che non sia andata così: gli altri armatori hanno seguito i
danesi in questa corsa ai giganti. Oggi esistono portacontenitori in
grado di trasportare fino a 20 mila container. Il circolo vizioso è
micidiale: più le navi diventano grandi, più i prezzi scendono. Più
i prezzi scendono, più le compagnie ingrandiscono le navi per
tagliare i costi. Ma la sostenibilità economica sta diventando un
grosso problema per tutti.
La prima vittima è
stata, lo scorso agosto, la compagnia Hanjin, sudcoreana, una flotta
di 98 navi costrette a fermarsi da un momento all’altro, alcune di
queste rimaste bloccate per mesi a causa del fallimento dichiarato
dal tribunale di Seoul. Dopo, è stata la volta dei tedeschi di
Rickmers. Per tutti gli altri, è partita una girandola di
acquisizioni e alleanze che sta trasformando il mondo dello shipping:
resisti solo se sei un gigante. Maersk ha incorporato la tedesca
Hamburg Sud, le tre compagnie giapponesi si sono fuse, i francesi di
Cma-Cgm hanno incorporato No1,. per rimanere alle ultime operazioni.
Qui entra in campo la
grande operazione cinese: prima la Repubblica Popolare ha fuso le sue
due compagnie - Cosco e China Shipping - in una sola, Cosco appunto.
E quindi, a metà luglio, Cosco ha fatto un nuovo salto in avanti
acquistando per 6,3 miliardi di dollari Oocl, compagnia di Hong Kong,
diventando così il terzo armatore mondiale.
«Il campione nazionale
cinese vuole confrontarsi ad armi pari con le compagnie europee
private», spiega Oliviero Baccelli, docente di Economia dei
trasporti alla Bocconi di Milano. La logica economica è ovviamente
ineccepibile ma, in questo caso, c’è di più.
In un’analisi
pubblicatalo scorso 17 luglio l’Economist sostiene che
difficilmente la Cina fermerà la sua corsa, soprattutto per motivi
politici: «Il controllo delle linee commerciali aiuterà la Cina in
tempi di conflitti e di dispute. Il possesso di porti all’estero
renderà più facile per la Marina della Repubblica Popolare dare
seguito alle sue ambizioni di potersi muovere liberamente lontano dal
proprio territorio». Il fatto è che questo sta accadendo a
discapito degli europei: non c’è un singolo porto, in Cina, che
sia controllato in maggioranza da società europee, mentre diversi
porti europei sono in mano a società cinesi, a partire dal Pireo.
L’impero cinese dei
mari e della logistica sta diventando, insomma, una questione
politica. «Gli scioperi dei terminal ad Amburgo contro la
concessione per un nuovo terminal container gestito da una società
cinese evidenziano tutte le preoccupazioni europee (anche sulla
gestione del lavoro)» spiega Baccelli. Anche senza voler rinunciare
agli investimenti cinesi, è comunque necessario «avere un quadro
regolatorio chiaro, condiviso fra i Paesi nei principi generali
(modalità di rilascio delle concessioni, verifica dei business pian,
modalità organizzative del lavoro), in modo da evitare forme di
dumping sociale, come invece è ad esempio avvenuto
nell'autotrasporto».
Degli investimenti cinesi, ad oggi, l’Europa e l’Italia sembra non poter fare a meno. Ma la questione è quale è il prezzo da pagare.
Degli investimenti cinesi, ad oggi, l’Europa e l’Italia sembra non poter fare a meno. Ma la questione è quale è il prezzo da pagare.
"pagina 99 we", 29 luglio 2017
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