Cinque anni fa moriva
Carlo Maria Martini, cardinale emerito di Milano, una delle figure
più note della Chiesda cattolica, esponente dela sua ala
progressista e dialogante. Anche la sua morte fu oggetto di
polemiche. Malato di Parkinson, nell'aggravarsi del suo male, rifiutò
tra l'altro il sondino, che i cattolici integralisti tendono ad
escludere dall'accanimento terapeutico, non considerando terapia
l'alimentazione e l'idratazione forzata. Si vide – con buone
ragioni – qualche incongruenza tra la Chiesa che non condannava la
scelta del suo cardinale di morire con dignità, mentre lo stesso
diritto era stato negato a Welby e ad Englaro. Il testo che segue,
dal “manifesto”, è una sintetica biografia “pro-memoria”.
(S.L.L.)
Sognava un Concilio
Vaticano III perché era convinto che la Chiesa cattolica avesse
bisogno di profonde riforme. Ma il cardinal Carlo Maria Martini è
morto ieri non solo senza aver visto questa nuova assise, ma anzi
assistendo alla progressiva demolizione di tutte quelle istanze di
rinnovamento avanzate dal Concilio Vaticano II, 50 anni fa,
gradualmente e inesorabilmente spente o ridimensionate da papa
Wojtyla e papa Ratzinger, principali fautori della cosiddetta
«ermeneutica della continuità», ovvero di un’interpretazione del
Concilio nel segno della assoluta continuità con la tradizione e il
magistero della Chiesa.
C’è la «necessità di
un confronto collegiale tra tutti i vescovi» – e già
l’espressione «confronto collegiale» farebbe accapponare la pelle
alla Curia vaticana – su una serie di importanti «nodi» che
«riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle
Chiese», aveva detto Martini al Sinodo dei vescovi europei, nel
1999, elencando anche alcuni di questi punti dolenti: la
partecipazione democratica alla vita della Chiesa, i laici, il ruolo
della donna nella società e nella Chiesa, «la sessualità», la
«disciplina del matrimonio», il «rapporto tra democrazia e valori
e tra leggi civili e legge morale».
Temi che, chiedeva
Martini, devono «essere affrontati con libertà, nel pieno esercizio
della collegialità episcopale». La risposta della Chiesa di Wojtyla
e Ruini prima e di Ratzinger poi è stata però un’altra: la
codificazione dei «valori non negoziabili», sui quali nemmeno si
discute. Sepolto così non solo il «sogno» di Martini di un
Concilio Vaticano III, ma anche quel poco che restava, e che resta,
del Concilio Vaticano II.
Nato a Torino il 15
febbraio 1927, giovanissimo entra nella Compagnia di Gesù (i
gesuiti) e viene ordinato prete nel 1952. Studia teologia, poi Sacra
Scrittura al prestigioso Pontificio istituto biblico di Roma, dove
poi insegna e diventa rettore. Nel 1978, poche settimane prima di
morire, Paolo VI lo nomina rettore della Pontificia università
Gregoriana, l’ateneo romano retto dai gesuiti. Ma lascia Roma
presto: alla fine del 1979 papa Wojtyla lo sceglie come arcivescovo
di Milano, diocesi che guiderà ininterrottamente fino al 2002,
quando si trasferisce a Gerusalemme.
E a Milano, la diocesi
più grande d’Europa, diventa una figura di primo piano della
Chiesa, italiana e non solo. Porta avanti iniziative di carattere
spirituale, come le pubbliche letture bibliche in duomo che attirano
migliaia di persone, aperte anche agli atei e agli agnostici –
perché, diceva, «la vera distinzione non va fatta tra credenti e
non credenti, ma tra pensanti e non pensanti» –, come la Cattedra
dei non credenti, incontri di confronto su vari temi fra cattolici e
laici. Proprio perché si accredita come uomo del dialogo, a metà
degli anni ’80 i militanti dei Comitati Comunisti Rivoluzionari,
gruppo ritenuto contiguo alle Brigate Rosse, consegnano
all’arcivescovo le armi, anche per sollecitare una mediazione della
Chiesa alla fine della lotta armata.
Sul terreno sociale più
volte Martini prende posizione per la difesa dei diritti dei poveri e
degli emarginati, in particolar modo dei detenuti e degli immigrati,
attirandosi, negli anni ’90, forti critiche dai leghisti in ascesa
che avevano conquistato anche il Comune di Milano con Marco
Formentini. E sul piano politico sostiene la cosiddetta “scelta
religiosa” dell’Azione cattolica e di altre associazioni che
tentavano di spezzare il dogma dell’unità politica dei cattolici
nella Democrazia cristiana e che rifiutavano il ruolo di serbatoio di
voti per la Dc, suscitando le ire di Comunione e liberazione e del
mondo cattolico più conservatore.
Candidato del fronte
progressista (minoritario) al conclave che nel 2005 elegge invece
papa Ratzinger (anche perché il Parkinson che aveva colpito Martini
indebolisce la sua candidatura), negli ultimi anni Martini prende
spesso la parola dalle colonne del Corriere della Sera e
dell’Espresso, in coppia con Ignazio Marino, sui
temi "eticamente sensibili" – dall’inizio della vita
alla fecondazione artificiale, dall’omosessualità al fine vita –,
per lo più in parziale difformità dal magistero ufficiale. La
scelta finale di rifiutare l’accanimento terapeutico ne è stata
l’ultima dimostrazione.
"il manifesto", 1 settembre 2012
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