Stefania Sandrelli nel film "Il conformista" (Bernardo Bertolucci, 1970) |
Stefania Sandrelli è
arrivata all’età di settant'anni: “Di un compleannone tondo,
tondo”. È nata nello stesso giorno della proclamazione della
Repubblica, ma per i tanti italiani rapiti da un’interpretazione
donata a Bertolucci, Germi, Monicelli, Pietrangeli o Scola, si
potrebbe sostenere anche il contrario.
Il divorzio prima del
divorzio nella Sicilia del delitto d’onore, le terrazze in cui
litigare con Gassman: “Lei è un imbecille”, “Lei una cretina”,
le torride giornate in un metro scarso di ascensore con Alberto Sordi
in tonaca: “Le dispiace se mi tolgo la maglietta?”, le promesse
di futuro di Luciana Zanon da Tresaghis in C'eravamo tanto amati:
“Avevamo dei progetti: sposarci, comprarci una Lambretta, fare dei
bambini, non necessariamente in quest’ordine”.
Casta o nuda, ma sempre
diva [...]
Per lei sono giorni di
festa, ma nella sua vita non c'è stato spazio per la sola allegria.
Il dolore fa parte
dell’esistenza di chiunque. Per carattere sono una che non si
lamenta mai e cerca di tirare avanti, ma la morte di mio padre, ad
esempio, fu una sofferenza vera e arrivò quando avevo solo otto anni
dopo un tempo lietissimo fatto di giochi in strada, passeggiate in
riva al mare d’inverno, biciclettate in pineta o alla Darsena ed
estati ai bagni Aurora.
Il mondo, da
Viareggio, l'ha esplorato anche lei.
È
accaduto tutto per caso. Io adoro la musica e volevo danzare.
Alla fine il cinema per me è stato questo: una danza collettiva. Un
concerto in cui il regista dirige l’orchestra e gli orchestrali
collaborano alla partitura tentando di realizzare la più soave delle
melodie. Il bello del cinema è questa ossessione condivisa con un
gruppo di persone che sono nella stessa barca e provano a remare
nella stessa direzione. Tutti pensano a migliorare la scena e a dare
il meglio in un’ottica comune. Fare l’attore è come vivere una
vita al cubo.
Come si è orientata?
Con l’istinto. Non ho
mai fatto calcoli né operazioni a tavolino. Mi sono buttata. “Questo
è un bel copione - pensavo - lo trasformeremo in un film ancora
migliore”.
Come iniziò la sua
corsa?
Andavo di fretta ed ero
sveltissima, ma io sono pigra e forse non ho corso mai. Sono andata
di corsa, che è una cosa diversa.
Sembra una
contraddizione.
Non dico mai cose
scolpite sulla pietra tipo tavole di Mosè, ma senza contraddizioni
la vita sarebbe un diagramma piattissimo. Cambiamo idea, passioni,
amori, punti di vista.
Non ha mai corso,
diceva.
Ho corso solo per andare
al cinema. Con mio fratello Sergio che era più grande e che adoravo,
eravamo sempre lì. Ancora mi ricordo i nomi delle sale: l’Eden, il
Supercinema, l’Eolo, l’Odeon. Vedevamo di tutto, da Cassavettes a
Olmi. Facevamo filmini amatoriali tra noi. Esperimenti. Un passo di
Sergio, un uomo altissimo, valeva quattro dei miei. Quando mi voleva
tenere a bada mi metteva dolcemente le mani sulle spalle. E io
capivo.
Si ricorda il primo
bacio al cinema?
In Gioventù di notte
di Mario Sequi, con Sami Frey. Di certo non mi disturbò e se il
regista chiedeva un ciak in più non ci disperavamo. Sami era molto
carino. Mi piaceva e io piacevo a lui. Ce la siamo un po’ goduta,
ma solo un po’. Non è che abbiamo fatto i porcelli, non è che
abbiamo spinto sull’acceleratore.
Prima di Giovanni
Soldati, con cui sta da tempo immemorabile, conosciuto sul set di
Novecento, le storie d'amore non le sono mancate.
All’inizio avevo dei
preconcetti: “Non mi metterò mai con un uomo più giovane di me”.
Con Giovanni il pregiudizio è caduto e stiamo insieme da più di
trent’anni. Gli uomini che ho amato, comunque, li ho amati
veramente. Nel rischio e nell’incertezza. Senza recitare. Partendo,
tornando, sbattendo la porta. Soffrendo e facendo soffrire. Capitava
di innamorarsi. E anche lì, niente calcoli. La sola idea di mettermi
con qualcuno, magari con un produttore importante per avere la strada
spianata come a certe colleghe pure capitava, mi metteva i brividi.
Le sono sempre
piaciuti i belli.
No, mi sono sempre
piaciuti gli uomini che mi piacciono. E quelli che hanno saputo
conquistarmi senza che io dovessi conquistare loro. Sono stata anche
molto fortunata. Ho potuto scegliere sia le persone con cui
accompagnarmi, sia i registi con cui lavorare.
Quanto era importante
l'attrazione fisica per lei?
Non avrei mai potuto
condividere l’intimità con qualcuno che non mi attraeva. Mi
sarebbe automaticamente cresciuta una cintura di castità. Così,
dalla sera alla mattina.
Che cosa la respingeva
invece?
Il collezionista di
attrici mi ripugnava. Ho sempre diffidato di certe tipologie di
uomini, forse proprio perché sono attrice. Alla fine della fiera,
non me so fidà.
Neanche Anna Magnani
si fidava di Fellini chiudendogli in faccia la porta di casa sua nel
film Roma. "Posso farti una domanda, Anna?", "No
Federi, nun me fido".
Attrice grandissima e
donna spiritosa. Una dote, l’autoironia, che ho sempre apprezzato.
Nella nostra famiglia ridere al di là delle sofferenze che toccano
chiunque è sempre stato fondamentale. Avevamo senso dell’umorismo
noi Sandrelli e ci circondavamo di gente che sapeva cosa voleva dire
essere ironici.
Niky Pende sosteneva
che quando le piaceva un uomo lei iniziasse a sorridere con le
gengive.
Non ho mai capito cosa
volesse dire, così come non ho mai creduto a quella definizione che
mi riguardava e che attribuirono a Moravia.
"Quando incede,
Stefania sparge sesso".
Non l’ho mai letta né
mai vista, quindi per me non esiste. Non è che mi offendesse la
frase in sé, questo no. Però insomma non mi sono mai considerata né
particolarmente brava né particolarmente bella. Non mi sono mai
sentita una fica.
Non ci dica così.
L’altra sera ho
incontrato Luigi Biamonte, una persona deliziosa, press agent ai
tempi gloriosi di un certo cinema italiano. Mi ha portato una foto
pazzesca. C’ero io ragazza, a Sciacca, con un berretto da pescatore
sulla testa, sul set di Sedotta e abbandonata. Era il 1963.
Non mi sono riconosciuta. Avevo gli zoccoli ai piedi e una che si
sente una fica non si mette gli zoccoli. Una fica va scalza e io
scalza praticamente non so stare.
Ha sempre amato le
ciabatte, ci ha detto prima.
Sul set di Io ballo da
sola, nella campagna toscana, in un clima di grande rilassatezza
generale, tra figli dei fiori che avevano fatto il ’68 e al ’68
erano rimasti, andavano tutti a piedi scalzi per chilometri. Un
giorno vado da Bertolucci: “Senti Bernardo, ti prego, dammi un paio
di ciabatte, non sono come i matti che hai riunito qui”. Lui rise
come un pazzo.
Con Bertolucci alla
regia condivise la lunghissima esperienza di Novecento.
Venimmo sequestrati per
un tempo che di mese in mese si dilatò fino a darci l’impressione
che il film non dovesse finire mai. Io non avevo fatto teatro e star
così tanti mesi lontano da casa mi turbò. Era tutto bello, c’era
un cast magnifico, ma insomma, ero abbastanza stravolta e un po’ di
magone ce l’avevo.
Ha mai fatto
arrabbiare un regista? Gli ha mai mancato di rispetto?
Non credo proprio.
Qualche volta, soprattutto con Germi, mi ha fatto arrabbiare il
regista. Sul set di Divorzio all’italiana, il primo giorno,
non ci prendemmo benissimo. Io ero distratta e ancora lontana da
un’idea professionale del mestiere. Mi sputtanavo la diaria girando
per negozietti e arrivavo sul set un po’ straniata, Germi, che è
stato un grandissimo direttore della recitazione, un regista che
amava gli attori più di se stesso, se ne accorse e la prese male.
Lui voleva delle cose precise, le chiedeva bruscamente e io
quelle cose non sapevo riprodurle: “Senta – gli dissi-sono appena
arrivata da Viareggio e, se lei si infuria e mi tratta male, a
prendere il treno per tornarci non ci metto niente”.
Nonostante gli inizi
tumultuosi, Germi è uno dei registi che ha amato di più.
I litigi duravano cinque
minuti. Mi chiudevo in roulotte e poi, dieci minuti dopo, avevamo già
fatto pace. A Germi devo molto. Mi fece interpretare un film che girò
il mondo. Osservarlo mi incantava. Lo spiavo mentre impostava la
scena e faceva le prove. Pensava a ogni dettaglio. Piangeva, urlava,
cantava. Ero ammirata.
A sua volta, Sergio
Staino è ammirato da lei. L'ha anche citata in una vignetta sulle
intenzioni di voto di Sabrina Ferilli a Roma. Uno dei personaggi dice
a Bobo: "Sabrina Ferilli voterà Cinque Stelle". Bobo
risponde: "L'immportante è che non li voti la nostra Stefania
Sandrelli".
Con
te, Bobo, verso l’infinito e oltre!
La politica piaceva
molto a Ettore Scola.
Quanto
abbiamo riso insieme. E che film straordinari girò. Tutti
giustamente ricordano C'eravamo tanto amati e La terrazza,
ma quello a cui sono più affezionata è La Famiglia. Era un
gioiello e avrebbe meritato di vincere dieci Oscar. Ma l’Academy la
conosciamo. Ignorò Mastroianni e per decenni anche quel genio di
Pierino Tosi. Una dimenticanza che essendo Pierino cento volte più
talentuoso di tanti altri suoi colleghi aveva del paranormale.
Cosa amava di Scola?
Gli
si chiudevano gli occhi dal ridere, fino alle lacrime. Da ragazzo
forse era brutta-rello, poi, all’improvviso, diventò un bell’uomo,
una sorte comune a tanti ex bruttarelli che da adulti, pensi a Gaber,
pensi a Jannacci, si trasformarono in belli.
Rimpianti?
Mi
sarebbe piaciuto interpretare La ragazza di Bube nel ruolo che
poi toccò a una superba Cardinale e lavorare con De Sica ne Il
giardino dei Finzi Contini. Ma la Documento film, così si
chiamava la società che produceva, pretendeva di riconoscermi molto
meno di quanto fossi stata pagata al mio esordio. Erano passati quasi
dieci anni. Era inaccettabile. Con dolore, lo dissi a De Sica
sperando potesse aiutarmi: “Cosa devo fare per campare? I
filmetti?”. Non se ne fece niente e mi dispiacque perché era stato
lo stesso Giorgio Bassani a dirmi: “Sei perfetta per il ruolo”.
Al suo posto venne
scelta Dominique Sanda.
Era
molto brava e aveva tratti più nobili dei miei. Dominique si è
dimostrata sempre una vera amica. Un giorno mi telefonò e mi disse:
“Mi spiace di darti questa notizia, ma sarò io a fare il film. Me
l’ha chiesto De Sica e non ho saputo né voluto dire di no. Sai
come diciamo da noi? à la guerre comme à la guerre”.
Lei capì?
Apprezzai
enormemente la sincerità. E non provare una sola stilla di rancore,
ma addirittura una sorta di felicità per lei, rappresentò una
verifica importante con me stessa.Con Dominique ci incontrammo
nuovamente sul set. Mi preparava tisane rilassanti. Parlavamo per
ore.
Altri film saltati per
un soffio?
Mi
proposero La noia, il film tratto dal romanzo di Moravia.
Carlo Ponti mi convocò in
ufficio.
Alberto era nei dintorni. Non lo vedevo, ma sentivo distintamente la
sua voce. Gridava “È lei, è lei”. E la proiezione già mi
indispose. Io sono io e non posso essere un’altra neanche quando
recito. Poi arrivai davanti a Ponti. Tirò fuori un paccone di soldi:
“Sono per te, ragazzina”. Il gesto mi disturbò tantissimo e mi
vergognai per lui. I cinematografari, anche quando di gran passione e
talento come Ponti, potevano essere cafonissimi. Mi alzai di scatto e
quasi scappai dall’ufficio per correre a parlarne a Gino Paoli. A
quell’epoca mi consultavo spesso con Gino.
Era
un consigliere acuto?
Acuto
e intelligente, Gino è sempre stato. Fosse stato per lui però, a
iniziare da Io la conoscevo bene, non avrei dovuto recitare
quasi mai. Aveva sempre un’eccezione, un distinguo, una critica.
È stato lui a
scriverle la più bella lettera d'amore che lei abbia mai ricevuto?
È
stato Jean-Louis Trinti-gnant, ai tempi del Conformista di
Bertolucci. Mi scrisse che avrei potuto fare e scegliere qualsiasi
cosa, che lui mi avrebbe amato in qualunque caso e che visto che il
film era finito si sentiva finalmente autorizzato a dirmelo. “Sei
come il mare che ti rinnovi, ti ritiri e poi rinasci sempre”. Così
scrisse. Non me lo sono più dimenticato. Con Jean-Louis diventammo
molto amici. Una volta mi invitò a Uzés. in campagna, dove si era
ritirato con Nadine. Guidava da dio e mi volle stupire su qualche
strada non trafficata con le sue evoluzioni al volante. Facemmo un
paio di testa-coda. Mi spaventai moltissimo. Gliel'ho detto, sono un
tipo tranquillo. Non sono poi così selvaggia.
“Il
fatto quotidiano”, 5 giugno 2016
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