21.9.17

Lungo il Rio delle Amazzoni (Gigi Riva)

Quel che segue è la prima parte di un reportage di qualche mese fa firmato Gigi Riva e corredato dalle fotografie di Mads Nissen. Ho buone ragioni per pensare che Gigi Riva sia un omonimo. (S.L.L.)
Port Humaità, piccolo centro dell'Amazzonia brasiliana
sul fiume Madeira (un affluente del Rio delle Amazzoni)
Foto di Mads Nissen 

Di notte i ladri di foresta escono con i mezzi carichi di legno dal fitto della vegetazione e li caricano sulle chiatte che li trasporteranno via, lungo il Rio delle Amazzoni, verso i mercati di una sempre più fiorente industria. Un andirivieni ininterrotto che monsignor Giuliano Frigeni, vescovo di Parintins, osserva impotente. Come ha raccontato a Radio Vaticana, le sue denunce alla polizia e all’agenzia deila protezione ambientale non producono alcun risultato. Quando gli agenti arrivano per le verifiche, non trovano tracce del traffico illecito. Persino i trattori usati per trainare i tronchi spariscono chissà dove. Un’organizzazione oliata ed efficiente che non lascia nulla al caso. Per pochi spiccioli, in qualche caso persino tre euro a tronco, attraverso il fiume, l’Amazzonia polmone del pianeta viene portata via.
L’enciclica Laudato si’ di papa Francesco è un grido d’allarme su come stiamo consumando l’unica Terra che abbiamo, sul mondo che lasceremo in eredità alle generazioni future. Ma se un potere spirituale pensa al futuro, c’è un potere temporale, e non di secondaria importanza, che davanti ai temi ecologici alza le spalle. Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, a differenza del suo predecessore Barack Obama, non ha la difesa del suolo in cima alla sua agenda e anzi bolla come «stronzate» le grida d’allarme sui cambiamenti climatici.
Tuttavia non si può imputare al miliardario che siederà alla Casa Bianca solo dal gennaio prossimo quanto successo nel recente passato.
Nei giorni scorsi lo Space Research Institute brasiliano ha reso noto uno studio dal quale risulta che tra l’agosto del 2015 e il luglio di quest’anno (ultimi dati disponibili) sono stati distrutti 8.000 chilometri quadrati di foresta, un territorio vasto come l’intera Umbria, contro i 5.800 dei dodici mesi precedenti. Il 30 per cento di alberi abbattuti in più che sale al 50 per cento se per paragone si prende il 2012, l'unico anno in cui il trend si era invertito. E questo nonostante il Brasile si sia impegnato a ridurre entro il 2020 le emissioni imputabili alla deforestazione (responsabile del 15 per cento dei gas serra, più dell’intero settore dei trasporti) e alla riforestazione entro il 2030 di 12 milioni di ettari di terreno. Il disboscamento è imputato, all’80 per cento, ad attività illecite che il governo centrale non sembra in grado di fermare: allevamenti intensivi di bestiame, coltivazione della soia (soprattutto ogm), naturalmente industria del legno.
Il business è miope, si preoccupa del qui ed ora. Il Brasile, prima di intraprendere la strada di una certa coscienza ecologica, rivendicava addirittura il diritto di sfruttare come meglio credeva un patrimonio “suo” e non dell’umanità intera. Non avevano del resto fatto altrettanto con le loro risorse i Paesi di capitalismo avanzato, salvo pretendere di dare lezioni agli altri? La resipiscenza, con la consapevolezza di avere un comune destino, ha prodotto leggi e proclami che tuttavia restano sulla carta. Troppo poche le risorse disponibili per le guardie ambientali, troppo grande da controllare l’Amazzonia con i suoi 6,5 milioni di chilometri quadrati (5 per cento della superficie terrestre), 60 mila specie di piante, mille di uccelli e 300 di mammiferi. E troppo forte la tentazione della corruzione per chiudere un occhio e favorire gli ingenti guadagni. [...]


Da Resistenza modello Amazzonia. “L'Espresso”, 11 dicembre 2016  

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