A
Trieste, nel 1997, in occasione dell'ottantesimo anniversario della
battaglia di Koper (per gli italiani “rotta di Caporetto”),
Stefano Malatesta raccolse, per “la Repubblica”, il giudizio di
Antonio Sema, storico militare, che proprio in quei giorni aveva
pubblicato in questi giorni l'ultimo volume de La Grande
guerra sul fronte dell'Isonzo
(editrice Goriziana). (S.L.L.)
Lei
dà molta importanza all'elemento etnico.
"Le
undici spallate italiane sull'Isonzo vennero effettuate all' interno
di un territorio dove esisteva una forte minoranza slava. Si credeva
di andare a piantare il vessillo tricolore nelle terre irredente. Ci
si ritrovò a combattere una guerra di posizione nelle due principali
aree multietniche del nostro paese. La spiegazione della sconfitta di
Caporetto sta anche in questo. E nell'incomprensione degli alti
comandi italiani, che non se ne resero conto o non vollero rendersi
conto. Mentre davanti avevano un nemico scaltrito dalla continua
esperienza dei conflitti di confine".
Nell'area
di Caporetto gli sloveni aiutarono gli austroungarici e i tedeschi?
"Dopo
la conquista nel paese, nella prima fase della guerra, gli italiani
avevano spedito parte della popolazione in Italia. Ma numerose
famiglie, cacciate dalle case e dai campi e private dei loro beni,
erano rimaste nei dintorni, e naturalmente detestavano le nostre
truppe. E daranno un aiuto fondamentale al nemico prima e durante
l'attacco, come informatori.
A
Jevscek, un paese occupato dagli italiani, i soldati di Erwin Rommel,
infiltratisi nella notte del 26 ottobre, furono ospitati dalle
famiglie slovene, rifocillati con caffè e frutta secca.
Dormirono
anche qualche ora e poi l'indomani erano pronti ad attaccare di
nuovo".
“la
Repubblica”, 21 ottobre 1997
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