Un mio buon amico, di
rete e non solo, valente storico del socialismo umbro, ha contestato
l'abuso del termine razzista e dell'astratto razzismo, riferito al
rifiuto dell'accoglienza a profughi e migranti.. Le autorità e le
comunità, spesso piccole, che oppongono tale rifiuto – egli spiega
- non lo fanno in ragione di ideologie razzistiche o del pregiudizio
razziale, ma per il timore, fondato o infondato, che le nuove
presenze portino disordine, guasti e turbamento.
È cosa generalmente
vera.
Succede che nel rifiuto
ci sia qualche venatura di razzismo (la tiritera dei negri fannulloni
e profittatori o lo sconcerto per l'ipotesi di accoppiamenti sessuali
interrazziali) o di etnocentrismo religioso (la diceria che sono
tutti musulmani e, in quanto tali, potenziali terroristi), ma nella
maggior parte dei casi non è così e la motivazione nettamente
prevalente è la paura dell'intruso, del diverso, dello straniero.
La categoria da usare non
dunque è il razzismo, ma la xenofobia, termine con il quale si
intende appunto la paura e la ripulsa nei confronti dello straniero.
È storicamente certificato, immagino che anche il mio amico ne
convenga, che la diffusione della xenofobia, come del pregiudizio
razziale, è stata ed è nella maggior parte dei casi, favorita,
alimentata e utilizzata da formazioni politiche nazionalistiche, di
destra o di estrema destra.
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