ROMA
Di fronte alla tessera di
combattente garibaldino di Italo Calvino, la signora Chichita ieri
mattina, si è commossa. La tessera appartenuta al marito gliela
mostrava il sindaco di Sanremo Leone Pippione, venuto a Roma insieme
all' assessore alla Cultura della cittadina ligure Roberto Damiano e
al professor Giorgio Bertone dell' Università di Genova. Occasione
del viaggio e dell'incontro, la presentazione di un convegno
internazionale di studi su Calvino che si terrà a Sanremo il 28-29
novembre. La commozione si è trasmessa ai pochi presenti (pochi,
forse, perché la discussione sulla politica finanziaria obbligava i
parlamentari ai loro posti). Una metà delle due prime file di
poltroncine rosse e oro della Sala Rossa del Campidoglio era vuota.
Nelle altre, erano seduti
alcuni giornalisti amici intimi dello scrittore, fra cui Eugenio
Scalfari che più tardi, chiamato alla sprovvista, come ha detto, ad
intervenire, ha ricordato i tre anni di liceo nella stessa aula e
nello stesso banco. Avevano formato un gruppetto di una decina di
giovani e vivevano in una sorta di simbiosi permanente. Si ponevano
le Grandi Domande di tutti gli adolescenti (chi siamo, dove andiamo?)
in lunghe passeggiate per corso Imperatrice. Scalfari ha ricordato,
inoltre (grande segno di amicizia) che quando “la Repubblica” non
aveva ancora il successo e la sicurezza di oggi, lo scrittore, che
collaborava al “Corriere”, lasciò il prestigioso quotidiano
milanese preferendogli quello romano, nuovo e dal futuro incerto.
Anche Scalfari era
commosso. Forse Calvino è morto troppo di recente. O forse c'è
sempre una sorta di pudore, che può sconfinare in un nodo alla gola
nel ricordare pubblicamente uno scrittore, assai più di quanto non
avvenga nel ricordare poniamo, uno architetto o uno scienziato. Lo
scrittore, infatti, stabilisce con chi lo legge un dialogo segreto. E
questo è tanto più vero per Calvino, scrittore magico e intimo.
Comunque sia, per una volta i damaschi e le pitture seicentesche
della Sala Rossa erano sgombri di retorica e di mondanità.
Non che l'ufficialità
non ci fosse: il sindaco Nicola Signorello ha strappato qualche
minuto alle sue riunioni mattutine (sembra che ne fossero in corso
tre) per venire a salutare le iniziative di Sanremo. E telegrammi
ufficialissimi hanno mandato Francesco Cossiga, Nilde Iotti, Fanfani,
Gullotti, Chiarante e moltissimi altri del Palazzo.
Calvino, per la verità,
non era nato a Sanremo. Ci era solo cresciuto. Era nato a Santiago di
Las Vegas a Cuba, e si dichiarava sanremese anche per brevità. Il
padre era un botanico nato nel 1875. A cavallo del secolo, fu lui a
spingere perché nella riviera intorno a Sanremo si coltivassero non
più arance ma fiori: per gli agrumi, si affacciava allora sui
mercati italiani la Sicilia. Stimatissimo nel mondo anche per questa
sua intuizione agricolo-economica, il signor Calvino fu invitato a
dirigere una scuola di agraria nel Messico. (E botanica era anche la
madre dello scrittore, una donna sarda). Con la rivoluzione
messicana, la famiglia Calvino riparò per qualche tempo a Cuba, dove
nacque Italo. “Un nome che - egli scrisse - mia madre, prevedendo
di farmi crescere in terra straniera, volle darmi perché non
scordassi la patria degli avi e che invece in patria suonava
bellicosamente nazionalista. Della mia nascita d'oltremare scrisse
conservo solo un complicato dato anagrafico (che nelle brevi note
bio-bibliografiche sostituisco con quello più vero: nato a Sanremo),
un certo bagaglio di memorie familiari e il nome di battesimo”.
Della sua Sanremo,
citandola solo con tre puntini, Calvino scrisse nella speculazione
edilizia, che fa parte delle opere giovanili. Guardava la città con
il solito odio-amore che si ha per il luogo natale. Il sindaco si è
come scusato, ieri, che il Comune non avesse potuto acquistare, in
tempi andati, la sua Villa Letizia. E nella stazione climatica lo
scrittore vedeva un benessere difforme, disorganico... un modo
turistico di godere la vita, modo milanese e provvisorio.
[…] La sobria cerimonia
della presentazione è stata più uno scavo nella memoria che una
proiezione nel futuro. O meglio: i programmi sono, ovviamente, per il
futuro. Ma il futuro ha un cuore antico, come scrisse Carlo Levi.
Antico come la Sanremo che Calvino descriveva. Palme e mimose
all'ombra delle quali vecchi e ragazze inglesi si scambiavano
preziose edizioni e innaffiatoi. Poi sono venute le ruspe, e con loro
i tricamere e servizi...
“la Repubblica”, 21
novembre 1986
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