23.9.17

Sanremo. Le care memorie di Italo Calvino (Laura Lilli)

ROMA
Di fronte alla tessera di combattente garibaldino di Italo Calvino, la signora Chichita ieri mattina, si è commossa. La tessera appartenuta al marito gliela mostrava il sindaco di Sanremo Leone Pippione, venuto a Roma insieme all' assessore alla Cultura della cittadina ligure Roberto Damiano e al professor Giorgio Bertone dell' Università di Genova. Occasione del viaggio e dell'incontro, la presentazione di un convegno internazionale di studi su Calvino che si terrà a Sanremo il 28-29 novembre. La commozione si è trasmessa ai pochi presenti (pochi, forse, perché la discussione sulla politica finanziaria obbligava i parlamentari ai loro posti). Una metà delle due prime file di poltroncine rosse e oro della Sala Rossa del Campidoglio era vuota.
Nelle altre, erano seduti alcuni giornalisti amici intimi dello scrittore, fra cui Eugenio Scalfari che più tardi, chiamato alla sprovvista, come ha detto, ad intervenire, ha ricordato i tre anni di liceo nella stessa aula e nello stesso banco. Avevano formato un gruppetto di una decina di giovani e vivevano in una sorta di simbiosi permanente. Si ponevano le Grandi Domande di tutti gli adolescenti (chi siamo, dove andiamo?) in lunghe passeggiate per corso Imperatrice. Scalfari ha ricordato, inoltre (grande segno di amicizia) che quando “la Repubblica” non aveva ancora il successo e la sicurezza di oggi, lo scrittore, che collaborava al “Corriere”, lasciò il prestigioso quotidiano milanese preferendogli quello romano, nuovo e dal futuro incerto.
Anche Scalfari era commosso. Forse Calvino è morto troppo di recente. O forse c'è sempre una sorta di pudore, che può sconfinare in un nodo alla gola nel ricordare pubblicamente uno scrittore, assai più di quanto non avvenga nel ricordare poniamo, uno architetto o uno scienziato. Lo scrittore, infatti, stabilisce con chi lo legge un dialogo segreto. E questo è tanto più vero per Calvino, scrittore magico e intimo. Comunque sia, per una volta i damaschi e le pitture seicentesche della Sala Rossa erano sgombri di retorica e di mondanità.
Non che l'ufficialità non ci fosse: il sindaco Nicola Signorello ha strappato qualche minuto alle sue riunioni mattutine (sembra che ne fossero in corso tre) per venire a salutare le iniziative di Sanremo. E telegrammi ufficialissimi hanno mandato Francesco Cossiga, Nilde Iotti, Fanfani, Gullotti, Chiarante e moltissimi altri del Palazzo.
Calvino, per la verità, non era nato a Sanremo. Ci era solo cresciuto. Era nato a Santiago di Las Vegas a Cuba, e si dichiarava sanremese anche per brevità. Il padre era un botanico nato nel 1875. A cavallo del secolo, fu lui a spingere perché nella riviera intorno a Sanremo si coltivassero non più arance ma fiori: per gli agrumi, si affacciava allora sui mercati italiani la Sicilia. Stimatissimo nel mondo anche per questa sua intuizione agricolo-economica, il signor Calvino fu invitato a dirigere una scuola di agraria nel Messico. (E botanica era anche la madre dello scrittore, una donna sarda). Con la rivoluzione messicana, la famiglia Calvino riparò per qualche tempo a Cuba, dove nacque Italo. “Un nome che - egli scrisse - mia madre, prevedendo di farmi crescere in terra straniera, volle darmi perché non scordassi la patria degli avi e che invece in patria suonava bellicosamente nazionalista. Della mia nascita d'oltremare scrisse conservo solo un complicato dato anagrafico (che nelle brevi note bio-bibliografiche sostituisco con quello più vero: nato a Sanremo), un certo bagaglio di memorie familiari e il nome di battesimo”.
Della sua Sanremo, citandola solo con tre puntini, Calvino scrisse nella speculazione edilizia, che fa parte delle opere giovanili. Guardava la città con il solito odio-amore che si ha per il luogo natale. Il sindaco si è come scusato, ieri, che il Comune non avesse potuto acquistare, in tempi andati, la sua Villa Letizia. E nella stazione climatica lo scrittore vedeva un benessere difforme, disorganico... un modo turistico di godere la vita, modo milanese e provvisorio.
[…] La sobria cerimonia della presentazione è stata più uno scavo nella memoria che una proiezione nel futuro. O meglio: i programmi sono, ovviamente, per il futuro. Ma il futuro ha un cuore antico, come scrisse Carlo Levi. Antico come la Sanremo che Calvino descriveva. Palme e mimose all'ombra delle quali vecchi e ragazze inglesi si scambiavano preziose edizioni e innaffiatoi. Poi sono venute le ruspe, e con loro i tricamere e servizi...


“la Repubblica”, 21 novembre 1986  

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