Rosario Bentivegna |
È il nome più conosciuto della
Resistenza romana, perché ne fu indubbio protagonista e soprattutto
perché a lui il comandante Carlo Salinari assegnò il compito
rischioso di far scoppiare il 23 marzo 1944 al passaggio del
Battaglione Bozen in via Rasella un carrettino pieno di tritolo che
uccise 32 soldati nazisti. A quell'azione, decisa da Giorgio Amendola
e dal comando delle formazioni garibaldine, parteciparono dodici
partigiani dei Gap (Gruppi di azione patriottica), ma Rosario
Bentivegna, classe 1922, medico del lavoro e militante del Partito
comunista sino al 1985, è rimasto l'unico testimone diretto
dell'episodio che determinò il giorno successivo la terribile
rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine, con 335 vittime
selezionate soprattutto tra i prigionieri politici ed ebrei.
Via Rasella, con le polemiche, anche
interne alla sinistra, durate oltre mezzo secolo, è il cuore del
nuovo libro di Bentivegna, scritto con la consulenza della giovane
storica Michela Ponzani (Senza fare di necessità virtù. Memorie di
un antifascista, Einaudi, pp. 422, 20). Il saggio tuttavia non è né
una cronaca di via Rasella né una storia della Resistenza romana. È
anche questo, ma è soprattutto l'autobiografia di un militante del
secolo delle ideologie, che ancora oggi, nonostante il fallimento del
«socialismo reale», continua a dichiararsi comunista. Un «comunista
antistaliniano», ma sempre ammiratore di Luigi Longo e della «spinta
propulsiva» data da Palmiro Togliatti con la «svolta di Salerno».
Anche se Bentivegna ha raccontato la
sua verità già in un libro apprezzato da Renzo De Felice, Achtung
Banditen, edito da Mursia nell'83 e nel 2004 in una versione
aggiornata, la lettura di queste «memorie di un antifascista» è
utile sia per conoscere la realtà della Resistenza, sia per seguire
la formazione e il percorso anche internazionale di un militante
comunista negli anni della guerra fredda. Su un fatto Bentivegna ha
ragione, così come hanno stabilito una serie infinita di sentenze
dei tribunali: dopo l'attentato di via Rasella, non venne affisso
nessun manifesto che invitava i partigiani a consegnarsi. La
rappresaglia delle Ardeatine fu decisa e realizzata in gran segreto,
anche se qualcosa trapelò in Vaticano. La prima notizia della strage
venne pubblicata il 25 marzo sul «Messaggero», a cose fatte. Più
controversa è la questione se l'attacco al battaglione Bozen fosse
necessario dal punto di vista militare, come sostiene Bentivegna, per
far cessare il transito di truppe naziste a Roma e di conseguenza
interrompere i bombardamenti sulla capitale da parte dell'aviazione
alleata.
Grato ai generosi romani che aiutarono
nella clandestinità lui e i suoi compagni, Bentivegna è rimasto
alla battuta del generale nazista Kurt Maeltzer secondo cui mezza
Roma nascondeva l'altra metà. Così nega l'esistenza di una «zona
grigia» e considera mistificazioni le ricerche di uno storico come
Aurelio Lepre, che in un pamphlet del 1996 basato sulle
intercettazioni telefoniche documentava le critiche dei romani
all'attacco di via Rasella. Un'azione considerata un attentato
terroristico, e in quanto tale «non necessaria», se non dannosa,
anche dal filosofo Norberto Bobbio che negli anni di piombo ingaggiò
con Bentivegna una polemica serrata. Il partigiano «Paolo», questo
il suo nome di battaglia, non ha cambiato opinione. Così sembra
irrigidito su vecchi punti di vista rispetto al dialogo avviato
proprio sul «Corriere della Sera» con il «ragazzo di Salò» Carlo
Mazzantini dopo lo storico discorso pronunciato dal presidente della
Camera Luciano Violante che invitava a «capire le ragioni dei
vinti».
L'ortodossia, vorremmo dire una certa
rigidità del punto di vista, non toglie tuttavia interesse
all'autobiografia di Bentivegna. Nelle pagine iniziali, quando
racconta la vita di un giovane borghese nella Roma fascista, nel
racconto dell'avventura in Jugoslavia con la Brigata Garibaldi,
quando dovette schivare le pallottole dei partigiani titini. O nella
narrazione dell'impresa compiuta alla fine degli anni Sessanta alla
guida di un motoscafo d'altura per mettere in salvo i dirigenti del
Partito comunista greco, perseguitati dai colonnelli.
“Corriere della Sera” 24 settembre
2011
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