1.9.17

E Feltrinelli strappò la tessera. Intorno al “Dottor Zivago” un intrigo internazionale (Laura Lilli)

Boris Pasternak
MILANO - ROMA
Nell'archivio della casa editrice Feltrinelli, due casse zeppe di recensioni danno il senso dell'importanza dell'avvenimento letterario: la pubblicazione, il 22 novembre 1957, de Il dottor Zivago di Boris Pasternak in prima edizione mondiale. Il caso fu immediatamente clamoroso. Nel 58 lo scrittore ebbe il Nobel (ma il regime lo costrinse a rifiutare) e nel giro di due anni la Feltrinelli vendette i diritti praticamente in tutto il mondo (l'India fece tre traduzioni per le diverse lingue nazionali e a Hong Kong e in Sudafrica, dove presto circolò l'edizione inglese, l'opera fu tradotta anche in cinese e in afrikaans).
“Penso che in quegli anni Zivago sia fruttato alla Feltrinelli un miliardo” mi dice Pietro Zveteremich, il traduttore, la stessa cifra de Il Gattopardo, che uscì poco dopo.
“Il 14 luglio del 58, quando lo conobbi alla casa editrice Rowohlt di Amburgo, Giangiacomo quasi non parlava d'altro”, ricorda Inge Feltrinelli. “Stava andando in Lapponia, da solo, con una tenda e le bozze de Il Gattopardo. Rowohlt mi aveva detto che c'era questo giovane editore italiano d'avanguardia, così bravo e attento, che aveva pubblicato Zivago, e mi aveva pregato di invitare un po' della swinging Hamburg per festeggiarlo. Quell'anno rammento che Giangiacomo passò giornate intere al telefono con Stoccolma per cercare di ottenere che Pasternak venisse a ritirare il Nobel. Dietro la pubblicazione feltrinelliana del Dottor Zivago c'è un autentico intrigo internazionale fitto di chiaroscuri, notizie, smentite, intimidazioni, linguaggio in codice, falsi telegrammi, soldi. Pasternak morì nel 60: forse, anche, di crepacuore per essere stato al centro di quella tela di ragno. Era un vero genio, rischiava e soffriva coraggiosamente, dice Zveteremich, che in quel drammatico 1957 lo incontrò sì e no un quarto d' ora, per strada. Sul piano pratico era un ingenuo: e la sua compagna, Olga Ivinskaja, Lara nel libro, cercava maternamente di proteggerlo. Lui voleva ad ogni costo che il suo libro uscisse in occidente: lei aveva paura. È difficile darle torto fino in fondo, se si pensa che per questo romanzo era già stata in un lager nel 47, e in un altro lager sarebbe morta, accusata di aver preso denaro da Feltrinelli. Anche sua figlia fu mandata in un campo per il Dottor Zivago”.
Era figlia di Pasternak? “Questo francamente non lo ho mai capito. Potrebbe anche essere figlia del fratello, che a sua volta appare nel romanzo. Era una ragazza dai tratti orientali e i colori occidentali, anzi nordici”.
L'intrigo internazionale si svolge fra il 56 e il 57. Comincia qualche mese prima dell'invasione dell'Ungheria e finisce un mese e mezzo dopo che l'Urss ha lanciato, con lo Sputnik, il primo satellite artificiale nello spazio (4 ottobre). [...] Feltrinelli aveva iniziato l' attività editoriale nel ' 55, rilevando la piccola editoriale di tascabili “Il canguro” di “Milano sera”(vicino al Pci). Editore e redattori erano giovani (avevo 24 anni, ero fresco di laurea ha scritto sul Corriere Valerio Riva, che visse da vicino la storia di Zivago), e fra le tante ambizioni c'era quella di battere in velocità l'affermatissima Einaudi, diventando la casa editrice del disgelo appunto. E il colpo di Pasternak fu facilitato, involontariamente, proprio da un autorevole consulente della casa editrice torinese, Angelo Maria Ripellino che fu tra i pochi a poter leggere il manoscritto di Zivago ma ne sconsigliò la pubblicazione. Spiega Zveteremich: “Ripellino amava solo l'avanguardia”.
Il manoscritto di Zivago fu portato in Occidente a Berlino, dove non esisteva ancora il muro e dove Giangiacomo Feltrinelli andò a prenderselo nel maggio 56 da Sergio D'Angelo, uno speaker di Radio Mosca in italiano che Feltrinelli aveva assunto come scout per l'Unione Sovietica. Ricorda Zveteremich: “Fui convocato di corsa alla casa editrice che allora stava in via Fatebenefratelli e in sei-sette ore diedi una scorsa a quella montagna di fascicoli legati con lo spago. Fui folgorato: era una novità assoluta, completamente fuori dagli standards sovietici dell'epoca. Mi misi a tradurre nell'ottobre 56. Ma ben presto subii un alt che durò fino a febbraio. Poi, di colpo, l'editore mi fece fretta”.
Cominciavano infatti le manovre sovietiche per bloccare la traduzione italiana. Dimitri Polikarkov, membro del Comitato centrale del Pcus, fece pressioni sull'Ivinskaja perché D'Angelo convincesse Feltrinelli a restituire il manoscritto. Feltrinelli lo fece, anche se tenne per sé una copia. Era iscritto al Pci: voleva pubblicare Zivago, ma non fare uno scandalo. A Mosca, intanto, il muro dei no si solidificava. Konstantin Simonov, redattore capo di Novyj mir, con cui Pasternak aveva un contratto per Zivago, indusse il comitato di lettura a firmare un rifiuto. E Polikarkov fece fare a Pasternak un nuovo contratto con le Edizioni di Stato, che comunicò a Feltrinelli di voler pubblicare il libro a settembre, chiedendogli di aspettare quella data per uscire. Feltrinelli accondiscese: con l'idea, però, di battere la concorrenza almeno di qualche giorno per potersi assicurare il copyright internazionale. Mosca, tuttavia, non voleva affatto pubblicare Il dottor Zivago: il contratto con le Edizioni di Stato era solo un altro espediente per bloccare Giangiacomo Feltrinelli. Fu chiesto anche l'intervento di Togliatti, con il quale l'editore milanese polemizzò a lungo, e dopo la pubblicazione del libro non rinnovò la tessera. “Fu drammatico per lui”, ricorda Inge.
Ed ecco il primo falso telegramma. Pasternak e Feltrinelli avevano convenuto di comunicare esclusivamente in francese, proprio per avere una lingua-codice. Feltrinelli ricevette un telegramma in russo firmato Pasternak. Diceva che il romanzo aveva bisogno di una seria revisione e perciò non poteva ancora essere pubblicato. Feltrinelli non ne tenne conto: anzi, a settembre, Zveteremich andò a Mosca con la sua risposta, indirizzata allo scrittore ma rivolta di fatto alle autorità. Il messaggio diceva che l'editore non vedeva come il manoscritto avesse bisogno di revisione; che l'accordo fatto non condizionava la pubblicazione fuori dell'Urss; che se la pubblicazione in Urss fosse avvenuta, la Feltrinelli volentieri avrebbe aspettato, ma ora si vedeva che questo non era più vero; che, infine, ogni ulteriore tentativo di scoraggiare l'editore italiano avrebbe dato all'intera vicenda uno sgradevole sapore di scandalo. Fu con questa lettera che Zveteremich vide Pasternak in strada di sfuggita. La consegnò poi all'Ivinskaja, che certo la mostrò a chi di dovere.
Giangiacomo Feltrinelli
Poco dopo infatti Zveteremich venne invitato a una riunione dell'Unione Scrittori. “Mi chiesero se, in quanto traduttore, non potessi interrompere la pubblicazione. Non lo trovo giusto, risposi, ma nemmeno avrei la veste per farlo. Io ho bell'e finito il mio lavoro, sono anche stato pagato. Ora il libro sta uscendo”. Rimasero attoniti e, burocrati com'erano, anche increduli. In realtà gli scrittori erano molto più inferociti contro Pasternak che non i politici. Per distrazione, o per insipienza, quelli avrebbero lasciato fare. Era già successo. Seguirono altri due tentativi di interruzione: una lettera (in russo: dunque falsa o forzata) di Pasternak a Zveteremich e un viaggio a Roma del presidente dell'Unione Scrittori Alexej Surkov, antico persecutore di Pasternak. Il 22 novembre, come si è detto, il romanzo uscì trionfalmente. Lo accompagnava una nota richiesta da Pasternak in cui l'editore raccontava che l'autore gli aveva chiesto di non pubblicarlo ancora, ritenendolo incompiuto, ma che egli aveva disobbedito perché non era dello stesso avviso. Anzi, considerava l'opera di eccezionale valore; essa faceva onore alla letteratura russa cui l'autore apparteneva. Pasternak aveva anche chiesto che non si facesse parola di compensi. Feltrinelli obbedì in un primo momento, poi la questione diritti d'autore si ingarbugliò e divenne un secondo intrigo internazionale: avvocati famosi (uno era stato un accusatore al processo di Norimberga), tribunali russi e internazionali, molti eredi o sedicenti tali (anche D'Angelo), la povera Ivinskaja in un lager sotto pretesto di aver preso soldi da Feltrinelli. Questi pubblicò la propria autodifesa sul “Sunday Times” il 31 maggio 1970. “Avevo a cuore, scrive, la riabilitazione di Pasternak”. Che c' è stata, sia pure dopo tanto tempo.
“Quando ho visto Gorbaciov a Milano, mi ha detto Inge Feltrinelli, gli ho detto: sono contenta che la perestrojka, permetta ai russi di leggere Il dottor Zivago. Lui mi ha sorriso, annuendo".


“la Repubblica”, 24 gennaio 1990  

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