Boris Pasternak |
MILANO - ROMA
Nell'archivio della casa
editrice Feltrinelli, due casse zeppe di recensioni danno il senso
dell'importanza dell'avvenimento letterario: la pubblicazione, il 22
novembre 1957, de Il dottor Zivago di Boris Pasternak in prima
edizione mondiale. Il caso fu immediatamente clamoroso. Nel 58 lo
scrittore ebbe il Nobel (ma il regime lo costrinse a rifiutare) e nel
giro di due anni la Feltrinelli vendette i diritti praticamente in
tutto il mondo (l'India fece tre traduzioni per le diverse lingue
nazionali e a Hong Kong e in Sudafrica, dove presto circolò
l'edizione inglese, l'opera fu tradotta anche in cinese e in
afrikaans).
“Penso che in quegli
anni Zivago sia fruttato alla Feltrinelli un miliardo” mi dice
Pietro Zveteremich, il traduttore, la stessa cifra de Il
Gattopardo, che uscì poco dopo.
“Il 14 luglio del 58,
quando lo conobbi alla casa editrice Rowohlt di Amburgo, Giangiacomo
quasi non parlava d'altro”, ricorda Inge Feltrinelli. “Stava
andando in Lapponia, da solo, con una tenda e le bozze de Il
Gattopardo. Rowohlt mi aveva detto che c'era questo giovane
editore italiano d'avanguardia, così bravo e attento, che aveva
pubblicato Zivago, e mi aveva pregato di invitare un po' della
swinging Hamburg per festeggiarlo. Quell'anno rammento che
Giangiacomo passò giornate intere al telefono con Stoccolma per
cercare di ottenere che Pasternak venisse a ritirare il Nobel. Dietro
la pubblicazione feltrinelliana del Dottor Zivago c'è un
autentico intrigo internazionale fitto di chiaroscuri, notizie,
smentite, intimidazioni, linguaggio in codice, falsi telegrammi,
soldi. Pasternak morì nel 60: forse, anche, di crepacuore per essere
stato al centro di quella tela di ragno. Era un vero genio, rischiava
e soffriva coraggiosamente, dice Zveteremich, che in quel drammatico
1957 lo incontrò sì e no un quarto d' ora, per strada. Sul piano
pratico era un ingenuo: e la sua compagna, Olga Ivinskaja, Lara nel
libro, cercava maternamente di proteggerlo. Lui voleva ad ogni costo
che il suo libro uscisse in occidente: lei aveva paura. È difficile
darle torto fino in fondo, se si pensa che per questo romanzo era già
stata in un lager nel 47, e in un altro lager sarebbe morta, accusata
di aver preso denaro da Feltrinelli. Anche sua figlia fu mandata in
un campo per il Dottor Zivago”.
Era figlia di Pasternak?
“Questo francamente non lo ho mai capito. Potrebbe anche essere
figlia del fratello, che a sua volta appare nel romanzo. Era una
ragazza dai tratti orientali e i colori occidentali, anzi nordici”.
L'intrigo internazionale
si svolge fra il 56 e il 57. Comincia qualche mese prima
dell'invasione dell'Ungheria e finisce un mese e mezzo dopo che
l'Urss ha lanciato, con lo Sputnik, il primo satellite artificiale
nello spazio (4 ottobre). [...] Feltrinelli aveva iniziato l'
attività editoriale nel ' 55, rilevando la piccola editoriale di
tascabili “Il canguro” di “Milano sera”(vicino al Pci).
Editore e redattori erano giovani (avevo 24 anni, ero fresco di
laurea ha scritto sul Corriere Valerio Riva, che visse da vicino la
storia di Zivago), e fra le tante ambizioni c'era quella di battere
in velocità l'affermatissima Einaudi, diventando la casa editrice
del disgelo appunto. E il colpo di Pasternak fu facilitato,
involontariamente, proprio da un autorevole consulente della casa
editrice torinese, Angelo Maria Ripellino che fu tra i pochi a poter
leggere il manoscritto di Zivago ma ne sconsigliò la pubblicazione.
Spiega Zveteremich: “Ripellino amava solo l'avanguardia”.
Il manoscritto di Zivago
fu portato in Occidente a Berlino, dove non esisteva ancora il muro e
dove Giangiacomo Feltrinelli andò a prenderselo nel maggio 56 da
Sergio D'Angelo, uno speaker di Radio Mosca in italiano che
Feltrinelli aveva assunto come scout per l'Unione Sovietica. Ricorda
Zveteremich: “Fui convocato di corsa alla casa editrice che allora
stava in via Fatebenefratelli e in sei-sette ore diedi una scorsa a
quella montagna di fascicoli legati con lo spago. Fui folgorato: era
una novità assoluta, completamente fuori dagli standards sovietici
dell'epoca. Mi misi a tradurre nell'ottobre 56. Ma ben presto subii
un alt che durò fino a febbraio. Poi, di colpo, l'editore mi fece
fretta”.
Cominciavano infatti le
manovre sovietiche per bloccare la traduzione italiana. Dimitri
Polikarkov, membro del Comitato centrale del Pcus, fece pressioni
sull'Ivinskaja perché D'Angelo convincesse Feltrinelli a restituire
il manoscritto. Feltrinelli lo fece, anche se tenne per sé una
copia. Era iscritto al Pci: voleva pubblicare Zivago, ma non fare uno
scandalo. A Mosca, intanto, il muro dei no si solidificava.
Konstantin Simonov, redattore capo di Novyj mir, con cui Pasternak
aveva un contratto per Zivago, indusse il comitato di lettura a
firmare un rifiuto. E Polikarkov fece fare a Pasternak un nuovo
contratto con le Edizioni di Stato, che comunicò a Feltrinelli di
voler pubblicare il libro a settembre, chiedendogli di aspettare
quella data per uscire. Feltrinelli accondiscese: con l'idea, però,
di battere la concorrenza almeno di qualche giorno per potersi
assicurare il copyright internazionale. Mosca, tuttavia, non voleva
affatto pubblicare Il dottor Zivago: il contratto con le
Edizioni di Stato era solo un altro espediente per bloccare
Giangiacomo Feltrinelli. Fu chiesto anche l'intervento di Togliatti,
con il quale l'editore milanese polemizzò a lungo, e dopo la
pubblicazione del libro non rinnovò la tessera. “Fu drammatico per
lui”, ricorda Inge.
Ed ecco il primo falso
telegramma. Pasternak e Feltrinelli avevano convenuto di comunicare
esclusivamente in francese, proprio per avere una lingua-codice.
Feltrinelli ricevette un telegramma in russo firmato Pasternak.
Diceva che il romanzo aveva bisogno di una seria revisione e perciò
non poteva ancora essere pubblicato. Feltrinelli non ne tenne conto:
anzi, a settembre, Zveteremich andò a Mosca con la sua risposta,
indirizzata allo scrittore ma rivolta di fatto alle autorità. Il
messaggio diceva che l'editore non vedeva come il manoscritto avesse
bisogno di revisione; che l'accordo fatto non condizionava la
pubblicazione fuori dell'Urss; che se la pubblicazione in Urss fosse
avvenuta, la Feltrinelli volentieri avrebbe aspettato, ma ora si
vedeva che questo non era più vero; che, infine, ogni ulteriore
tentativo di scoraggiare l'editore italiano avrebbe dato all'intera
vicenda uno sgradevole sapore di scandalo. Fu con questa lettera che
Zveteremich vide Pasternak in strada di sfuggita. La consegnò poi
all'Ivinskaja, che certo la mostrò a chi di dovere.
Giangiacomo Feltrinelli |
Poco dopo infatti
Zveteremich venne invitato a una riunione dell'Unione Scrittori. “Mi
chiesero se, in quanto traduttore, non potessi interrompere la
pubblicazione. Non lo trovo giusto, risposi, ma nemmeno avrei la
veste per farlo. Io ho bell'e finito il mio lavoro, sono anche stato
pagato. Ora il libro sta uscendo”. Rimasero attoniti e, burocrati
com'erano, anche increduli. In realtà gli scrittori erano molto più
inferociti contro Pasternak che non i politici. Per distrazione, o
per insipienza, quelli avrebbero lasciato fare. Era già successo.
Seguirono altri due tentativi di interruzione: una lettera (in russo:
dunque falsa o forzata) di Pasternak a Zveteremich e un viaggio a
Roma del presidente dell'Unione Scrittori Alexej Surkov, antico
persecutore di Pasternak. Il 22 novembre, come si è detto, il
romanzo uscì trionfalmente. Lo accompagnava una nota richiesta da
Pasternak in cui l'editore raccontava che l'autore gli aveva chiesto
di non pubblicarlo ancora, ritenendolo incompiuto, ma che egli aveva
disobbedito perché non era dello stesso avviso. Anzi, considerava
l'opera di eccezionale valore; essa faceva onore alla letteratura
russa cui l'autore apparteneva. Pasternak aveva anche chiesto che non
si facesse parola di compensi. Feltrinelli obbedì in un primo
momento, poi la questione diritti d'autore si ingarbugliò e divenne
un secondo intrigo internazionale: avvocati famosi (uno era stato un
accusatore al processo di Norimberga), tribunali russi e
internazionali, molti eredi o sedicenti tali (anche D'Angelo), la
povera Ivinskaja in un lager sotto pretesto di aver preso soldi da
Feltrinelli. Questi pubblicò la propria autodifesa sul “Sunday
Times” il 31 maggio 1970. “Avevo a cuore, scrive, la
riabilitazione di Pasternak”. Che c' è stata, sia pure dopo tanto
tempo.
“Quando ho visto
Gorbaciov a Milano, mi ha detto Inge Feltrinelli, gli ho detto: sono
contenta che la perestrojka, permetta ai russi di leggere Il
dottor Zivago. Lui mi
ha sorriso, annuendo".
“la Repubblica”, 24
gennaio 1990
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