Luigi Longo, Teresa Noce e, al centro, il figlio Gigi, nel 1924 |
L'intervista è
famosissima. La concesse Lenin a Clara Zetkin. Fra i vari temi dei
colloqui, uno faceva spicco: i comunisti e i sentimenti, la
partecipazione politica e l'amore. Il leader della rivoluzione
mondiale si mostrò inflessibile: le questioni di cuore, decretò,
vanno rimandate a dopo l'avvento del socialismo. Ma perché? Perché
"la rivoluzione esige concentrazione". Quando Nilde Iotti
scrive a Palmiro Togliatti proponendogli di porre fine alla loro
relazione, siamo sullo scadere del 1947. È passato circa un quarto
di secolo dalla sentenza di Lenin, alla quale il Pci si attiene.
In teoria. Nella pratica,
le cose vanno in maniera diversa: mentre nei quadri comunisti la
pedagogia rimane severa, molto meno lo è il comportamento. Non
capita più che qualche dirigente di un certo nome venga allontanato
dal partito "per storie di donne" come accadeva - lo ha
raccontato Teresa Noce a Daniela Pasti, che ne riferisce nel libro I
comunisti e l' amore - durante il periodo del "centro
estero" di Parigi. Non è più tempo di amori contrastati e
problematici. Come quello di Velio Spano per Pina Zolla, sposata a un
compagno autorevole, Giorgio Jaksetich (la vicenda si risolse con il
trasferimento in Russia della legittima moglie di Spano, Felicita
Ferrero, per curarsi la salute: ma le trattative con la direzione del
partito erano state defatiganti). Ora, nelle più autorevoli famiglie
comuniste, gli "assestamenti coniugali" sono frequenti.
Luigi Longo, durante la guerra partigiana, ha sacrificato sua moglie
- la simpatica, autoritaria e poco avvenente Teresa Noce - a un nuovo
amore. Qualcosa di simile ha fatto Agostino Novella, interrompendo,
per un altro legame, il rapporto con la sua compagna del periodo
clandestino.
Terracini e la
signora
Nel 1948, il
cinquantatreenne Umberto Terracini s'innamorerà perdutamente di una
signora di trentun anni, Maria Laura Gayno. Ai cronisti la donna
risulta regolarmente sposata con un ufficiale carrista della
divisione "Acqui". La cerimonia nuziale fra Terracini e la
signora si svolge comunque a Bologna, in municipio. Ad officiare il
rito, in assenza del sindaco comunista Giuseppe Dozza, che al momento
si trova in Ungheria, è l'assessore Paolo Betti. Togliatti, in cima
al partito, si trova dunque in buona compagnia.
Gli esempi con cui
confrontarsi non mancano. La sua resistenza alle virtuose pressioni
di Nilde non si può dire temeraria. "Nel Pci", racconta il
senatore Paolo Bufalini, "non c'era una parola d'ordine
unitaria. La base operaia e popolare esprimeva umori conservatori.
Era legata, in genere, all'unità della famiglia. Non così i
vertici. Lì, nei rapporti di coppia si privilegiava il principio
della lealtà, senza dare ascolto a un presunto interesse di partito.
Potei sperimentarlo io stesso quando, trovandomi a dirigere il Pci in
Sicilia, mi unii a una compagna che aveva vissuto 'more uxorio' con
un deputato comunista dell'Isola, persona degnissima.
Secchia raccomandò
prudenza
"Nel partito ci
furono delle pressioni perché interrompessi il rapporto. Mi
rifiutai. E fu Pietro Secchia, vice-segretario nazionale e
responsabile dell'organizzazione, ad offrirmi l'appoggio più netto e
fraterno. Mi disse che in questa mia storia personale non vedeva
alcuna incompatibilità né politica né morale con la militanza
comunista e con il mio incarico. Si avvicinavano le elezioni del
1953. Secchia si limitò a raccomandarmi una certa prudenza per non
urtare la sensibilità di una parte di opinione del Pci in Sicilia.
Perché non tutti, ripeto, la pensavano allo stesso modo".
Ma come erano, in genere,
i rapporti fra un marito alto dirigente comunista, e la sua moglie o
compagna? Nilde Iotti ha dichiarato di non condividere
quell'"annullamento della personalità", quella "rinuncia
all' autonomia" a favore del marito che si rileva dai ricordi di
Marina, consorte di Emilio Sereni, o che distinse il ménage fra
Giorgio Amendola e sua moglie Germaine. La scrittrice Clara Sereni,
figlia della prima coppia citata dalla Iotti, ne fa una questione di
epoca. "C'è stata una generazione di compagne di dirigenti
comunisti che, durante la clandestinità o la detenzione dei mariti,
ha svolto attività politica. Ricoprendo, a volte, incarichi
notevoli: mia madre, per esempio, ha fondato “Noi donne”. Dopo la
Liberazione, sono tornate a casa. O hanno lavorato, poniamo,
all'Unione Donne Italiane. Sempre però in mansioni subalterne.
L'unica che si sottrasse a questo destino fu Teresa Noce, e la pagò
cara". E la Iotti? "Lei appartiene a una generazione
diversa. È naturale che abbia nutrito insofferenza per quei vecchi
comportamenti. Se oggi, in maniera molto elegante, esprime qualche
riserva in merito a quel tipo di subordinazione femminile 'di
partito', ha pienamente ragione. Io, come donna, gliene sono grata".
“la Repubblica”, 20
luglio 1993
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