Particolare da un busto di filosofo (Eraclito?) - Roma, Musei Capitolini |
Tra i molti, meravigliosi
giochi che si possono fare avendo tra le mani i nove volumi della
nuova e innovativa edizione dei frammenti dei cosiddetti Presocratici
curata da Glenn Most e André Laks, uno potrebbe essere quello di
provare a verificare quanto fosse giustificata l’idea di Karl
Popper secondo cui i primi filosofi greci - Parmenide compreso -
furono gli inventori del pensiero critico e della discussione
razionale, salvo scoprire quanto sia raro trovare testimonianze
dirette che corroborino la sua tesi. Soprattutto nell’ambito a lui
più caro, quello della filosofia della natura e della cosmologia,
mentre qualche “prova” la si può trovare tra i medici di quel
periodo. Ma anche se non erano dei falsificazionisti ante litteram
come li sognava Popper, i primissimi pensatori greci restano una
palestra in cui è possibile allenarsi per infiniti giochi
intellettuali. Compreso quello principale che ha ispirato i curatori
nel costruire un’edizione [...] frutto di anni di lavoro e che ha
tutte le caratteristiche per imporsi come quella di riferimento.
Se la natura tende a
nascondersi, come dice Eraclito, tra i suoi nascondigli migliori ci
sono sicuramente le varie stratificazioni del linguaggio. Most e Laks
vi si immergono in una autentica caccia al tesoro per farci scoprire,
tra le altre cose, che Eraclito era insieme una volpe e un riccio,
dal punto di vista del linguaggio (ma non solo). Ricordando il
celeberrimo verso di Archiloco, «La volpe sa molte cose, ma il
riccio ne sa una grande», possiamo apprezzare infatti la struttura
assolutamente chiara e al contempo profondamente complessa delle
frasi di Eraclito, dove una singola espressione di grande potenza
espressiva (riccio-friendly, si potrebbe dire, come è
tendenzialmente interpretata) può prestarsi a molti, volpini,
significati.
Ma dove è in questo la
novità? Si prenda proprio la frase sulla natura. Con mossa
innovativa e sapienza volpina, Most e Laks ne inseguono le varie
ramificazioni non solo all’interno dei testi tradizionalmente
utilizzati come testimonianze del pensiero di Eraclito, ma anche nel
corpus degli autori vissuti nei secoli successivi, fino alla fine
dell’antichità. Per scoprire (come rileva Most in un saggio uscito
nel volume Riccio o volpe? a cura di Vanna Maraglino, Cacucci
editore) «che una singola espressione perfettamente composta da
Eraclito può prestarsi a molteplici paradossali significati. In
altre parole, sul piano della performance testuale, Eraclito si
rivela essere un riccio nei suoi significanti, ma una volpe nei suoi
significati». Significati che si moltiplicano e arricchiscono (senza
mai smettere di giocare a nascondino col filologo) se ricostruiti
attraverso l’interpretazione di filosofi successivi, come Filone
alessandrino. Le edizioni precedenti di Eraclito sono edizioni
“ricce”, perché lo presentano nella forma di espressioni
perfette, indiscutibili e lapidarie, laddove invece questa edizione
volpina - e il metodo è applicato anche agli altri pensatori - tiene
conto, e mette in scena, le difficoltà di stabilire il testo esatto
di molti aforismi di Eraclito, difficoltà «causate in parte dal
loro enorme successo tra i lettori antichi, che spesso li citarono,
parafrasarono e fecero allusioni ad essi, senza preoccuparsi molto di
fornire le esatte parole dell’originale».
Dal metodo volpino emerge
dunque un’immagine ricca e sfumata del filosofo. Per Eraclito la
maggior parte degli uomini è pigra, vuole vivere tranquilla evitando
la fatica di comprendere la vera natura delle cose e le loro ragioni
nascoste. Se le cose a una prima occhiata non rivelano la loro vera
natura, è necessario studiarle con cura e a lungo per comprenderle.
E ciò vale persino per la cosa a noi più vicina: noi stessi. «Ho
cercato me stesso», dice Eraclito, che, se alla luce di uno dei suoi
aforismi più famosi - «Dopo che hai ascoltato non me ma il logos, è
saggio riconoscere che tutto è uno» - appare più che mai riccio,
si rivela mano a mano sempre più volpe fino ad affermare che «gli
uomini che amano la sapienza devono indagare molte cose». E se è
vero che «quelli che cercano l’oro scavano molta terra e ne
trovano poco» ciò significa solo che devono continuare a scavare.
La caccia al tesoro continua, anche perché - popperianamente - la
ricerca non ha fine.
“Il Sole 24 ore
Domenica” 12 giugno 2017
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