27.9.17

Primavera indimenticata. Dubcek e Longo a Praga nel maggio 68. Il verbale dell'incontro

Nel 1988 “L'Unità”, al tempo diretta da Massimo D'Alema, pubblicò come supplemento un libretto dal titolo Primavera indimenticata in occasione della visita di Dubcek in Italia, che vide il conferimento al leader della “primavera di Praga” di una laurea ad honorem all'Università di Bologna e di un incontro, molto emozionante, ad Assisi, venti anni dopo il tentativo di grande riforma del socialismo, poi stroncato con i carri armati. Si trattava di una scelta di un certo valore politico, perché, se è vero che a Mosca era in pieno sviluppo la Perestrojka di Gorbaciov, a Praga gli eredi della “normalizzazione” erano molto restii ad accoglierne le novità. Sappiamo come andò a finire, a Mosca come a Praga. 
Le riforme di Gorbaciov erano in verità “fuori tempo massimo”. L'ultima possibilità realistica di una “grande riforma” del socialismo reale era stata appunto la primavera cecoslovacca, soffocata dall'intervento dei “cinque paesi del Patto di Varsavia”.
Nel supplemento de “l'Unità” trovavano posto le note di verbalizzazione che Giuseppe Boffa raccolse durante l'incontro tra Alexander Dubcek, segretario del Partito Comunista Cecoslovacco e Luigi Longo, segretario del Partito Comunista Italiano. Chi avrà la pazienza di leggere scoprirà di trovarsi davanti a due rivoluzionari di grande spessore: apertura mentale, coraggio, attenzione a tutti gli elementi della situazione erano doti comuni ad entrambi. Si sbagliarono, non valutarono fino in fondo la refrattarietà al cambiamento dei capi sovietici, l'ottusità che finì per perdere l'Urss. Longo, alla notizia dell'invasione, il 21 agosto del 1968, ispirò una condanna senza se e senza ma da parte del Pci. Era anche un occasione per il partito italiano, la possibilità di fare davvero e fino in fondo i conti con lo stalinismo; e invece, dopo la tenuta dei primi giorni, il Pci si impantanò, si illuse in un accordo che mantenesse viva almeno qualche conquista della “primavera” e nulla fece per sostenere la resistenza cecoslovacca alla “normalizzazione”. E la denuncia di tutto ciò sul mensile “il manifesto” appena nato (l'articolo Praga è sola) fu tra le ragioni della radiazione dei promotori di quella iniziativa politico-editoriale. (S.L.L.)

L’incontro fra Luigi Longo, segretario del Pci, e Alexander Dubcek ebbe luogo a Praga il 6 maggio 1968. Fu lo stesso Longo a chiedermi di prendere nota della conversazione per la stesura di un eventuale verbale. Quelle note sono la fonte del testo qui presentato.
Dopo il colloquio fu offerta ai compagni italiani ma colazione nell’edificio dell’antico convento dei barnabiti: ad essa erano presenti anche altri tre fra i più noti dirigenti della «primavera» praghese, Smrkovski, Cemik e Cisar. Longo ebbe poi occasione di incontrare anche l'economista Ota Sik e Gustav Husak. La visita a Praga fu coronata da una grande conferenza stampa e da un ’intervista al quotidiano del Pcc, “Rude Pravo”. (Giuseppe Boffa)

Presenti: per il Pc cecoslovacco, Dubcek, Lenart, Kaderka; per il Pc italiano, Longo, Boffa.

DUBCEK: propone che ognuno faccia una sua esposizione, cui seguiranno discussione e domande.

LONGO: è d’accordo.

DUBCEK: dà il benvenuto. Si rallegra di vedere Longo così giovanile. Del resto, le differenze fra marxisti non dipendono tanto dalla diversità di generazioni, ma dal modo di intendere il movimento presente della società e lo stato attuale del pensiero socialista. Anche giovani di età possono essere vecchi da questo punto di vista.
Nelle sessioni del Comitato centrale di ottobre e dicembre abbiamo affrontato problemi ormai maturi nel nostro partito e nella nostra società. Era necessario il cambiamento per ridare respiro a tutta la vita del Partito e far valere la sua guida nelle nuove condizioni. Non si tratta di stabilire se il Partito deve o no guidare il paese. La nostra esperienza ci dice che sono importanti i metodi con cui si cerca di affermare meglio questo ruolo. Vogliamo estendere innanzitutto la democrazia nel partito perché questo è il problema essenziale: ogni iscritto deve sentire una responsabilità, non solo per l’applicazione della linea ma anche per la sua formazione. È questa la condizione per cui tutti siano attivi, tutti sentano che nel Partito conta la loro opinione. Assai importante è anche il rapporto fra noi che lavoriamo nel Partito e i compagni che lavorano all’esterno, ad esempio nelle organizzazioni giovanili o sindacali. Non possiamo impartire noi le ricette secondo cui debbono operare: dobbiamo stabilire insieme una linea di comportamento in stretto contatto con loro. Se non conosciamo come la pensano, possiamo fare fallimento, così come è successo nell’attività economica, tra la gioventù e altrove. Essenziale è elaborare con loro la politica da svolgqrre nelle condizioni specifiche del loro lavoro.
Veniamo ai nostri rapporti con gli altri partiti del Fronte nazionale. Sono cinque. Esiste la possibilità che, se anche hanno caratteristiche diverse dalle nostre, specie per la loro ideologia, continuino a restare uniti e ad unirsi con noi in base ai comuni interessi dei lavoratori per la costruzione del socialismo. Quale che sia la loro tendenza, tutti vogliono che si viva meglio. Intendiamo quindi consolidare il Fronte nazionale come organizzazione comune. Non so se ci riusciremo, ma sono ottimista. Finora possiamo ritenere che la nostra politica sia giusta.
Alcuni compagni esprimono preoccupazioni, talvolta giustificate. Vi sono infatti tendenze che mirano non all’unità, ma a creare una piattaforma di opposizione contro il Partito comunista. Ora, sviluppare una dialettica nel Fronte e dar vita ad una opposizione sono cose ben diverse. C’è una tendenza della piccola borghesia per tornare alla repubblica antecedente Monaco. Lo comprendiamo. Ma non vogliamo un’opposizione politica contro il partito, cioè l’apertura di una lotta per il potere politico. Questo ci riporterebbe alla situazione che c’era prima del febbraio ’486. Certi elementi antisocialisti avrebbero la possibilità di costituirsi in opposizione politica contro lo stesso Fronte e quindi di scontrarsi col Fronte. Per questo cerchiamo di chiarire che non si tratta di creare un’opposizione decisa a togliere il potere al partito, ma di dar vita ad una dialettica nel Fronte, pur restando uniti in base al comune interesse per il socialismo. Se ciò è chiaro, a questo punto non è importante che il partito popolare sia di ispirazione cristiana e noi marxisti. Essenziale è che entrambi si stia con fermezza per gli interessi dei lavoratori e il consolidamento del socialismo. Vogliamo più possibilità di democratizzare tutta l’attività dello Stato socialista. Vogliamo unità tra socialismo e democrazia: questo è quanto deve scaturire dal socialismo. Prepariamo la federazione fra cechi e slovacchi per risolvere il problema del loro rapporto. È necessaria l’uguaglianza fra le due nazioni. Ci sono nel nostro paese anche più piccole minoranze nazionali. È difficile organizzare la loro autonomia territoriale perché non ci sono territori omogenei: le popolazioni sono mischiate. Pensiamo quindi di dare a queste minoranze l’autonomia culturale.
Non pretendiamo che le nostre soluzioni siano modelli per altri paesi. Si sono fatti errori in passato. Si diceva: il migliore modello è quello jugoslavo. I sovietici invece vantavano il loro. I cinesi dicono: questi europei non si comportano bene, devono essere rivoluzionari come noi. Non faccio polemiche. Dico solo che quando si presenta il proprio specifico come ricetta per gli altri, si viene meno proprio a quel che di specifico dobbiamo fare.
Per noi, se possiamo contribuire al patrimonio comune con la soluzione dei nostri problemi specifici sarebbe già sufficiente. Nessuna soluzione può essere trapiantata in altri paesi. Il cappello va scelto a misura della testa.
Le decisioni del Comitato centrale sono state approvate in tutte le conferenze distrettuali e regionali. È un periodo complicato per il nostro partito. Quando si cambiano metodi e forme di attività, ciò comporta sempre difficoltà ed eccessi. Il nostro programma di azione ha fornito le indicazioni fondamentali. Quello è ciò che vorremmo fare. Ma le buone intenzioni devono sempre farsi valere in lotta contro qualche cosa. Da una parte ci sono motivi che sono invecchiati (non solo sbagliati, ma superati) nel nostro partito. Ci sono coloro che chiedono più disciplina, vorrebbero avere tutto nelle loro mani: dirigere così è più facile, richiede meno fatica. D’altra parte, la nostra democratizzazione del partito e dello Stato, la possibilità di creare nuove organizzazioni, tutti questi elementi innovativi introdotti nella nostra società creano anche possibilità per la manifestazione di quei gruppi che vorrebbero dar vita ad una opposizione e non sempre da posizioni socialiste. I ventitré anni trascorsi dal 1945 non sono un periodo lungo. Abbiamo quindi a che fare con la resistenza politica di chi vede la democrazia con occhi prebellici. La democrazia come la vogliono loro (anche se non sempre lo dicono, ma già noi lo avvertiamo) sarebbe la possibilità di organizzarsi per una serie di forze che in questi ventitré anni non sono sparite: penso non solo ai vecchi proprietari, ma ai loro figli, agli esponenti dei vecchi partiti borghesi, socialisti nazionali e popolari, soprattutto in Boemia, meno in Slovacchia. Se queste forze potessero sfruttare a loro modo le nostre buone intenzioni finirebbero in realtà per stimolare una reazione contraria al nostro processo di democratizzazione.
Noi sappiamo di non poterci fermare a metà strada. Dobbiamo andare avanti. Ma i nostri passi dipendono anche dalla misura in cui le forze avversarie possono organizzarsi e trovare appoggi all’esterno, nell’emigrazione, oltre che dalla misura in cui le agenzie imperialistiche possono tentare di sfruttare a loro vantaggio la situazione interna cecoslovacca. Se noi sappiamo trovare una via democratica al socialismo, queste forze non ne proverebbero certo piacere. Esse hanno anche una piattaforma legale che si fonda su due fattori: il primo è la correzione che noi stessi facciamo dei nostri errori; il secondo sono le cose sbagliate che noi abbiamo commesso, le violazioni passate dei metodi democratici nel partito e della stessa legalità statale. La Cecoslovacchia è uno dei paesi che ha più sofferto per le repressioni. Noi cerchiamo di mettere tutto in chiaro, ma non siamo interessati ad esasperare passioni e risentimenti.
Questi temi sono seguiti con particolare attenzione all’estero, dove si cerca di drammatizzare ogni cosa per coinvolgere nella condanna l’intero partito. Gli avversari cercano di dire che tutto il partito non vale niente, che ci vuole un nuovo partito, che occorre una nuova politica con uomini nuovi, che tutti coloro i quali hanno lavorato per il socialismo non hanno le mani pulite. Ciò può influenzare soprattutto le nuove generazioni, non quelle intermedie. Tali tendenze sono il più grave ostacolo per i nostri programmi. Si cerca anche di organizzare provocazioni per costringerci a prendere misure repressive e poi dire: vedete, è stato tutto un fenomeno passeggero. Si cerca il conflitto per farci tornare indietro, sapendo che ciò sarebbe molto svantaggioso per noi.
Qualcosa sull’attività della Chiesa. Vogliamo rispettare ampiamente tutti i diritti religiosi. Non possiamo permetterci misure amministrative contro la libertà di culto. Che dobbiamo però constatare? C’è una tendenza a rivedere i rapporti fra la gerarchia ecclesiastica e lo Stato. Vi sono due modi di intendere la separazione fra Chiesa e Stato. Questo è qualcosa di specifico per il nostro paese. Il nostro Stato ha nel suo bilancio le spese per la Chiesa. L’istruzione religiosa non viene fatta nelle scuole pubbliche, ma organizzata dalla Chiesa. Lo Stato deve esprimere il suo accordo per la nomina dei vescovi. La nostra posizione è dunque la seguente: fate quello che volete, ma siate leali verso il nostro Stato; massima libertà alla religione, ma niente attività contro lo Stato e il suo governo. Al socialismo non nuoce se la gente va in chiesa o se la Chiesa insegna ai bambini la religione. Non bisogna però agire contro di esso. Se il problema è quello della libertà religiosa, allora tutte le possibilità sono aperte.
Noi faremo di tutto perché le nostre due nazioni, Ceca e Slovacca, restino saldamente su basi socialiste. Se qualcuno volesse invece minacciare il potere popolare e i risultati della nostra rivoluzione, opporremo una resistenza non soltanto a parole. Ci spiacerebbe, è vero, perché questo comprometterebbe i nostri propositi.
Dobbiamo restare su posizioni internazionaliste. Faremo di tutto per unire gli sforzi dei paesi socialisti e dei partiti comunisti. Sappiamo che non solo la nostra posizione geografica, ma anche la storia del nostro paese danno a noi maggiori possibilità di esercitare un’influenza sullo sviluppo del socialismo in Europa. La Cecoslovacchia ha sempre avuto buone relazioni con l’Europa centrale. Certe influenze possiamo averle meglio noi che non, poniamo, i bulgari o i sovietici. La nostra politica è nell’interesse dell’unità di tutti i paesi socialisti. Non è diretta contro di loro. Vorremmo anche dare un contributo all’unificazione del movimento operaio e rivoluzionario internazionale. Ci separa ancora molto tempo dalla conferenza9. Crediamo di dover agire in modo da potervi portare un nostro contributo. Di qui si può arrivare ad una opinione comune. Dal punto di vista di classe l’avversario è lo stesso.
Pensiamo sia necessario riunirsi per discutere con gli altri paesi socialisti i tratti specifici della politica di ognuno: non per imporli agli altri, ma per farli conoscere per quello che realmente sono. Quando abbiamo fatto i grandi cambiamenti nel governo e nella direzione del partito, eravamo comunque tutti d’accordo che la cooperazione economica e politica con l’Urss è per noi basilare. Siamo tornati ieri da Mosca. Eravamo un gruppo tutto composto da uomini nuovi. Abbiamo discusso e chiarito una volta di più il nostro orientamento di base. Posso dire che per il nostro popolo l’atteggiamento verso l’Urss è sempre una questione essenziale. Le speculazioni dell’occidente che ci fa complimenti al fine di indebolire i nostri legami politici, economici e militari con l’Urss non avranno successo: non indeboliamo e non indeboliremo questi legami. Per noi non è indifferente sapere che sul nostro confine ci stanno l’esercito americano e uno dei più forti eserciti europei. Sappiamo quanto sarebbe facile per loro utilizzare provocazioni che venissero organizzate nel nostro paese, tanto più che dal ’46 non c’è un solo soldato sovietico in Cecoslovacchia. Per questo è tanto ingiusto dire che il nostro ’48 sarebbe stato fatto con l’aiuto dell’esercito sovietico. I nostri rapporti con l’Unione Sovietica e con gli altri paesi socialisti hanno una base solida. Siamo internazionalisti e vogliamo dare un contributo alla causa comune.
I nostri ostacoli dipenderanno anche dal fatto se ci lasceranno lavorare in pace oppure no. In ciò che accade da noi c’è qualcosa di comune con i problemi che dovettero essere affrontati nel ’56 in Polonia e in Ungheria. Guidare in questa fase il partito e il paese senza le scosse che si ebbero in Ungheria e in Polonia sarebbe già un grosso successo. Vogliamo esserne capaci. Ma questo non è il nostro obiettivo ultimo. Vogliamo contribuire sempre più allo sviluppo della democrazia socialista. Vogliamo essere all’avanguardia dello sviluppo democratico, alla testa del movimento reale che si manifesta nel paese, perché non possiamo lasciare che questo movimento cada in altre mani.
Poche cose sui problemi minori. Per anni si sono chieste votazioni segrete nel partito. La direzione aveva sempre risposto in modo negativo, richiamandosi alle tradizioni. Eppure è una questione importante. Essa ha contribuito ad esempio ad alimentare la crisi e l’arbitrio personale nelle questioni nazionali. Ancora un anno fa non abbiamo potuto ottenere che Bratislava fosse la capitale della Slovacchia, dopo che già lo era stata nella prima repubblica. Oppure ogni due o tre anni si riducevano le competenze degli organi istituzionali slovacchi, il che contrastava con lo sviluppo socialista del nostro popolo.
L’arbitrio soggettivo ha molto ridotto l’autorità del nostro partito. Per molti problemi mancavano analisi fondate e oggettive. Si sono fatte affermazioni esagerate. Ad esempio, che la nostra generazione avrebbe visto il comunismo, oppure che il livello di vita delle campagne sarebbe stato nel ’70 uguale a quello delle città, oppure ancora che nel ’70 avremmo risolto completamente il problema degli alloggi. Sono tutte cose proclamate senza consultare largamente neppure i più attivi fra i comunisti. Perciò le correzioni che noi oggi introduciamo possono essere sfruttate anche dagli avversari: in qualche caso perché è proprio ciò che si vuole, in altri casi, specie tra i giovani, perché non si capisce bene.
Tra di noi molti accettano male il fatto che la radio e la televisione presentino a volte il nostro passato in tinte tutte oscure. Noi stessi diciamo a chi lavora in questi organismi: non possiamo trascurare tutto ciò che è stato fatto in questi venti anni. Alcune trasmissioni della radio e della televisione portano acqua al mulino degli avversari. Fra una parte della popolazione è diventata opinione corrente l'idea che quanto più si rinnega il passato, tanto più si aiuta il partito ad operare meglio per il futuro. Certo, noi vogliamo correggere i nostri errori, ma con questo non si esaurisce il nostro programma. Questo è volto soprattutto a farci andare avanti.
In sintesi, volevo dimostrarvi che lavoriamo in una situazione complessa: agli indirizzi positivi che abbiamo scelto si intrecciano anche fenomeni negativi. Ma posso assicurarvi che non indeboliremo le tradizioni socialiste nel Partito comunista cecoslovacco. Così come non indeboliremo i nostri rapporti con il Partito comunista italiano.

LONGO: Ringrazia per l’informazione del compagno Dubcek, che ci ha dato un’idea più ampia e precisa della situazione, anche con i suoi problemi e le sue difficoltà. Noi diamo un apprezzamento molto alto dell’indirizzo rinnovatore scelto dall’attuale direzione del Partito comunista cecoslovacco e dei suoi sforzi per superare difficoltà e pericoli. Questi ci sono sempre in ogni momento di svolta profonda. Crediamo inoltre che difficoltà e pericoli vengano anche dal ritardo con cui determinati problemi sono stati affrontati. Ma crediamo anche che la via scelta sia la sola che consenta di superarli, sia pure a costo di pagare un prezzo, perché ulteriori rinvii possono soltanto aggravare la situazione e farla sfuggire di mano.
Le esigenze cui cercano di rispondere i compagni cecoslovacchi vanno al di là delle particolarità di un singolo paese. Certo, in ogni paese esse hanno aspetti contingenti. Noi le consideriamo però come un prodotto dello sviluppo del socialismo, un suo passaggio ad una fase superiore, che pone nuovi problemi non solo per la direzione economica e politica, ma per tutti i rapporti tra governo e masse. Non è nemmeno un caso che oggi vi siano spinte per modificare i rapporti fra potere e masse sia nei paesi socialisti che in quelli capitalistici. È una conseguenza dello stesso sviluppo tecnologico che ha accentuato la alienazione. È un compito che si risolve nei paesi capitalistici rivendicando maggiori libertà e nei paesi socialisti estendendo la partecipazione al potere.
Noi pensiamo che il socialismo sia una condizione di libertà. Senza di esso le libertà sono svuotate del loro contenuto. A questa condizione, i paesi socialisti possono non soltanto dare un contenuto concreto alle libertà classiche, ma arricchire in tutti i settori il socialismo con nuove libertà. Nelle nostre condizioni noi siamo per un pluralismo di forze e di contributi. Lo concepiamo non solo e non tanto come pluralismo di partiti, anche se nelle nostre condizioni questo è indispensabile, ma anche come un pluralismo di idee e di organizzazioni che siano in grado di fornire alla società il loro contributo. Di qui l’importanza che hanno per noi, ad esempio, le organizzazioni sindacali e contadine. Pensiamo che allo sforzo di trasformazione della società debbano partecipare diverse forze sociali sane, che hanno sempre una funzione da svolgere, come quelle degli artigiani e dei piccoli commercianti. Cito una nostra idea particolare: al nostro nono congresso abbiamo affermato che annoveriamo tra le forze motrici della rivoluzione italiana anche gli intellettuali d’avanguardia, al pari di operai e contadini. Non è possibile ignorare quanta importanza abbiano gli intellettuali in una società moderna ed avanzata.
Per questo consideriamo positivo il movimento studentesco, anche se rivolge critiche a noi come agli altri partiti. Riconosciamo del resto che in questo settore abbiamo avuto ritardi ed incomprensioni. Riconosciamo l’autonomia del movimento studentesco, anche se contrastiamo la tendenza a contrapporsi ai partiti. Sulle critiche che ci vengono rivolte accettiamo il dibattito. Combattiamo le tendenze a respingere il movimento studentesco perché sono prova di passività politica.
Anche verso gli intellettuali nel loro insieme abbiamo la stessa posizione: al mio ritorno avrò un incontro con alcuni di loro. So che vi si manifesteranno critiche verso di noi e verso i paesi socialisti. Per quanto riguarda questi ultimi riconfermeremo la nostra solidarietà, anche se dovremo dire che non comprendiamo i ritardi con cui si affrontano tanti problemi. Comprendiamo le difficoltà, è vero. Ad esempio, per la Polonia. Qui si aggiungono anche difficoltà specifiche: la posizione del clero, la tensione sociale. Neanche noi pretendiamo di offrire modelli. Ciò che facciamo lo riteniamo valido per la nostra realtà. La nostra esperienza potrebbe però costituire, a nostro parere, oggetto di studio. Pensiamo che nessun modello possa avere validità universale. Lo diciamo anche per la vostra esperienza. Salutiamo ed apprezziamo la tendenza che avete scelto; ma si tratta pur sempre di un’esperienza che appartiene a voi. Questo vale, beninteso, anche per noi.
Non possiamo però attirare e mobilitare certe forze con un’immagine del socialismo come quella che qui c’era. Occorre un’immagine più ricca, l’immagine di un socialismo giovane, dinamico, aperto alle esigenze nuove di libertà della cultura e di democrazia. Dobbiamo dare più vigore a questa immagine, che corrisponde del resto agli ideali di sempre del socialismo, se vogliamo conquistare i giovani.
Noi teniamo anche conto delle decisioni del Concilio Vaticano II e delle recenti encicliche che contengono una condanna abbastanza radicale del capitalismo. Vogliamo estendere i legami con i cattolici. Abbiamo avuto qualche risultato con le adesioni alle nostre liste elettorali. Questa volta anche i vescovi non hanno potuto prendere una posizione aperta di appoggio alla Democrazia cristiana. Tutto questo vale ancor più nella lotta per la pace. Importante è la posizione presa dal cardinale Lercaro. Abbiamo rapporti anche col Vaticano, sia pure in forma non del tutto esplicita. C’è una persona che stabilisce contatti fra me e il Papa quando è necessario. Il Papa viene oggi criticato da gruppi cattolici di sinistra. Eppure vi è una tensione, come si è potuto constatare anche quando Johnson si è recato in Vaticano.
I nostri rapporti con i socialisti. Il partito si è ora unificato, ma vi sono ancora differenze alla base. Vi sono gruppi che chiedono una revisione del Patto Atlantico. Anche la nostra posizione è andata più avanti. Dopo Karlowy Vary abbiamo avviato contatti anche con altre socialdemocrazie: dapprima tramite giornalisti; poi abbiamo proposto contatti a livello politico e diversi partiti hanno accettato. Alcuni di questi sono in crisi perché perdono voti e cercano vie nuove. 1 nostri contatti con la socialdemocrazia tedesca hanno avuto diverse ripercussioni. Ci sono nostri amici che non li hanno apprezzati molto, anche se noi li abbiamo sempre tenuti informati. Reimann è molto contento. La Sed, per dirla con un eufemismo, è invece meno entusiasta. Eppure noi ci siamo sempre battuti perché l’Italia riconoscesse la Repubblica Democratica Tedesca. Perché dunque noi non potremmo fare quello che fanno anche i comunisti di Bucarest? Abbiamo anche ottenuto qualche risultato. Per la prima volta un visto ufficiale è stato dato ad una delegazione della Sed. Questo è stato fatto anche in cambio dei nostri molti passi compiuti per stabilire un contatto fra l’Italia e il Vietnam. Fanfani ha cercato di far credere a Brandt e Kiesinger che non cambiava nulla, ma gli altri ne sono stati colpiti. Sono stati riconosciuti diritti anche alla delegazione commerciale della Rdt.
Continueremo a sviluppare tutti i rapporti. Avremo contatti politici e scambi di visite anche con i socialdemocratici scandinavi, finlandesi in particolare. Con i tedeschi abbiamo confrontato le nostre e le loro posizioni. Si sta preparando un nuovo incontro in Germania dopo le nostre elezioni. Era stato proposto che Brandt mi incontrasse privatamente in Italia; poi però, per i nostri diversi impegni di calendario, non è stato possibile. In Germania c’è stata anche una campagna di stampa contro questi rapporti. Un articolo ha attaccato anche i nostri rapporti con il Papa. In realtà il Pontefice aveva chiesto che un nostro compagno portasse un messaggio ad Hanoi. Io l’ho sconsigliato perché certamente avrebbe chiesto delle concessioni.
Per tornare alla socialdemocrazia, secondo le ultime informazioni, Bauer ci ha detto che i tedeschi sono molto preoccupati e — riferisco le sue parole — avrebbero l’idea di arrivare ad una rottura della «grande coalizione» prima delle elezioni, perché altrimenti temono una disfatta: questo a meno che non si arrivi invece a una rottura fra i democratici cristiani per il contrasto fra Strauss e Kiesinger.
Qualche altra informazione riguardante il Vaticano. Si ha l’impressione che Tomasek abbia proposto il suo programma massimo: ritorno di Bera, rientro di tutti i rappresentanti che sono in Vaticano, ritorno dei millecinquecento ecclesiastici che sono stati allontanati dalle loro funzioni e restituzione dei beni e degli edifici occupati a monasteri ed altri enti. Alcune personalità vaticane sono però contro questo programma massimo. Tra queste personalità vi è anche Casaroli poiché ritiene che tale programma potrebbe provocare le reazioni sovietiche (di cui sono preoccupati per ragioni più generali) e rendere difficile la situazione in Lituania. Casaroli propone che si proceda un passo alla volta: non porre adesso la questione di Beran, né chiedere la riapertura dei monasteri, ma lasciare se mai che queste proposte vengano fatte dal basso; lasciare facoltativo pure l’insegnamento della religione. Nei prossimi giorni comunque Casaroli verrà in Cecoslovacchia.
Torno un momento alla situazione cecoslovacca. Anche le vostre posizioni sui rapporti con i cattolici hanno un riflesso da noi. Le tesi che il compagno Dubcek ci ha enunciato sono convincenti. Noi siamo per buoni rapporti con i cattolici anche nel socialismo. Lo Stato socialista non deve essere né ateo né confessionale. Non devono esservi privilegi né per confessioni religiose, né per concezioni filosofiche, né per correnti culturali.
I nostri avversari sfruttano nelle loro speculazioni il nostro passato: i crimini che sono stati commessi vengono denunciati come conseguenza del socialismo. Contro queste posizioni noi ci battiamo valorizzando il vostro rinnovamento. Ma allora — ci ribattono — perché non condannate la Polonia? Noi rispondiamo che le nostre posizioni valgono per tutti. Diciamo che ogni partito ha i suoi ritmi di cambiamento. Riconosciamo però che i ritardi sono indubbiamente un male. Comunque noi in Italia difenderemo e difendiamo queste posizioni.
Vorremmo pure chiedervi come reagite alle manifestazioni studentesche in Polonia, anche in vista delle ripercussioni che possono avere fra i vostri giovani, i quali non conoscono neppure il capitalismo.
Abbiamo ascoltato con piacere quanto il compagno Dubcek ha detto sui rapporti con l’Urss e i paesi socialisti. Comprendiamo che vi è una parte di speculazione nelle voci diffuse in Occidente. Per quanto riguarda i rapporti con gli altri partiti, sapete che alcuni di essi criticano duramente il nostro partito. Noi cerchiamo di comprendere le ragioni delle differenze esistenti. Se nelle conferenze internazionali si manifestano voci discordanti, a noi pare che questo sia qualcosa di positivo. Negativa e dannosa è stata piuttosto l’unanimità forzata del passato. Ricorda gli attacchi portati ai cecoslovacchi dal polacco Kliszko e da un dirigente tedesco. Sono metodi inaccettabili. Quanto a noi, abbiamo dato tante prove del nostro internazionalismo e della nostra fede nel socialismo. È una caratteristica dell’intero movimento operaio italiano prima ancora che del partito comunista. Perderemmo qualcosa di importante se venissimo meno al nostro impegno internazionalistico. Un rischio di questa natura c’è stato per voi, ma riteniamo che ormai sia stato superato, quando c’era l’impressione che voi e sovietici non faceste abbastanza per il Vietnam.

DUBCEK. Longo ha parlato di un certo ritardo nostro nell’affrontare i cambiamenti. Si tratta di una osservazione giusta. Sta qui la causa delle nostre maggiori difficoltà. Vi erano membri del Comitato centrale che segnalavano i nostri errori nei vari settori. Se queste critiche fossero state accettate, se fosse stato possibile correggere gli sbagli senza dover per questo impegnare una lotta contro la precedente direzione del partito, tutto sarebbe stato più semplice. Era chiaro che sbagliavamo nei rapporti con i giovani, come nella questione nazionale. Adesso tutti i problemi esplodono contemporaneamente. Siamo sotto pressione. Il tempo stringe. Eppure dobbiamo compiere delle analisi profonde prima di prendere delle decisioni, proprio per non incorrere in altri errori. Questo può dare l’impressione che siamo talvolta alla mercé degli eventi. In qualche caso ciò può anche essere vero. Ma nell’insieme sappiamo dove vogliamo andare.
In Francia, in Italia, in Germania si conoscono i nostri programmi per cambiamenti strutturali nella nostra economia. Cerchiamo, in particolare, di migliorare il livello tecnologico della nostra industria chimica e della produzione di beni di consumo. I nostri istituti scientifici hanno molti contatti con l’estero. Certi circoli economici italiani manifestano negli ultimi tempi molto interesse per noi. Sanno che potremmo chiedere prestiti perché ciò ci consentirebbe di andare avanti più rapidamente. Per la verità, in questo momento francesi, tedeschi e italiani, fanno a gara per prospettarci offerte. Sanno che i rapporti con noi possono essere vantaggiosi, perché il carattere statale della nostra economia costituisce una garanzia. Vogliamo comunque che voi siate informati. Non abbiamo ancora deciso a chi rivolgerci, ma per il momento abbiamo un interesse minore per la Germania. Sicuramente faremo qualcosa con l’Italia. Quando negozieremo vi terremo comunque informati.

LONGO: Noi abbiamo contatti abbastanza stretti e reciprocamente proficui con l’Eni: non solo per gli idrocarburi, ma per i complessi petrolchimici. Personalmente avevo ottimi rapporti con Mattei, ma li ho buoni anche con Cefis, che pure ha partecipato alla Resistenza. È lui che conduce le trattative per il metanodotto. Ci informa anche delle resistenze politiche. L’Eni ha una funzione che la porta a scontrarsi con i monopoli internazionali, particolarmente americani. Anche nella morte di Mattei vi sono punti oscuri.

DUBCEK: Nonostante le nostre difficoltà, noi oggi superiamo del sette per cento il piano nell’industria. Anche il rapporto fra incremento della produttività e aumento dei salari è favorevole al primo termine. La situazione per il momento sembra buona anche nell’agricoltura.
Avete visto che il compagno Lenart è uscito. Due giorni fa abbiamo avuto una manifestazione studentesca conclusasi con una dichiarazione sulla Polonia. I nostri giornali hanno dato notizia di prese di posizioni di solidarietà con studenti ed intellettuali polacchi. In questo momento l’ambasciatore consegna a Lenart una protesta ufficiale. Noi diciamo ai nostri compagni che, poiché non vogliamo che altri si ingeriscano nei nostri affari, dovremmo evitare a nostra volta di ingerirci in ciò che accade in altri paesi. Ma è un argomento poco efficace. Questo può riflettersi sui rapporti fra i nostri partiti. Gomulka è uomo di temperamento caldo.
Per quanto riguarda l’Unione Sovietica vi assicuro in modo non formale che nella direzione del nostro partito, tanto fra i cechi che fra gli slovacchi, non ci sono differenze di posizione. Lo abbiamo già detto dopo la sessione di gennaio del Comitato centrale proprio per impedire alla propaganda ostile di seminare diffidenze. Lo ripetiamo in ogni occasione. Ogni indebolimento dei nostri legami potrebbe minacciare l’unità internazionale. Anche personalmente ho buoni rapporti con i dirigenti sovietici. Sono preoccupati, ma si tratta di preoccupazioni che sono anche nostre e che abbiamo quindi ben presente.

da Primavera indimenticata, supplemento a "l'Unità" dell'11 novembre 1988

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