Il rapporto non risolto
col passato è, senza alcun dubbio, una delle cause della crisi
attuale. Non avere avuto, poi, la capacità di portare nel futuro il
buono del passato (senza di cui nulla di veramente nuovo può
nascere) è stata anche la colpa grave della sinistra politica. Da
qui bisognerebbe ripartire per ridare senso alle cose e ritessere il
filo smarrito.
È dunque in questa
prospettiva che si ritorna a parlare di Giuseppe Di Vittorio, grande
figura della sinistra del Novecento, sia in film e documentari che in
libri. E ritornano documenti dimenticati della sua vita ricca di
avvenimenti come poche altre. Naturalmente in quest’opera di scavo
non manca l’impegno della Cgil e della Fondazione che porta il suo
nome. Anche se, va aggiunto, non guasterebbe un’attività di
ricerca politicamente (e polemicamente) più ricca, più spostata su
ciò che la sua vita e il suo pensiero può dare al movimento operaio
del presente.
È stato pubblicato un
corposo volume della casa editrice Ediesse, Sotto stretta
sorveglianza. Di Vittorio nel Casellario politico centrale
(1911-1943) a cura di Francesco Giasi, Fabrizio Loreto e Maria
Luisa Righi (pp. 784, euro 30). Va subito detto che è una lettura di
straordinario interesse, sia dal punto di vista storico che
antropologico. La ricca antologia di documenti che testimoniano
l’attività repressiva verso Di Vittorio da parte degli organi
dello stato, è infatti uno spaccato incredibile di 32 anni di
sorveglianza. In cui si leggono, nello stesso tempo, la ricchezza dei
rapporti e delle lotte dell’allora segretario della Cgil (incontri
e dibattiti con grandi personaggi che vivono tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo; le lotte esaltanti
per il diritto di sciopero; relazioni con militanti impegnati per il
rinnovamento dello stato dopo il disastro della prima guerra
mondiale; scambi e discussioni con oppositori tenaci alla dittatura
fascista), e la povertà culturale degli organi dello stato, spia di
una fragilità nella formazione della nazione italiana.
Per Giuseppe Di Vittorio
il «battesimo del fuoco», inteso come prima segnalazione di
attività «sovversiva» da parte del prefetto di Foggia, fu la
partecipazione a una manifestazione pacifista in cui vennero
distribuiti manifestini contro la guerra in Libia. Era il 2 novembre
1911 e da allora fino
al 1943 Di Vittorio
«presidente del circolo socialista di Cerignola», «accentuato
sovvertitore» anche
se «lavoratore assiduo»
venne messo «sotto stretta sorveglianza».
Il volume si dipana in
una mole impressionante di documenti (con note preziose) che
attraversano tutta l’attività politico-sindacale di Di Vittorio:
dalle lotte prefasciste nella sua Puglia alla galera, dalla fuga
all’estero al confino a Ventotene. E scavano anche nella sua vita
privata dove emerge una struggente capacità di resistenza al dolore.
Come in questa lettera alla madre, dopo la morte della moglie: «La
mia buona, affettuosa Carolina non c’è più. È morta ieri nelle
mie braccia. Non credeva
di morire. Si illudeva di
vivere. Si è addormentata nel sonno eterno con un’espressione di
serenità. È inutile dirvi il mio dolore e quello dei miei bambini.
Ma io sono forte, mi faccio coraggio, non mi farò abbattere neppure
da questa sventura».
il manifesto, 9 novembre
2011
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